16 giu 2015

SUNN O))): VERSO IL NIENTE…




I MIGLIORI DIECI ALBUM DEL “NUOVO” METAL

8° CLASSIFICATO: “BLACK ONE”

Dalle complesse e cervellotiche trame musicali allestite dai Meshuggah alle “assenze sonore” dei Sunn O))), paladini della musica dronica riletta in chiave metal: un’altra temibile tappa del cammino da noi intrapreso per comprendere le sfaccettature del “Nuovo Metal”.

Fino a pochi anni fa la creatura di Stephen O’ Malley e Greg Anderson era trattata alla stregua di uno scherzo di cattivo gusto. I due musicisti americani (già forti di esperienze interessanti quali Khanate, Burning Witch e Goatsnake), sullo scadere degli anni novanta, s’imposero sul mercato discografico con una proposta originale quanto sconcertante. I Sunn O))) di “00Void” (debutto discografico targato 2000) erano fautori di una sorta di oscura musica strumentale che si sviluppava in lunghissime composizioni (spesso superiori ai dieci minuti) in cui chitarre e basso si fondevano ossessivamente in dense pennellate doom e ronzanti feedback: un funereo ed allucinogeno rituale ritratto in un ipnotico slow-motion che, per via della totale assenza di elementi ritmici o di orpelli aggiuntivi, finiva per avvicinarsi all’ambient.

In verità i due volponi non inventarono niente di nuovo: i veri iniziatori di quello che potremmo definire drone-doom metal (per inciso: drone sta per “vibrazione”, droning sound per “suono ronzante”) sono stati gli Earth di Dylan Carlson (per inciso: colui che prestò a Kurt Cobain il fucile con cui si uccise). Andando ad ascoltare “Earth 2” (del 1993) troviamo già “compiuta” la rivoluzione dei Sunn 0))). In cosa dunque i Nostri riuscirono a distinguersi?  

Già l’esperienza musicale degli Earth portava con sé ambizioni meta-testuali, in quanto lo stesso monicker della band era di per sé materiale di scarto: esso, infatti, era il nome originario (poi scartato) che Ozzy e compagni avevano individuato per la loro band, prima di optare per il più evocativo Black Sabbath. Al di là della implicita dichiarazione di intenti (i Black Sabbath rimangono l’influenza fondamentale per gli Earth), si introduce quello che è il tema principale: l’idea di una musica fatta di “scarti”, ossia priva di elementi distintivi (una struttura, un ritornello, un assolo), come se essa si componesse di un’accozzaglia di riff esclusi (in quanto poco significativi) dalle sessioni ufficiali e poi rabberciati insieme senza grandi premure. La creazione di O’ Malley ed Anderson si spingerà ulteriormente oltre, divenendo un’operazione di trasfigurazione volta a rileggere i più disparati generi musicali attraverso un linguaggio che, paradossalmente, si poneva come l’esatta antitesi dei canoni del metal estremo. Se la velocità esecutiva era comunemente riconosciuta come indice di estremismo, ecco che i due l’annullavano completamente: alle violente e brutali schegge grind, si sostituivano una violenza ed una brutalità diverse, incarnate da estenuanti viaggi sonori privi di schema e di voce. In altre parole, nell’estremismo della proposta dei Sunn O))), la forma, comunque massimalista (incredibili i muri di chitarre allestiti dai due), veniva letteralmente superata dall’oltranzismo della portata concettuale. Di ritornelli, temi, anthem da cantare non se ne parla. Da un punto di vista scenografico, i due si presentavano sul palcoscenico in saio e mestamente incappucciati, avvolti da fumi e da una tetra nebbia che li separava dal pubblico. E con alle spalle una parete di amplificatori pronti a riversare sulla platea tonnellate di decibel, con gran disprezzo per ogni norma sulla sicurezza acustica.

Ecco perché inizialmente i Sunn O))) non venivano presi sul serio dal metallaro medio, in preda a quella miopia che è inevitabile quando ci si trova innanzi a mostruosità di tal fattispecie (del resto, gli stessi Napalm Death, che poi verranno considerati seminali, all’inizio furono accolti con la medesima diffidenza e con le stesse resistenze). Il Nuovo è spesso mostruoso (in quanto scardinatore di certezze e consuetudini) e il nuovo che i Sunn O))) misero sul piatto, se inizialmente fu oggetto della curiosità degli ascoltatori più audaci, successivamente sarebbe divenuto un linguaggio adottato come standard da altre band. La stessa figura di O’ Malley, impegnato sui fronti più disparati, diverrà una figura di riferimento per il metal del terzo millennio, non solo in quanto titolare (insieme ad Anderson) della fortunata etichetta Southern Lord (promotrice di una schiera di band molto valide legate in qualche modo all’universo drone/stoner/sludge/doom), ma anche e soprattutto come l’alfiere primo di un metal sempre più portato alla sperimentazione senza limiti. Come fu negli anni novanta per John Zorn (teorico dell’incesto fra jazz e grind, fra musica d’avanguardia e profano metal spaccaossa), anche l’attività di O’Malley si moltiplicherà in una miriade di progetti, tutti decisamente interessanti: dall’irrazionalità sonora degli sconcertanti Khanate (fra doom, grind ed avanguardia), al drone-ambient dei KTL (progetto diviso con lo sperimentatore elettronico inglese Peter Rehberg, in arte Pita), passando dal “jazz esoterico” degli Aethenor (che hanno visto avvicendarsi dietro al microfono prima Kristoffer Rygg degli Ulver e poi David Tibet dei Current 93), giusto per citare i capitoli più significativi.

Tornando ai Sunn 0))), dopo il paradigmatico debutto (che delineava in senso compiuto gli assunti di base), i due si destreggeranno furbescamente in una sequela di interessanti variazioni sul tema che vedranno il peculiare e collaudato drone-doom metal di marca Sunn O))) flirtare di volta in volta con elementi sempre nuovi, in nuove spiazzanti performance (una formula potenzialmente riciclabile all’infinito). E così il capolavoro “The Flight of Behemoth” (2002) annovererà la presenza delle disturbanti manipolazioni elettroniche del terrorista sonoro Masami Akita, (in arte Merzbow), mentre i successivi “White 1” (2003) e “White 2” (2004) contempleranno il contributo rispettivamente di Julian Cope (rispolverato nella veste di apocalittico cantore in un contesto di oscura psichedelica) e di Attila Csihar dei Mayhem (chiamato a decantare niente meno che dei testi Veda, le più antiche testimonianze scritte della storia).

Giungiamo dunque a “Black One”, che non è né il capolavoro dei Sunn O))), né il loro album più rappresentativo. E’ tuttavia con questo lavoro che si compie un’altra piccola rivoluzione (nella rivoluzione) che avrà significative ripercussioni sul panorama musicale estremo degli ultimi dieci anni. Se si è detto che l’idea originaria (e quindi l’impianto stilistico di base) era stata “rubata” agli Earth”, e che semmai era la volontà trasfigurante del duo a porsi come il vero tratto distintivo del progetto, in “Black One” si edifica un ponte che conduce direttamente al black metal, riabilitato finalmente come genere.

“Black One” si pone in effetti come la prima ed esplicita rivalutazione del black metal norvegese, che al termine degli anni novanta pareva oramai aver concluso il proprio corso, come spesso capita in ambito metal, dove le rivoluzioni stilistiche hanno un’autonomia di qualche anno, per poi essere od accantonate o superate in nuovi cicli. Paradossalmente, già da qualche anno, gli assolati Stati Uniti erano divenuti un improbabile teatro per la rifondazione del black metal così come si era costituito nelle fredde lande norvegesi. Primi fra tutti: i Weakling del seminale “Dead As Dreams” (registrato nel 1998 e rilasciato nel 2000), veri iniziatori di quel movimento che sarebbe stato poi battezzato U.S. Black Metal. Fra gli esponenti più credibili di questa nuova ondata di band, ritroviamo coloro che portarono avanti il verbo del depressive black metal (scaturito dalle intuizioni di Burzum, poi sviluppate da act quali Shining e Silencer): parlo di gente come Malefic degli Xasthur e Wrest dei Leviathan, non a caso coinvolti dai Sunn O))) nella gestazione dell’album in questione. L’operazione costituirà un documento programmatico per tutte le deviazioni drone-ambient del post-black metal, che diverrà uno dei filoni più vitali del nuovo millennio in fatto di metal estremo.

Nonostante queste premesse, “Black One” rappresentò, almeno fino al momento della sua uscita, l’album più accessibile del duo, sia per la lunghezza delle composizioni, che si riduceva drasticamente (sette pezzi per quasi settanta minuti, contro i quattro, addirittura i tre pezzi che componevano le opere precedenti), sia per la presenza di nuovi elementi chiamati a dare maggiore varietà alla proposta. A partire dai riff in tremolo che tanto odorano di cantina norvegese, fino ad arrivare allo screaming effettato dei già citati Wrest e Malefic (il quale, per la conclusiva “Bathory Erzsebet” si farà addirittura rinchiudere in una bara con l’intento – riuscito! – di rendere la sua agoniosa interpretazione canora ancora più inquietante). Mai la dimensione vocale era stata così massicciamente presente in un album dei Sunn O))) (e l’ascoltatore ringrazia!).

Già attenti osservatori, durante gli anni novanta, della scena norvegese (nonché redattori di una fanzine di genere ed amici di personaggi illustri quali i già menzionati Attila Csihar e Kristoffer Rygg), Anderson ed O’ Malley con “Black One” intesero omaggiare esplicitamente quegli stilemi musicali, coverizzando l’irriconoscibile “Cursed Realms (of the Winter Demons)” degli Immortal (stravolta ed espansa in chiave noise) e citando l’indimenticato Dead in “CandleGoat” (il cui testo non era altro che una strofa tratta dalla celeberrima “Freezing Moon” dei Mayhem).

Quello che infine ci insegnano i Sunn O))) è che per essere estremi non è necessario correre alla velocità della luce, né cambiare tempo ad ogni piè sospinto o imporre un campionario di riff tronca-ginocchia. Al tempo stesso essi dimostrano che per fare musica colta non c’è bisogno di scavalcare il filo spinato che circonda il metal, ma si può rimanere tranquillamente (e fieramente) dentro! Il “Nuovo Metal” (che, nonostante la sua natura concettuale, non ci rimette in fisicità) è anche questo: una forma d’arte adulta che raggiunge la sua maturità senza passare da un ammorbidimento dei suoni. Anzi…