15 ago 2017

FERRAGOSTO CON GLI SCORN: "VAE SOLIS"



L'anno scorso per il giorno di Ferragosto vi abbiamo tenuto compagnia con gli Immortal, i quali, se non possono definirsi proprio un ascolto estivo, perlomeno hanno dallo loro l'effetto "rinfrescante".
Quest'anno abbiamo voluto farci veramente del male ed abbiamo individuato l'ascolto meno estivo possibile: gli Scorn del loro debutto "Vae Solis", che fra l'altro il 9 giugno scorso ha compiuto venticinque anni tondi tondi. Direi che a questo punto è d'obbligo parlarne!

Dimenticate la spiaggia, il mare, il sole. No, il sole possiamo anche tenerlo: un sole cocente, fastidioso, che picchia ciecamente sull'asfalto, sui mattoni, sulle lamiere. Siamo in una desolante zona industriale, ad agosto se vorrete, ma tanto conta poco la variabile meteorologica se poi dovrete entrare in una enorme stabilimento fatiscente. Dismesso? No, ci sono dei rumori, lo stridere e lo stantuffare di ferraglie e macchinari che si muovono. Fa molto caldo, se questo vi può confortare. Sulla porta c'è scritto "Vae Solis" che sembrerebbe proprio richiamare il celebre monito biblico "Vae Soli", ossia "Guai a chi è solo!", rivolto a coloro che rifuggono la compagnia dei propri simili, chiudendosi egoisticamente in se stessi e rifiutando il sostegno e il conforto che può venire dagli altri. Insomma, la puzza di misantropia si sente fin dal piazzale.
Gli Scorn (letteralmente "disprezzo", “sdegno”, tanto per rimanere in tema di misantropia) nascono come duo dalle menti visionarie di Mick Harris e Nick Bullen, fuorusciti entrambi, in momenti diversi, dai Napalm Death. A dare una mano troviamo il loro ex collega Justin Broaderick, e poiché il suo contributo non sarà da poco (sebbene compaia come collaboratore esterno) possiamo candidamente sostenere che in "Vae Solis" si ricompone la leggendaria triade che dette alle stampe il primo lato del mitico "Scum".
Sono passati solo cinque anni da quell’opera seminale, ma del grind dei Napalm Death rimane veramente poco. Gli Scorn si iscrivevano infatti al club delle band industrial metal, genere in ascesa nel 1992 grazie all'opera dei veterani Ministry e dei neonati Godflesh dello stesso Broadrick. Rispetto ai loro competitor, tuttavia, Harris e Bullen spinsero il piede sull'acceleratore della sperimentazione, mostrandosi, se non "avanti", almeno distanti dal resto della scena.
In un certo senso i Nostri, nonostante le forme mostruose assunte dalle loro composizioni, scrivevano musica "post" molto prima che si utilizzasse questa etichetta in ambito metal, e non nelle modalità che avrebbero prevalso nel metal negli anni successivi. Per esempio i Nostri approdarono all'ambient prima di tutti gli altri e certo questo non giovò al loro successo commerciale. Nei suoi settantacinque minuti di durata, del resto, "Vae Solis" non è un ascolto semplice: traendo ispirazione da maestri dell'ossessione come Swans e Killing Joke, il "duo" spinge il discorso agli estremi, riadattando certe efferatezze del grind ad un contesto di sperimentazione che non disdegna l'elettronica, il dub e, appunto, la dilatazione ambientale.
A guardare dall’alto la struttura dell'album, potremmo vedere l'opera come un viaggio che progressivamente porta avanti uno spietato processo di disumanizzazione, dirigendosi inesorabilmente verso il Vuoto: dalla violenza dei primi brani alla stasi ambient del trittico di tracce finali, si procede dalla rabbia alla frustrazione e dalla rassegnazione all'assenza di emozioni. Mano a mano che proseguiremo nell'ascolto, la musica si farà diretta espressione di questa discesa negli inferi della psiche annientata: la batteria lascerà spazio alle basi campionate, le chitarre ai sintetizzatori, le grida bestiali agli inserti di voce pre-registrata e ad un approccio sostanzialmente strumentale.
Ad influire sulla buona riuscita di questa "via dolorosa" dell'era industriale, intervengono le personalità dei musicisti coinvolti. Su tutte, quella del deus ex machina Mick Harris: il geniale batterista dei Napalm Death ripudia qui le velocità supersoniche e, pur non abbandonando del tutto il suo strumento (che continuerà ad utilizzare con perizia nella prima metà dell'opera), preferirà dedicarsi a campionatori, sintetizzatori e drum-machine. Bullen, da parte sua, ci butta il suo basso distorto, grattato, ruvido ed una voce disumana che, effettata, passa con fatica dal growl al lamento amorfo. Ma come si diceva, non da poco sarà il contributo di Broadrick che, all'operazione, presta la sua chitarra e le ossessioni dei suoi Godflesh: una colata lavica di suoni pastosi e distorti, riff doomy, strisciate di feedback e droni che odorano di metallurgia e che andranno a riempire gli interstizi fra le trame dal clangore metallico dei due compari.
Nei fatti viene messa in scena l'alienazione dell'era industriale, il lamento di un'umanità percossa, fustigata e smaterializzata in voci ed echi perse nei corridoi di una fabbrica che, pur cadendo a pezzi, continua inesorabilmente a funzionare e a portare avanti i suoi automatismi perversi: un mondo di dolore, di repressione, privo di speranza, che viene ricreato ad arte e che, per pesantezza e forza visionaria, ha come rivali i soli primi devastanti Swans.
Gli Scorn, del resto, non sono stati portatori solo di una proposta sonoramente estrema, ma anche e soprattutto di una visione penetrante che ancora oggi conserva la sua attualità. Ma da un punto di vista musicale, parlando di metal ovviamente, che giudizio possiamo oggi dare a "Vae Solis" a venticinque anni dalla sua uscita?
Per quanto innovativa per il panorama di inizio novanta (anche rispetto ai colleghi Ministry e Godflesh, che conservavano un bel groove e, nel caso dei primi, un bel tiro commerciale), la proposta non ha fatto in tempo ad attecchire per la sua intrinseca ostilità (formale e concettuale), ma anche per la sfortuna di aver visto la luce forse nel momento più sbagliato possibile. Nel medesimo anno uscivano album come "Vulgar Display of Power" dei Pantera, il folgorante debutto dei Rage Against the Machine, "Dirt" degli Alice in Chains: lavori che avrebbe attirato l'attenzione verso altri lidi, tutt'altro che "riflessivi".
In questo contesto gli Scorn risultarono poco interessanti, visti fin da subito come "pretenziosi" e prolissi, da relegare nella nicchia del metal sperimentale, appannaggio di sole poche menti aperte. Al riguardo, mi ricordo come, in uno speciale di una rivista di settore, essi furono trattati insieme ai My Dying Bride ed altri "coraggiosi" fra i pionieri di nuovi linguaggi nel metal estremo. Cosa curiosa se si pensa a come il destino per le due band sia stato diametralmente opposto: da un lato i My Dying Bride (inizialmente "quelli del violino") che di lì a poco sarebbero divenuti i capofila di un genere di gran successo come il gothic metal, e dall'altro gli "sfigati" Scorn avviati verso un oblio senza ritorno.
Anche laddove negli anni successivi il metal avrebbe virato verso un format che prediligesse brani lunghi e complessi (di cui gli Scorn erano stati indiscutibilmente dei precursori), la direzione è stata un'altra rispetto a quella indicata da Harris e Bullen: Tool e Neurosis, che pure non erano estranei ad ambientazioni industrial (anzi, proprio da quel bacino di umori ed influenze provenivano), avrebbero infatti condotto rispettivamente al post-metal e al post-hardcore, generi che rivoluzionavano il metal in ottica progressiva e psichedelica. Ed anche dove si è lavorato per sottrazione, come nel caso del drone-metal targato Sunn O))), si è ricorsi al "confortevole", ancestrale, fiabesco, esoterico mondo del doom.
Sicuramente alla popolarità del monicker non ha giovato la deriva isolazionista che intraprenderà Harris, il quale rimarrà solo alla guida del progetto già a partire dal terzo album, dirigendosi a testa bassa verso i lidi minimali dell'elettronica tout court: si tratterà di lavori pregevoli, ma destinati a spegnere, release dopo release, l'interesse nei confronti degli Scorn, per lo meno agli occhi dei metallari.
"E' andata come è andata", si sarà consolato un Harris oramai al di fuori dei circuiti che contano (contrariamente, per esempio, all'ex compagno di merende Broadrick, tornato in auge negli ultimi dieci anni grazie al post metal dei suoi Jesu). Si perdono così le tracce del leggendario batterista dei Napalm Death, svanito, pezzetto dopo pezzetto (e “Vae Solis” era stato solo il primo passo!) in una ricerca che lo ha condotto al Nulla: lui che era stato il teorico del grind e che aveva con la sua batteria rivoluzionato il metal (e non solo: basti pensare alle varie collaborazioni nel campo del jazz e dell'avanguardia con John Zorn); lui che era stato un personaggio chiave del concetto di estremo in musica e che si apprestava a preparare una nuova rivoluzione…
…imboccando però la via senza ritorno del profeta inascoltato...Vae soli!