13 mar 2015

LA DOPPIA VITA DI ADAM MICHAL DARSKI, ALIAS NERGAL: IL CARISMATICO LEADER DEI BEHEMOTH.



PERCHE' IN VECCHIAIA, NON SOLO E' LECITO, MA E' ANCHE COSA BUONA E GIUSTA, ASCOLTARE I BEHEMOTH...

Fra gennaio e febbraio mi è presa una voglia prepotente di Morbid Angel: tuttavia, una volta ripassata in gran rassegna tutta la divina discografia fino ad “Heretic”, la voglia mi è rimasta, e sapevo che non poteva essere sradicata con il poco divino “Illud Divinum Insanum”, l’unico album che non possiedo del combo americano. Ricorro dunque ai Deicide, ai Nile e a tutte le altre malvagità assortite che vagamente possono ricordarli, ma la voglia persisteva. Cosa dunque ascoltare? Mi ci voleva qualcosa di nuovo, mi furono allora consigliati i Behemoth...




I Behemoth??? Ma non facevano black-metal?? Mi ricordo (vaghe rimembranze di un passato lontanissimo) un dischetto dalla copertina carina (tipico scorcio forestale) che per un istante mi passò per le mani. Era il 1994 e quel cd era probabilmente “And the Forests Dream Eternally”: il “nuovo black-metal”, quello tirato a lustro dall’Inner Circle norvegese, si stava imponendo, e i piccoli Behemoth non erano altro che i cloni polacchi dei Darkthrone. Il loro black-metal scarno, suonato male e registrato peggio aveva se non altro il merito di essere contemporaneo.

Io però ho voglia di Morbid Angel, quindi di death-metal, dunque di death-metal maestoso e tendente al visionario. Quindi che c’azzeccano proprio i Behemoth?

Duplice sorpresa!

La prima sorpresa è che scopro che oggi i Behemoth non sono più una banducola dedita ad un black poco personale e ricco di incertezze. Ripercorrendo la loro storia apprendo che a partire dall’album “Satanica” (anno 1999) i nostri hanno impresso una drastica svolta al loro sound, adottando un approccio più tecnico e violento che li avrebbe avvicinati ai ranghi del death-metal. Pardon, blackened death metal lo chiamano, per sottolineare questa commistione di generi, in cui la potenza del death va ad ammantarsi delle atmosfere torbide del cugino nero. Lo screaming acido si tramuta così in urlo becero, un growl espressivo e ben articolato; le chitarre sfrigolanti in stile cantina norvegese vengono sostituite da un imponente tripudio di accordi ribassati, suoni saturi e molteplici cambi di tempo. A venire in mente, a questo punto, è il tipico professionista polacco del death-metal, dotato di quel rigore, di quella dedizione, di quello spirito di abnegazione che sono tipici di chi si forgia sotto l’ombra lunga dell’ex blocco sovietico. T'immagini quindi quei giovani tristi e bruttissimi, già vecchi dentro, con il capello inguardabile e il chiodo oramai fuori moda, che a denti stretti si allenano e provano, giorno dopo giorno, fino a diventare bravissimi, tecnicissimi, velocissimi, assolutamente privi di estro e fantasia.

E invece?

Seconda sorpresona: scorri le foto sulla rete e ti trovi ‘sto pagliaccio in gonnella e pitturato in faccia, pure bonazzo se si vuol vedere la cosa da un’angolazione più benevola. E’ Nergal, fondatore e membro storico della band, front-man, compositore principale, nonché unico sopravvissuto ai vari stravolgimenti di line-up. Nergal, il minaccioso e temibile Nergal, processato per aver strappato una bibbia in pubblico durante un concerto, è l’alter ego artistico di Adam Michal Darski (Gdynia, 1977), personaggio contraddittorio dalla stupefacente biografia: corso di sei anni di storia e due di latino c/o l’Università di Danzica, qualifica di Curatore Museale (!!), oltre che musicista affermato, coach nel talent-show “The Voice of Poland” (sorta di X-Factor polacco!!), testimonial (!!!) dell’energy drink Demon Energy (“No limits, no laws” era lo slogan pubblicitario), compagno della pop star polacca Dorota Rabczewska, in arte Doda (detto fra parentesi, una fica stratosferica), pure proprietario di un salone di parrucchieri a Varsavia. Un’esistenza mondana, mediaticamente esposta, frizzante sia al di fuori che sotto i riflettori, fino alla tragica vicenda della leucemia diagnosticata in stato oramai avanzato: battaglia per la vita strenuamente combattuta e vinta per un soffio grazie ad una provvidenziale donazione last minute di midollo osseo.

Insomma, personaggio in vista nei patri confini, musicista rispettato nel resto del mondo, tanto che è stato difficile per me orientarmi nella folta discografia dei Behemoth alla ricerca dall’album da avere: pare infatti che a partire dal già citato “Satanica” l’ascesa verso le stelle sia stata inarrestabile, e che da “Demigod” (2004) in poi non vi sia stata sul globo band più indispensabile. Capolavori su capolavori… “The Apostasy” (2007)… uno meglio degli altri… “Evangelion” (2009)… fino al controverso “The Satanist”, dato alle stampe l’anno scorso.

TRADIMENTO! TRADIMENTO! Ecco che ad un certo punto il metallaro s’incazza e non ci sta più. Brutta bestia il metallaro, fino ad un momento prima ti idolatra, il momento successivo ti punta addosso il dito inquisitorio: TRADIMENTO! TRADIMENTO! Che amante geloso e possessivo che sei metallaro, Volubilità, il tuo nome è metallaro!, potremmo dire parafrasando il celebre verso shakespeariano.

Ma cosa avrà mai combinato di così tanto grave il buon Nergal, peraltro appena uscito dalla malattia mortale e con una voglia di rivincita dentro che nemmeno Rocky Balboa? Ha forse fatto un disco pop insieme a Ryhanna? Ha forse duettato con Al Bano? Si è convertito al cattolicesimo? No, niente di tutto questo! Anzitutto ha dedicato un disco a Satana, e non è che sia una cosa così scontata. Ma il paradosso è solo apparente: è un satanismo carducciano, quello professato da Nergal, simbolo di libertà di espressione e di auto-realizzazione (ci sarà anche un pizzico di frustrazione per via delle vicende giudiziarie?, maledetta Polonia...). Musicalmente, la colpa di Nergal è stata di aver fatto un disco un po’ più lento, iper-prodotto, con un po’ d’orchestra, con un po’ di cori, con qualche passaggio più orecchiabile del solito (diocisalvi...). Del resto Adam “Nergal” Darski vuole piacere, ha bisogno di piacere. E sapete che vi dico? Guardando il pacchiano video del singolo “Blow You Trumpets Gabriel” mi son convinto: lo prendo! Sì, Nergal, ti voglio supportare nel momento del bisogno, non voglio andare a rovistare con il lanternino nel tuo glorioso passato (non ne ho le forze, perdonami), ti voglio come sei oggi, mi vai bene così, carico di vita, voglioso di rivalsa!

E dunque com’è questo “The Satanist”? Non è affatto male. Va fatta però una premessa. E’ innegabile: un po’ patinati, questi Behemoth, lo sono. La proposta rimane estrema, e parlare di album commerciale mi pare onestamente troppo. Tuttavia, mentre lo si ascolta, non ci si toglie dalla testa che qua e là venga evocato, più che il Maligno, lo spirito paraculo di certi cattivi maestri come i Dimmu Borgir della boriosa maturità (ve li ricordavate in versione photoshoppata con le canotta retata e gli impermeabili di pelle nera?) e gli Shining più recenti (altra testa di cazzo, il bandana!). A proposito di maestri, di maestri veri, c’è da dire che nel complesso quest’album, musicalmente e concettualmente, ricorda “Monotheist”, l’album del Ritorno (era il 2006) dei mitici Celtic Frost. Con l’unica differenza che quella dei maestri elvetici è roba di un altro pianeta, e se si vuole saggiare qualcosa in ambito metal che tenti un approccio filosofico al satanismo (ma anche alla religione in generale), vi è solo una cosa da fare: andarsi ad ascoltare “Monotheist”.

Ma tolti questi aspetti, l’album funziona, in quanto ben suonato, equilibrato, professionalmente confezionato e denso di sfaccettature. Ed adesso vi spiego perché in vecchiaia non solo è lecito, ma anche doveroso, ascoltare i Behemoth: perché si è troppo vecchi per soffrire (soffrire sempre, in ogni istante, intendo). Avremo sempre voglia di mostrare che ce l'abbiamo più lungo di tutti (il famoso “celollunghismo” del metallaro duro e puro), e ci sarà sempre tempo per pestare come se non ci fosse un domani, per annegare nel torbido drone-ambient che non porta a nulla, per assecondare quella insana voglia di sforzare le orecchie nella direzione di fruscii lontani e impercettibili tintinni di piatti. Però, aggiungo io, non c’è nemmeno da vergognarsi se per un attimo ci si vuole riposare ed ascoltare un po’ di metal ben suonato, in cui santoddio accada qualcosa, in cui gli strumenti possono essere riconosciuti, dove i brani si distinguano persino fra loro, dove c’è quello più veloce ed accanto quello più lento, dove c’è l’orchestrina mescolata alle chitarre.


In tutto questo, i Behemoth sono dei professionisti e la mattina, quando vado a lavoro, e magari fa bel tempo, me li ascolto volentieri...