19 lug 2016

INTERVISTE IMPOSSIBILI: SCOTT WEILAND



Che la fine del 2015 e l’inizio del 2016 sia stato un periodo particolarmente sfigato (diciamolo pure: un periodo di merda!) per il rock e il metal è fuor di discussione. Lemmy e Bowie prima, Menza e Emerson dopo. Ma prima ancora delle scomparse di queste icone, di questi illustri musicisti, già il 3 dicembre del 2015 era mancato un cantante al quale ero particolarmente affezionato: Scott Weiland, ex frontman degli Stone Temple Pilots.

Scott aveva appena 48 anni (classe ’67) e pare sia stato stroncato dal “classico mix” di alcool e droghe. Dramma, quello della tossicodipendenza, col quale conviveva praticamente da vent’anni.

Una personalità controversa e sfaccettata quella di Scott. Bistrattata e osannata, con tanti “alti” e molti, pesantissimi “bassi”. Un uomo che ha conosciuto sia le critiche feroci che gli “osanna” della stampa. Gli allori dei “dischi di platino” e le stroncature pesanti, la ricchezza e l’infamia della prigione. Insomma, ce n’era abbastanza per noi di MM per andare a trovarlo nell’Aldilà…

A cura di Morningrise

MM: Ciao Scott, che emozione parlarti! Come butta?

SW: eh, come butta. Di merda, ecco come. Sono appena sei mesi che sono qua e mi devo ancora abituare alla cosa. Non ci riesco ancora a credere. Troppe cose mi mancano, porca troia! Avrò l’eternità per abituarmici…(ridacchia amaramente). Piuttosto, dimmi: “Metal Mirror” che c’entra con me? Ho mai forse cantato in gruppi…metal??

MM: beh, no. Cioè non lo so…non so se il grunge possa essere considerato una branca del metal, un suo sottogenere. Per quanto mi riguarda lo definirei più un movimento musicale… però: sempre di Rock si parla quantomeno, no? E tanto ci basta. Non abbiamo paraocchi verso la buona musica in redazione, al di là che sia metal o meno. Tu che dici, comunque? Hai mai cantato “metal”?

SW: bah, non saprei. E non mi interessa. Cantavo ciò che mi piaceva e di cui ero convinto.

MM: guarda, te lo dico con sincerità: non ho seguito molto la tua carriera post-STP. Da solista, con i supergruppi Velvet Revolver e Art of Anarchy…hai pure fondato un’etichetta e lanciato una linea di moda! Ma insomma, per me tu sei stato e sempre sarai solo e soltanto il cantante degli STP!
SW: …contento tu…

MM: ehm… ok, partiamo dal principio. Il principio, al di là della consueta gavetta di fine anni ottanta, è “Core” il primo full-lenght degli Stone nel 1992. Se ti dicessi che per me “Core” è il più grande album grunge della storia di quel genere (eppure uno dei meno ricordati...), che mi dici?

SW: ti ringrazio. Effettivamente quel disco ci venne davvero bene, ebbe successo sì, ma sai, forse più a posteriori che al momento della sua uscita. Del resto la concorrenza era tanta e di qualità. C’erano i Soundgarden che avevano da poco registrato “Badmotorfinger”, per non parlare di Nirvana e Pearl Jam. Peraltro noi avevamo un sound ben riconoscibile, molto diverso da queste altre band. Anche se poi si finiva per essere un po’ tutti accomunati sotto la stessa etichetta. Di certo era un periodo di grande fermento e di grande recezione di quelle sonorità. E spazio per tutti quindi. Anche per noi. Eravamo giovani e pieni di inventiva. La Atlantic ci supportò appieno all’epoca e i dati delle vendite furono lì a testimoniarlo.

MM: per molti ascoltatori occasionali o per i non addetti al mestiere, voi siete quelli di “Interstate Love Song” e poco più…

SW: si, è vero! E’ incredibile come una singola canzone ti possa cambiare l’esistenza. Eppure boh..si, per carità è una buona canzone, ma alla fine semplice, tre minuti di rock facile facile. Però non nego che ci diede molto credito per i lavori successivi. Le dobbiamo molto. Come per “Creep”, del resto. Però non ti nascondo che a me dal vivo veniva più duro cantando “Dead & Bloated” che “Interstate…” (ride)

MM: Senti, che mi dici delle critiche che ti sono piovute addosso all’inizio della tua carriera? Solo dopo parecchi anni è stato riconosciuto dalla critica che fossi un cantante con un talento naturale incredibile.

SW: me ne fottevo delle critiche! O meglio, più mi criticavano e più andavo avanti con determinazione sulla mia strada! E continuavo a lavorare duro per migliorarmi. Sai, mi piaceva variare nel canto, spiazzare, usare effetti sulla mia voce. Era anche un modo per testarmi. Qualcuno questo lo vedeva come un limite, altri come una qualità. Alla fine direi che il tempo ha messo le cose in chiaro…

MM: Scott, inutile girarci attorno. La tua morte è stata davvero un colpo per tutti (bello anche il ricordo dei tuoi ex compagni degli STP, Robert e Dean DeLeo) però in tanti ci avrebbero scommesso che finivi così…

SW: e che ti devo dire? Lo so, mi sento una merda adesso. Non tanto e non solo per me, che ho avuto molto dalla vita in fin dei conti. Quanto per i miei bambini. Sono ancora adolescenti e averli lasciati senza il padre non mi dà pace. Ma la tossicodipendenza è una brutta bestia. Ci ho provato, cazzo se ci ho provato a uscirne. Entravo e uscivo dalle cliniche. Ma alla fine ci ricascavo sempre. Ora lo posso dire: sono stato una testa di cazzo! Però quando ci sei, sei lì che combatti contro la dipendenza è tutto diverso, più difficile. E poi sotto l’effetto delle droghe ho scritto tanti buoni pezzi. Quando ero fatto, vedevo le cose in modo più distaccato e così sperimentavo. Non che fossi più lucido, tutt’altro. Ma l’ispirazione non mancava, anzi..
Però, basta non parliamone più. Non mi va…

MM: e del periodo in carcere? Se ti va di parlarne, sennò fa niente…

SW: esperienza di merda, ovviamente. Però un elemento buono l’ha avuto: mi ha fatto stare pulito per un bel po’ di tempo. E mi ha portato dei benefici, soprattutto nelle esibizioni live. Esibirsi quando sei fatto non è tanto positivo sui risultati della performance! (ride di gusto). Però basta così, eh; passiamo ad altro.

MM: certo, certo. Torniamo alla musica che è ciò che ci interessa maggiormente. Hai cantato in tanti album, suonato con tantissimi artisti, conosciuto una miriade di rockstar. Qualche aneddoto? Qualche bilancio su tutte queste esperienze?

SW: difficile dire. In tanti anni di palco e music business le esperienze positive e negative abbondano. Ma è inutile girarci attorno: la cosa più bella rimane il palco, i live, sentire l’energia che sale dalla folla. Ti prende un’adrenalina pazzesca. Se invece mi concentro sull’attività in studio, beh, i primi dischi con gli STP sono quelli di cui vado più fiero: “Core”, “Purple”. Già da “Tiny music…” però qualcosa si incrinò. Lo ammetto: la responsabilità fu quasi totalmente mia e dei miei problemi con la droga. Stavo pure divorziando dalla mia prima moglie, insomma un casino. Tutto questo si riverberò sulla qualità della musica e la critica specializzata non fu tenera con noi. Ma questo fa parte del gioco. Poi c’è già da dire che con “No. 4” le cose andarono meglio; non che quel disco fosse un capolavoro, tutt’altro. Però qualcosa di molto buono c’era pure lì.

A livello di personaggi invece devo dire che ogni incontro è stato in qualche modo arricchente. Soprattutto dopo i litigi con Rob e Dean avevo una voglia di rivalsa pazzesca; rivalsa verso me stesso intendo. Da lì nacque il progetto Velvet Revolver con Duff e Matt (McKagan e Sorum, ndr), due bravi ragazzi, anche loro con voglia di spaccare dopo le cantonate prese con i Guns.

MM: e mentre tu pubblicavi con i Velvet Revolver, gli STP si scioglievano…

SW: non ti nascondo che un pizzico di goduria l’ho provata in quel periodo! Ma è stato solo un attimo. Ero contento di ciò che facevo senza sentimenti di rivalsa. Tant’è che mi hanno pure chiamato per la reunion del 2008…

MM: e di Chester Bennignton (frontman dei Linkin Park, chiamato a sostituirlo negli STP, ndr) che mi dici? Ti sei incazzato per quello, eh?

SW: ebbeh, grazie al c…! Direi! Ho capito che gestirmi, gestire i miei cambi di umore (Scott soffriva di disturbo bipolare, nda) non era semplice per loro, però rimpiazzarmi con quel bamboccio…nulla di personale verso Chester, che è un professionista e sa il fatto suo, però, cazzo…ero ancora dentro alla band, almeno formalmente! Vabbeh dai, ormai è acqua passata. Del resto non stavo di certo con le mani in mano, avevo mille idee, mille progetti. Forse è stata anche quest’attività frenetica a non farmi uscire dal tunnel della droga. Sentivo di averne bisogno a certi ritmi…e questo mi ha spedito nella fossa...

MM: ok, Scott. Dalla regia ci dicono che dobbiamo andare. Ci vuoi lasciare con un’immagine, o una canzone, che ti rappresenti?

SW: hmmm, fammi pensare…direi che mi viene in mente “Fall to pieces”, la conosci?

MM: ehm…no..

SW: sei messo male, ragazzo. E' una canzone che ha sfondato. E' un pezzo che ho scritto con i Velvet Revolver; guardati il video, c’è un po’ tutta la mia vita lì: il palco, le droghe, l’amore & il sesso, l’unità e l’amicizia coi compagni della band, l’esaltazione e la disperazione. E il finale è in qualche modo preveggente…

MM: ok, Scott. Non mancherò di vederlo. Un ultimo messaggio?

SW: ricordatemi per ciò che ero: un bravo ragazzo, un pò testa di cazzo, che però amava la vita e i miei figli. E amavo il mio lavoro, amavo il Rock!