3 apr 2015

DAGLI AND OCEANS AGLI HAVOC UNIT - DALLE CORSE SOTTOMARINE AI DIPINTI SENZA COLORI

Ci sono domande che tormentano ognuno di noi. Essere o non essere ? Perché siamo qui ? Che senso ha tutto questo ? Ma anche, e la risposta è qui più difficile: “Siamo forse tutti vermi elastici in questo tecno-temporale rosso ?”.
Oggi sono giunto, e nessuno mi smuoverà da questa conclusione, che queste domande non vogliono dire semplicemente una mazza. Pura poesia, un po' alla Pascoli, con queste suggestioni sensoriali a volte sovrapposte o combinate e servite al lettore in forma musicale.
Sono gli ...And Oceans, responsabili di alcuni ottimi dischi di black e post-black, auto-ribattezzatisi Havoc Unit quando la misura della sperimentazione era colma.

A cura del Dottore

La costante stilistica è rimasta appunto nei testi. In principio era un gruppo symphonic black, con suono molto corposo, tastiere suadenti e molto “liquide”. Il secondo album si fa più difficile, più grezzo, chitarre più sfrigolanti e meno nitide, batteria meno ovattata. Rimangono i repentini cambi di tempo, gli intermezzi melodici alla Dimmu Borgir, ma quello che inquieta sono i testi, non più soltanto suggestivi, ma decisamente improntati al non-senso, che alternano un registro sensoriale ad uno cerebrale. Immagini, suoni, associazioni da viaggio psichedelico alternate a ragionamenti appiccicati lì, anche quelli forse da viaggio psichedelico.
Ora ricordo un caso clinico, una persona che dipingeva, ma quando le sue percezioni si facevano molto violente e il suo stato diventava eccitato, iniziava a dipingere in maniera sempre più ermetica, fino alle singole forme, una linea per quadro, che era la migliore sintesi secondo la sua sensibilità di quel momento del fiume di spunti ed emozioni che viveva. Nel loro caso, il titolo “La simmetria della I, il cerchio della O” già rendono l'idea di questo “sintetismo” emotivo-sensoriale.

La cosa disturbante delle liriche degli And Oceans è che sono interattive, quando meno te l'aspetti ti pongono delle domande. Per cui finché il tipo la mena dicendo “Io so che sono io, se e soltanto se io credo di essere me” e poi “se io fossi stato l'altro me, e se avessi voluto essere l'altro me, allora avrei potuto essere io” - si può annuire facendo finta di seguirlo, ma poi quando ti pone questioni del tipo “è facile correre sott'acqua ?” oppure “è facile dipingere ma bada bene senza colori ?”, allora è giunto il momento di tornare in reparto. Forse la chiave della dimensione “And Oceans” ci arriva in Baby Blu Doll, quando si capisce che chi parla può essere l'io, i me-stesso (al plurale), oppure le divisioni di me. Un casino di gente quindi che interagisce, e spero si risponda anche a vicenda.

Direi che l'apoteosi di queste elucubrazioni deliranti si raggiunge con il testo di Solipsism: “Quando ero più giovane (un cristiano ingenuo con pensieri che erano come zucchero caramellato) le mie dita sono state attaccate (sic !) dalle unghie, e sentivo Gesù gridare, intrappolato come uno schiavo sotto la mia pelle. Questo accadeva nei giorni in cui l'acqua scorreva nelle mie vene, la pioggia continuava a cadere nella mia testa e io lo rinnegavo e lo uccidevo (non con forbici o coltelli, ma con i muscoli interni del torace). Le voci dicono che il bastardo è stato stuprato in croce, ma forse era un ermafrodita che si è struprato da solo. Fondamentale è essere perpetuo e trasparente alla realtà attuale. Capisco che questo traffico menale era un nuovo simbolo che bruciava nella mia mente, come pianeti in orbita intorno a me. Stavo in piedi al centro col sole in tasca e mi chiedevo: l'esistenza è un'illusione, l'umanità affronterà il fungo atomico, ma io sono io, l'ultimo Dio.”
I testi potrebbero essere opera anche di YOU, un pagliaccio-mascotte che compare in un retro-copertina. Sicuramente il pupazzo è elencato tra i membri ufficiali del gruppo come vocalist.
Con i successivi due invece si realizza la svolta post-black, con la scelta di fusione tra elettronica pulsante da rave, strutture semplificate e sapore decisamente “sintetico” dell'insieme (in tutti i sensi, della sintesi e nel suono). In “Cypher” i brani hanno tutti tre nomi, gli esclamativi si sprecano ma per fortuna invece mancano gli interrogativi, e perlomeno i deliri testuali diventano chiusi. Parrebbe di intuire un tema escatologico, tra il religioso, l'esistenziale, e il puro sfogo fantastico.
I nostri si fanno anche più seriosi e malinconici, in fase di spegnimento.
I mondi dei nostri, il cielo che piove, i pavimenti che divengono pozze liquide, i sentimenti che cambiano colore e schizzano da una parete all'altra, sembrano chiusi nelle quattro mura di una discoteca psichedelica.

A questo punto stetti qualche anno ad attendere una nuova uscita, per poi scoprire che gli And Oceans mi avevano fregato e mi erano passati davanti sotto il nuovo nome di Havoc Unit.
Il progetto è effettivamente di diversa impronta, industrial-black feroce e dai suoni secchi, tematiche nichilistiche e piglio misantropico. Un falso nichilismo, in realtà panteismo: in un testo-prosa gli Havoc Unit spiegano come l'inferno sia una realtà terrena, quella di chi vuole contrastare il “piano della natura”, e che questa sia l'unica vera morte, quella spirituale, mentre le morti fisiche sono solo un passaggio tra due dimensioni. Se si entra o si esce è un problema del lato da cui si guarda il passaggio. L'osmosi è continua. Quindi esiste una pienezza per l'uomo, soltanto al centro di un caos di morte e assenza che il mondo sembra preferire. Ed esiste anche una continuità, perché non c'è inizio né fine, ma eterno circolo. Chissà che ne direbbe il pagliaccio YOU, ma qui non ha più voce.

Ecco, qui con gli Havoc si capisce qualcosa, anche se poi alla fine non è che questa teoria della morte come passaggio sia nuovo o abbia mai convinto nessuno in tutta la storia della filosofia. Musicalmente lascio a voi la scelta tra le varie incarnazioni, a livello concettuale era molto meglio quando non si capiva una mazza coi testi degli And Oceans.