29 set 2016

RITRATTI D'AUTORE: ATTILA CSIHAR, "L'EROE DEI TRE MONDI"



"Bisogna scegliere se avere una vita confortevole da schiavo o una disagiata come artista estremo".

Con questa frase Attila Csihar è come se penetrasse nell'essenza stessa della sua vita artistica. Classe 1971, ingegnere elettronico costretto a dare ripetizioni di matematica e fisica per sbarcare il lunario, cresciuto e formato artisticamente nell'Ungheria dell'ex Blocco Sovietico, fra le restrizioni del regime ed umori da guerra fredda, egli è indubbiamente una figura mitica all'interno dell'empireo della musica estrema, metal e non solo. La vita artistica di colui che cantò su "De Mysteris Dom Sathanas" è stata (e lo è ancora) imprevedibile ed avventurosa, tanto che lo abbiamo definito l'eroe dei tre mondi.

Un primo mondo potrebbe essere il black metal, quel black metal che Attila ebbe modo di sfiorare già nella seconda metà degli anni ottanta con i seminali Tormentor, fondati nel 1985. Se una nuova concezione di black metal si sarebbe sviluppata negli anni novanta proprio con quei Mayhem che lo vorranno per sostituire il suicida Dead, il metal feroce dei Tormentor ricadeva indubbiamente sotto l'etichetta di proto-black, rifacendosi essi alle efferatezze di Bathory (periodo "The Return....."/"Under the Sign of the Black Mark") e del thrash cattivo delle band tedesche (Kreator in primis).

Lungi dal costituire la classica band estrema armata solo di rabbia e disagio, i Nostri presentavano una preparazione tecnica sopra la media e il misurato impiego delle tastiere (magari mischiato a degli efficaci mid-tempo) conferiva un'atmosfera decisamente malsana al tutto. In un contesto di metal furibondo, ma al tempo stesso ragionato, si elevava il latrato raggelante di Attila, che all'epoca cantava come un Quorton sottoposto a crudeli torture, avvicinandosi nei fatti allo screaming che solo in seguito sarebbe divenuto standard nel black metal.

Questi erano i Tormentor ed album come "The Seventh Day of Doom" (1987) e soprattutto "Anno Domini" (1988) sono opere di culto che solo successivamente verranno rivalutate: un'aura sinistra ed irreale infestava i brani suonati da quei ragazzacci ribelli, un'aura magica solo un po' ingessata dalla legnosità che è tipica dell'Est Europa e da un background musicale povero e nutrito principalmente di heavy metal classico (le influenze classiche emergeranno prepotentemente nell'album della post-reunion "Recipe Ferrum!" del 1999, metallo senza bussola e pieno zeppo di contaminazioni che faranno storcere il naso ai puristi).

Ma non bisogna essere troppo severi: i Nostri infatti edificarono quei suoni così estremi quasi in autonomia, cosa del tutto sorprendente se si pensa che negli anni ottanta il metal non era cosa molto diffusa in Ungheria e reperire album di band estreme non era semplice (circolavano solo le release di Iron Maiden, Scorpions e dei nomi più noti dell'hard'n'heavy degli anni ottanta), mentre per quanto riguarda le proposte più di nicchia bisognava ingegnarsi e ricorrere a scambi di cassette e nastri in modalità quasi di contrabbando. Tanto che tutti i cultori dell'estremo (dal metal all'industrial passando dal dark, l'EBM e il neo-folk) si vedevano costretti a "fare squadra" unendo le loro forze ed andando oltre le barriere fra generi (il metal classico era addirittura visto come qualcosa di commerciale).

No, non dev'essere stato semplice per i Tormentor muoversi nella Ungheria degli anni ottanta, tanto che fu una vera sorpresa per Attila ricevere la convocazione di Euronymous che lo invitò ad unirsi ai suoi Mayhem: fuori dai confini della madre patria, grazie al passaparola ed alla diffusione di demo e cassettine, si era di fatto formato un vero e proprio culto dei Tornentor che i protagonisti stessi di questo culto ignoravano completamente. Una chiamata tanto più strana per Attila considerato che Mayhem era stato, per pura coincidenza, il suo nome d'arte ad inizio carriera.

Della breve ma significativa vita di Attila nei Mayhem si è già detto: ad album praticamente pronto egli registrò le tracce vocali che erano state predisposte per Dead, autore dei testi. La voce di Attila non era più l'aspro screaming dei Tormentor, ma un rantolo deforme e disarticolato che faceva da inquietante didascalia alle sinistre architetture edificate da Euronymous e Hellhammer. Nella title-track egli si cimentava addirittura in un lugubre pulito: un canto tenorile che andava a completare uno stile vocale unico che non troverà uguali nella storia del black metal (solo in ambito depressive verranno colti degli spunti - si veda per esempio il caso di Kvarforth degli Shining).

Una breve vita in seno ai Mayhem, si diceva, perché la morte di Euronymous (assassinato nell’agosto del 1993) sconvolgerà i piani e i sogni di successo della band, che si vedrà costretta a rimandare l’uscita dell’album (che vedrà la luce nel 1994) e sospendere le attività a tempo indeterminato per poi ritornare inutilmente qualche anno dopo con Blasphemer alla chitarra ed un redivivo Maniac alla voce.

Ma l'avventura nel "mondo" black metal proseguirà per Attila, perché nel frattempo il "mondo" geografico era cambiato e presentava dei vantaggi: grazie alla vetrina dei Mayhem, il cantante non era più la figura di culto di una piccola e sconosciuta band dell'Est Europa, ma colui che diede voce ad una delle opere più importanti del metal estremo, una visibilità amplificata dai fatti di cronaca che insanguinarono il nome della band: egli di diritto entrò nella leggenda, e certo la rinnovata notorietà lo aiutò a trovare nuovi ingaggi, agevolato dalla libera circolazione di informazioni del "nuovo mondo", quello al di là del muro di Berlino. Aborym, Limbonic Art, Emperor, Keep of Kalessin, Anaal Nathrakh, di nuovo i Mayhem di "Ordo ad Chao" ed "Esoteric Warfare" sono solo alcuni dei nomi delle band a cui Attila, in modo più o meno sostanziale, fornirà un supporto.

Il mondo black metal, tuttavia, non è stato l'unico campo d'azione del nostro eroe, il quale, ancora prima di entrare nelle fila dei Mayhem, aveva militato nei Plasma Pool di Budapest, formazione dedita a sonorità industrial/EBM. Cambiamo dunque mondo geografico (torniamo nella cortina di ferro) e mondo artistico, abbandonando il black metal ed approdando alla musica elettronica, il vero secondo mondo di Attila.

Si diceva che i cultori della musica estrema a Budapest negli anni ottanta erano una grande ed esclusiva famiglia dove si spaziava dal metal all'industrial, passando in rassegna tutte le propaggini musicali più efferate che riuscivano a filtrare oltre il filo spinato dell'egemonia culturale filo-sovietica. Uno stato di cose che paradossalmente favorì la curiosità intellettuale, l'apertura mentale come artista e la predisposizione alla contaminazione di Attila, in anni in cui il mondo metal era ancora caratterizzato da rigidi schematismi. Non ci stupiamo dunque di veder figurare il nostro uomo in una formazione come i Plasma Pool. Quello che ci stupisce è sentire basi danzerecce (la locomotiva kraftwerkiana che corre farcita di pompose orchestrazioni che richiamano la classica legnosità dell'Est Europa) che flirtano con i versacci di Attila: pur in possesso di un pregevole pulito, il Nostro canta alla sua maniera, pari pari come lo possiamo udire in "De Mysteris...".

Il tutto suona a dir poco grottesco, ma non di meno è difficile sottrarsi al fascino perverso del carisma di Attila, che dà sfoggio al suo istrionismo, urlando, rantolando, sbavando, sospirando come solo lui sa fare: unico. L'esperienza in quella band, in realtà, sarà discontinua e circoscritta a pochi anni, tanto che tutto il materiale prodotto verrà racchiuso in tre volumi che comprenderanno principalmente registrazioni dal vivo: "I (1991 - 1994)", "II (1991 - 1993)" e "III - Sinking" (mai pubblicato).

Ma al di là di questa parentesi curiosa, Attila rimarrà per la maggior parte della sua carriera attivo sul fronte del metal estremo, con tutti gli eccessi, artistici o meno, legati a certi ambienti (giusto per la cronaca: nel 2002, in piena era Aborym, e per giunta in Italia!, egli verrà arrestato per possesso di stupefacenti). Attila è un'icona, le sue performance dal vivo sono scioccanti e blasfeme (truccato, mascherato, sanguinante, crocifisso ecc.), a supportare il suo stile teatrale, che da qualcuno è stato persino definito “operistico”.

Giunto al terzo millennio, forte dello status di leggenda vivente, Attila si troverà innanzi al portale di un nuovo mondo, il terzo: dopo l'ex blocco sovietico e l'Europa occidentale, gli Stati Uniti; dopo il black metal e l'industrial, l'avanguardia; dopo i rigorosi anni ottanta e i contaminati novanta, gli anni zero delle sonorità post-metal. Tre dimensioni che sono racchiuse in una sola etichetta: Sunn O))).

Il progetto della premiata ditta Anderson/O'Malley ha fin dall'inizio diviso pubblico e critica: geni o cialtroni? Innovatori o furbacchioni? Fatto sta che il loro drone-doom è una delle novità più rilevanti nel panorama metal degli ultimi quindici anni, tanto da gettare un ponte verso forme artistiche estranee al metal stesso. Sebbene nel tempo la carica innovativa del duo si sia andata ad appiattire, istituzionalizzandosi in una forma di doom mistico sempre più vicino alle efferatezze del black metal (un percorso originato con "Black One", nel 2005), oggi i Sunn O))) sono una realtà estremamente solida e trasversale, dai forti risvolti concettuali che travalicano i confini del metal. E lo spettacolo inscenato di recente al Labirinto della Masone a Fontanello, in provincia di Parma (un evento a metà fra concerto metal, performance d'avanguardia e rito misterico), ne è la riprova. Al centro di questa orribile messa in scena, troviamo proprio il sacerdote Attila Csihar, che oggi possiamo definire il "componente ombra" dei Sunn O))).

A partire da "White 2" del 2004, dove egli aveva partecipato interpretando dei testi vedici con la sua profonda voce gutturale, la collaborazione del Nostro con Anderson e O'Malley si è andata ad intensificare, con svariati concerti (due di essi immortalati nelle operazioni "Oracle" e "Domkirke"), prestando la voce nel capolavoro "Monoliths & Dimensions" (2009) e nell'ultimo "Kannon" (2015), che a molti non è piaciuto, ma che fotografa l'ennesima prova superlativa di Attila, diviso fra latrati mefistofelici e cori gregoriani.

Ma al di là dei gusti personali, quella maturata nei Sunn O))) rimane un'esperienza importantissima per Attila, in quanto valido lasciapassare per accedere ad altri ambienti musicali: in anni recenti il Nostro di fatto diverrà un guest ricercatissimo e lo vedremo a fianco di artisti come Diamanda Galas, Jarboe, Lustmord, Current 93 e molti altri. La via imboccata è quella che porta all'avanguardia più oscura, territorio che poi ha deciso di esplorare in solitaria con il suo progetto personale Void ov Voices. L'album "777" esce in sordina nel 2012, ma è nelle inquietanti performance dal vivo che è possibile saggiare la quintessenza della nuova incarnazione artistica dell'ex Mayhem: il Nostro si presenta incappucciato e, armato di microfoni, pedaliere ed effetti, mette in scena una folle messa di sole voci, alla stregua dei lavori di Diamanda Galas e dei primi Current 93, di cui è stato sempre grande ammiratore.

Attila, c'è da dire, nel suo percorso ha mantenuto una forte identità: un'identità pervasa da una rozzezza di fondo che non si è mai smussata, nemmeno a contatto con la nobiltà di artisti che con il metal estremo non hanno niente a che fare. Pur nelle sue svariate incarnazioni, Attila è rimasto quello degli esordi, puro ed imperfetto, non curante di quelle sbavature di cui le sue performance continuano a macchiarsi, e con quel l'inglese ancora claudicante. Non è un artista che può essere introdotto nei salotti buoni della musica (come gli ex blackster Ulver, oramai incensati anche dalla critica snob non metal), ma del resto lui stesso è il primo a non essere interessato ad andare in quei salotti. È accaduto invece l'esatto contrario: sono stati gli altri che si sono introdotti nel suo salotto, sporco, disordinato, con qualche (ehm) pasticca sul tavolo e le croci rovesciate appese al muro, accanto alla laurea in ingegneria...