26 giu 2016

PRODUTTORI A CONFRONTO: WALDEMAR SORYCHTA VS PETER TAGTGREN

 


Mi ricordo che in un'intervista la pop star Madonna, riferendosi al proprio processo creativo, disse una volta: "E così vado in studio e vedo se con i ragazzi salta fuori qualche idea", intendendo, per ragazzi, il folto stuolo di collaboratori, produttori, tecnici del suono, musicisti e insegnanti di yoga e pilates a sua disposizione. Un'affermazione del genere trova poco senso nel metal, visto che esso è storicamente un genere che nasce dalle cantine e che solo a composizione ultimata si riversa in studio per l'incisione.

Eppure anche nel metal il ruolo del produttore non è affatto secondario, basti citare nomi come Rick Rubin, Bob Rock e Scott Burns, accorti mestieranti che hanno saputo influire in modo determinante sull'evoluzione delle band che hanno via via seguito. Oggi però parliamo di due produttori che, nel corso degli anni novanta, hanno saputo cambiare i connotati al volto del metal estremo di marca europea: Waldemar Sorychta e Peter Tagtgren.

Il nome di Waldemar Sorychta si lega inevitabilmente a capolavori come "Wildhoney" dei Tiamat, "Wolfheart" dei Moonspell, "Mandylion" dei Gathering, "Passage" dei Samael, "Frozen" dei Sentenced, giusto per citare i nomi più significativi. Ma la lista dei clienti "di lusso" che si sono rivolti a Sorychta per la produzione dei propri lavori proseguirebbe oltre: in essa infatti troviamo anche dei giovanissimi Unleashed (in occasione del debutto "Where No Life Dwells", il quale richiedeva un sound diretto e belligerante che il Nostro seppe puntualmente fornire), dei maturi e già affermati Therion (presi in carico da "Vovin" in poi - cosa da non sottovalutare: "Vovin", da molti considerato il capolavoro degli svedesi, gode di suoni splendidi, ideali nel supportare quel sound così maestoso, complesso e sfaccettato che sa mettere insieme musica classica, opera, elementi etnici e heavy metal), i nostrani Lacuna Coil (accompagnati verso il successo mainstream) e poi ancora Borknagar, Alastis, Tristania e molti altri.

Torniamo tuttavia ai primi cinque emblematici titoli da noi enunciati: ciascuna di quelle opere è stata nel proprio ambito di fondamentale importanza e tutte insieme sono accomunate dal coronamento di un intento, ossia quello di rompere gli schemi e passare dal metal estremo a qualcosa di diverso, più ampio e più maturo. Cosi i Tiamat approdavano alla maestosa psichedelia dei Pink Floyd, i Moonspell spingevano il black metal verso inediti lidi gotici caratterizzati da seducenti atmosfere da "Le mille e una notte" (retaggio delle conquiste arabe in terra portoghese), i Gathering, forti della portentosa ugola della new entry Anneke van Giersbergen, venivano riverniciati a nuovo con intriganti tinte progressive, mentre i Samael venivano addirittura lanciati nello spazio a flirtare con l'elettronica e la musica industriale. Quanto ai Sentenced, si avviava per loro il periodo di maggior popolarità, grazie all'approdo ad un sound più melodico che li traghettava dalle parti di un orecchiabile ma avvincente goth-rock. Dietro a queste coraggiose scelte vi è stata la stessa identica sapiente mano, capace di governare le energie creative degli artisti e di dirigerle in modo credibile verso nuovi ed ignoti orizzonti: quella mano era di Waldemar Sorichta.

Classe 1967, polacco di nascita, egli ha un background da musicista, la chitarra è il suo strumento prediletto, ma si difende piuttosto bene anche dietro a quelle stesse tastiere che tanto hanno influito nella configurazione del nuovo sound delle band da lui seguite come produttore. Egli è stato anche titolare di vari progetti, fra i quali primeggiano quei Grip Inc. che dovettero la propria fama al fatto di aver ospitato dietro alle pelli un certo signore di nome Dave Lombardo all'indomani della sua eclatante fuoriuscita dagli Slayer. Sebbene i lavori dei Grip Inc. fossero tutti di buona fattura, non si capisce come mai colui che sarebbe divenuto il guru nel “gothic metal illuminato” si fosse imbarcato nei mari in secca del thrash metal, che nel corso degli anni novanta non viveva sicuramente il suo periodo migliore. Ma il problema non era tanto il genere suonato, quanto il fatto che, come molti produttori, Sorychta è un musicista senz'anima. Dotato tecnicamente, e per certi aspetti in possesso di uno stile personale, difficilmente il Sorychta chitarrista ci ha fatto scorrere i brividi lungo la schiena. Di contro, come produttore, gli dobbiamo praticamente lo sviluppo del gothic metal in tutte le sue forme. Certo, la materia prima era di eccellente qualità, ma l'ottima riuscita dei prodotti di band così diverse per background, sensibilità, intenti, ma anche per provenienza geografica (dal Portogallo alla Finlandia, passando da Italia, Olanda e Svezia!), è probabilmente adducibile alla mano occulta che ammaestrava questi incredibili talenti: una mano che sapeva individuare le potenzialità inespresse, incanalare le energie, svilupparle verso certi orizzonti e non altri. Una mano che, all’occorrenza, interveniva direttamente laddove necessario: basti pensare che per "Wildhoney" (per il quale Sorychta vinse anche un premio nel 1995 come miglior album prodotto in ambito gothic) il Nostro si fece carico di tutte le parti di tastiera (che in quel lavoro non erano certo poca cosa…).

Per Peter Tagtgren il discorso è diverso: svedese, classe 1970, egli nasce come musicista, e come leader degli Hypocrisy si iscriverà di diritto fra coloro che nel corso degli anni novanta sapranno rivoluzionare il death metal in direzione melodica e progressiva. C'è da dire però che anche come autore il Nostro aveva già la testa da produttore, in quanto il cocktail sonoro da lui approntato era troppo oculato per essere figlio della sola urgenza comunicativa. Riascoltando il masterpiece "Abducted" si ha infatti l'impressione che tutto sia perfettamente al suo posto: il brano veloce, il brano cadenzato, screaming e growl, che si bilanciano perfettamente, voci pulite distribuite in modo equilibratissimo, l'assolo melodico, l'arpeggio, i tappeti di tastiera al momento giusto, la ballata, il ritornello orecchiabile, tutto è esattamente dove deve stare. I suoni poi sono nitidi in modo che tutte le sfumature siano udibili: una produzione perfetta che lo è forse anche troppo. L'unica caratteristica del Tagtren produttore un po' anomala è quella dissolvenza nel finale che a volte si porta via troppo velocemente la coda della canzone, ma secondo me è cosa voluta, laddove appunto la “volpe” non vuol rischiare di annoiare l'ascoltatore con una dissolvenza troppo lunga. Fra le band preferite di Tagtgren ci sono i Kiss, paraculi per eccellenza del rock anthemico, e lo svedese un po' eredita quella concezione pratica secondo cui tutto deve durare finché ha senso e non annoia.

Tuttavia il modo di produrre di Tagtgren è un po' freddo e secondo me ha finito per attenuare la verve di qualche lavoro prorompente, ingentilendolo eccessivamente nei suoni. Procediamo con calma: i più grandi successi di Tagtgren sono stati i Dimmu Borgir (presi in carico da "Stormblast" e gradualmente accompagnati alle grandiosità sinfoniche della maturità) e i Marduk (con cui il Nostro lavorò a partire del capolavoro "Heaven Shall Burn...When We are Gathered", che coincise con l'inizio del vero splendore per gli svedesi). Da un lato, dunque, la band black metal norvegese plastificata per eccellenza, dall'altro un’altra black metal band “fighetta” che, pur non rinunciando ad un approccio violento e senza compromessi, decise di prendere le distanze dalle sonorità low-fi che andavano per la maggiore negli anni novanta. Due band che, piacciano o meno, hanno vinto la loro sfida ed hanno saputo tirare fuori il loro meglio proprio mentre il Nostro sedeva dietro al mixer.

Per il resto Tagtgren, pur specializzandosi in campo estremo, è stato un po' come il prezzemolo: ce lo siamo ritrovati ovunque, ma non ha saputo incarnare un tratto particolare del metal. Ha dato una mano qua e una mano là, magari anche collaborando con artisti importanti, ma non sempre con risultati esaltanti. Il fatto è che Tagtren come produttore ha una personalità forte e possiede la simpatia, le argomentazioni e le capacità persuasiva per far passare una certa linea (la sua), convincendo anche musicisti scafati e non solo ragazzi alle prime armi. Ma la sua formula non sembra funzionare in ogni occasione. Se un sound pulito e capace di valorizzare ogni singolo strumento ha giocato a favore del black vario e dinamico dei Naglfar del loro imperdibile esordio "Vittra", magari una produzione più potente ed incisiva avrebbe giovato ai Children of Bodom di "Follow the Reaper", che, per il carattere melodico della loro proposta, rischiavano di suonare troppo soft negli ambienti estremi. Con gli Opthalamia ha pareggiato: se ha saputo rivitalizzare degnamente il debutto “A Journey in Darkness” attraverso la bella rivisitazione “A Long Journey” (con suoni distinguibili, ma ancora ruvidi e potenti), con “Dominion” ci ritroviamo fra le mani album più semplice e commerciale (!!!) degli Ophthlamia, quando si sa che la musica degli svedesi ha da essere una "via dolorosa”. Con "A'arab Zaraq-Lucid Dreaming" dei Therion, infine, il Nostro non riuscì ad evitare il disastro (ma qui a fallire è anzitutto la band di Christofer Johnsson, che in questa sorta di "big" EP affiancava ad una colonna sonora poco riuscita, una manciata di pezzi insipidi). Il dato che tuttavia emerge è che Tagtgren come produttore non sembra in grado di ribaltare l'esito di una operazione fallimentare, come se egli non fosse più di tanto capace di incidere sull'eventuale successo o meno di un album, e che la sua opera di laccatura recasse vantaggi solo a chi brilla di grande ispirazione, ma non a chi non vive il suo momento migliore e magari si muove con passo incerto: "Mi casa es tu casa e beviamoci sta birra insieme ascoltando i Kiss...", sembra essere la "formula magica".

Tanto per aggiungere carne al fuoco, da un certo punto in poi Tagtgren diverrà anche il "vate delle resurrezioni", accogliendo sotto la sua ala protettiva formazioni che, dopo un periodo di crisi o addirittura dopo una lunga assenza dalle scene, decidono di rilanciarsi nel mercato discografico. È il caso, per esempio, dei Destruction, dei Celtic Frost e degli Immortal. Ma anche in questi casi il "successo" non è garantito: buono il lavoro effettuato con Destruction (che per il loro fiero ritorno potettero finalmente godere di una produzione professionale, massiccia ed al passo con i tempi) e Celtic Frost (il cui sound monumentale venne valorizzato da una produzione di spessore e capace di far risaltare i dettagli); un po' di meno è apprezzabile quanto fatto per Abbath nella nuova versione degli Immortal senza il demon brother Demonaz: i “nuovi Immortal” guadagneranno epicità, aperture melodiche, pezzi più ariosi, ma perderanno quel fascino irrazionale e quell'alone di malvagità che avevano caratterizzato le loro origini. E in questo la produzione pulita di Tagtgren è stata determinante (si guardi per esempio all’insipido "Damned in Black").

Precisione, accuratezza, suoni puliti, ma poco cuore, poco calore, poco fascino: queste, in soldoni, le caratteristiche delle produzioni firmate da Tagtgren, professionista di indubbie capacità, ma in grado di valorizzare solo band in possesso di un discreto bagaglio tecnico e di una direzione stilistica già tracciata. Nel peggiore dei casi, le sue produzioni tendono ad “imborghesire” gli album che passano sotto il suo mixer, laddove invece Sorychta risultava capace di mutare in oro tutto quel che toccava, arrecando un reale valore aggiunto che non era solo un'atmosfera confortevole, birre a profusione e suoni laccati per tutte le stagioni.

Volendo tuttavia dare un giudizio "storico", il risultato è più o meno lo stesso in entrambi i casi. Le schiere di band curate dai due produttori non sembrano aver superato la prova del tempo: le rivoluzioni da esse arrecate nel corso degli anni novanta, appaiono più sbiadite oggi, con i loro suoni un po’ di “plastica”, schiacciate dalle produzioni rocciose, slabbrate, lisergiche (in una parola: autentiche) che hanno supportato più recentemente l'esplosione del fenomeno post-hardcore e di tutte le sue derivazioni. Paradossalmente un solco più profondo sembra averlo lasciato il grande Dan Swano, più musicista che produttore, ma con il merito di aver cullato e fatto crescere sotto la propria ala protettiva due realtà che avrebbero segnato la storia recente del metallo estremo, Opeth e Katatonia. Inevitabile pensare che dietro alla strabiliante maturazione delle due band vi sia stata una voce amica prodiga di buoni consigli ed una mano che sapesse indirizzarle verso quegli orizzonti più ampi che in precedenza erano stati abbracciati proprio dai seminali Edge of Sanity dello stesso Swano.