19 mar 2015

BORN TO BE WILD, OVVERO LA "TRIADE OMBRA" DEL PROTO-METAL


1970-2015: sono passati 45 anni da quando vennero pubblicati "In Rock" dei Deep Purple prima e, a stretto giro di posta, "Paranoid" dei Black Sabbath. Questi due fenomenali dischi si andavano a sommare a un terzo capolavoro immortale pubblicato solo pochi mesi prima, nell’ottobre del 1969: Led Zeppelin II. Questi tre album, e di conseguenza i loro Autori, sono stati e sono tuttora considerati unanimemente dalla critica musicale i dischi “di rottura”, quelli che trasformarono il blues e il rock in un suono più grintoso, potente, viscerale, basandosi sull'apporto di chitarre pesantemente distorte, una batteria dal ritmo incalzante e una voce a tratti “urlata”: insomma i dischi proto-metal della storia.



a cura di Morningrise

Analizzando quel fervido periodo musicale in maniera più profonda, e senza nulla voler togliere a queste straordinarie e seminali band, ve ne sono altre tre che hanno dato un contributo altrettanto importante all’evoluzione in senso “metallico” del blues/rock, ma che non ebbero né lo stesso successo duraturo nè la stessa continuità artistica della succitata “Magica Triade”.

Spostiamoci quindi dalla terra d’Albione (patria dei tre Mostri Sacri), sorvoliamo l’Atlantico e atterriamo in nord America, visto che da Usa e Canada proviene questa sorta di “Triade Ombra”.

1) I primi a nascere furono i Blue Cheer, irriverente trio di San Francisco formatosi nel 1966. 
La loro importanza risiede nelle loro produzioni dei primi anni di carriera, quando diedero alle stampe due album assolutamente rivoluzionari per l’epoca: "Vincebus Eruptum" e "Outsideinside". In essi troviamo quelle caratteristiche “protometalliche” che li consegneranno alla Storia: distorsione massiccia degli strumenti con i feedback degli amplificatori, produzione grezza e minimale, voce roca e sguaiata del cantante-bassista Dickie Peterson, drumming e guitar riffing di grande impatto (ancorchè elementari tecnicamente). 
Insomma: una spontaneità e una genuinità che si riversava in un assalto sonico, soprattutto in sede live, davvero...primordiale! Per l’America sconvolta dalla Guerra del Vietnam (e dalla batosta subita nell’offensiva del Tet proprio a cavallo dell’uscita di Vincebus…), la minaccia metallica dei BC era quanto di peggio si potesse sentire in musica. E se la loro rilettura stravolta di “Summertime blues” di E. Cochran è passata alla storia nel primo disco, nel secondo quella di “(I can’t get no) Satisfaction” dei Rolling Stones non è da meno: un pugno in pieno volto come raramente capitava di ascoltare!

2) Flint, Michigan, l’(ex) più famoso distretto automobilistico del mondo. Da questa cittadina non proviene soltanto il celebre regista Michael Moore ma anche una fenomenale band nata nel 1969 che scosse non poco la società statunitense dell’epoca: i Grand Funk Railroad, probabilmente la migliore risposta a stelle e strisce allo strapotere rock britannico. 
Del “funk” del nome, in realtà, non troviamo riscontro nel sound di questo power trio. Ritroviamo invece, come per i Blue Cheer, un grado di distorsione degli strumenti (in particolar modo del basso) e una carica live, tanto schietta quanto irriverente, che non era solito ascoltare in quegli anni. 
La fusione di certi stilemi soul-blues americani con la potenza dell’hard-rock li portò ad avere un successo davvero notevole, almeno fino al 1973, anno della pubblicazione di quello che è probabilmente il loro capolavoro: "We’re An American Band" (da lì in poi la qualità delle produzioni e dell’ispirazione andò scemando).  Elemento altrettanto importante dei GFR, assieme alla musica, furono senz’altro i testi delle canzoni: affianco ai canonici “sex, drugs and rock ‘n’ roll”, si cominciava a criticare apertamente la guerra, a trattare tematiche ambientali, il disagio sociale dellaworking class americana… insomma, anche dei rocker rozzi e rumorosi (e non solo i musicisti “colti”) avevano una “coscienza sociale”!

3) Peter Fonda e Dennis Hopper che guidano beati i loro chopper, capelli al vento, lungo le interminabili highways americane, simbolo di libertà e di realizzazione dei propri sogni! Chi non conosce queste mitiche immagini di “Easy Rider”, cult movie dello stesso Hopper del 1969?! E chi l’ha visto non potrà non ricordare la canzone simbolo della colonna sonora di quel film, “Born To Be Wild”, estratta dall’album d’esordio omonimo degli Steppenwolf, seminale band canadese formatasi nel 1967.
Anche gli Steppenwolf, come BC e GFR, riuscirono a esprimere un sound originale, particolarmente innovativo, miscelando diversi stilemi: dal blues al country, dal folk al rock, per poi innalzare i ritmi, e i decibel, del loro sound. Una carica rivoluzionaria e anticonformista che li portarono a diventare paladini del movimento hippie di inizio ’70 e icone dei movimenti di contestazione dell’epoca. Ma anche punti di riferimento per tanta musica (hard) rock a venire…

Tre gruppi quindi da non dimenticare e, anzi, riscoprire; simboli socialmente “pericolosi” e destabilizzanti negli Usa di fine anni ’60 in quanto dimostravano che l’indurimento progressivo della musica poteva essere qualcosa di rivoluzionario (perché legato ai problemi reali delle persone), sgusciante, trascinante, e, grazie anche a prestazioni dal vivo straordinarie, capace di ottenere un ottimo successo commerciale.

I like smoke and lightning / heavy metal thunder / racin’ with the wind…Dennis Edmonton, in arte Mars Bonfire (peraltro, ironia della sorte, neppure componente della band, ma semplicemente fratello di Jerry, batterista degli Steppenwolf), quando scrisse questi versi di “Born to be wild” si riferiva al suono sferragliante delle moto, al timbro metallico dei motori delle due-ruote…probabilmente non avrebbe mai immaginato che sarebbe andato a definire il nome di un genere musicale così importante e longevo…