2 ott 2017

A NIGHT WITH...SATYRICON! LIVE AT HEAVEN, LONDON - 29/09/2017




Chissà se al mondo c'è qualcuno che ha settantacinque sterline da spendere per un set di bicchieri dei Satyricon.
Quello che mi turba però non è il dilemma "esiste?/non esiste?" (perché esisterà sicuramente, visto che il prodotto è in commercio ed è pacificamente in vendita insieme a magliette e cd); mi disturba piuttosto l'idea di non poter incontrare costui, berci un bicchiere di vino insieme (e chissà che vino: o pregiatissimo o pessimo, non esistono vie di mezzo con chi spende settantacinque sterline per tre calici dei Satyricon) e chiedergli: ma secondo te Satyr è un vincente o un perdente? 

I Satyricon appartengono di diritto all'epoca d'oro del black metal norvegese, fanno parte della Storia del Metal Estremo; eppure Satyr e Frost, fra tutte le teste di cazzo dell'Inner Circle, erano gli unici a non essere ammessi nell'Helvete di Euronymous. I Satyricon hanno partorito vere pietre miliari del black metal come "The Shadowthrone" e "Nemesis Divina"; eppure tutti questi giovani che ho intorno sono qui stasera per singoloni come "Fuel for Hatred" e "K.I.N.G.". Satyr è un musicista intelligente e chitarrista con uno stile personale ed immediatamente riconoscibile; eppure ama da sempre presentarsi sul palco in veste di vocalist (non la sua qualità migliore), cedendo le sei corde a turnisti qualsiasi. C'è qualcosa che non va: e questo qualcosa lo dobbiamo scoprire stasera all'Heaven, dove i Nostri promuoveranno il loro ultimo album “Deep Calleth Upon Deep”.
Le premesse non erano buone, perché anzitutto l'Heaven (che ho avuto modo di visitare qualche mese fa in occasione della calata londinese di Chelsea Wolfe) non ha una acustica impeccabile, è un luogo stretto, lungo e buio: non proprio l'ideale per una band "black metal", se così possiamo ancora definire i Satyricon.
Ma cosa sono oggi i Satyricon e chi è il loro pubblico? Alla prima domanda abbiamo provato a rispondere con la nostra retrospettiva sui loro ultimi quindicianni di carriera; per quanto riguarda la seconda questione, siamo apposta qui stasera. In verità il pubblico dei Satyricon è il più classico che una band heavy metal possa avere nel terzo millennio. Molti molti molti giovani e giovanissimi (onore quindi a Satyr che, contrariamente a molti suoi colleghi, ha saputo assicurare, con le sue scelte non sempre apprezzate dai fan della prima ora, un consistente ricambio generazionale all’interno del suo seguito). Giovani, dunque, ma non solo: nerd con occhiali, energumeni assortiti, diversi disadattati con il face-painting, tante barbe, uno scarto anagrafico comunque assai ampio che va dal poco meno che ventenne al poco più che quarantenne. Insomma, non ci sentiamo vecchi! C'è inoltre da dare atto a Satyr di aver saputo attirare una donna ogni dodici uomini (stima compiuta ad occhio) e non è poco per concerti di questo tipo. 
Passiamo finalmente alla musica. Sorvoliamo sui gruppi spalla, ossia i futili Fight the Fight (che per comodità definirò "nu metal/crossover con growl") e i greci Suicidal "Slayer denoaltri" Angels, già più dignitosi con il loro thrash metal (molto) old school. Poco male, siamo tutti qui per i Satyricon: la prova si ha quando, dopo un lungo sound-check a base di Celtic Frost (sublime "Monotheist"...), si scatena il delirio collettivo nel momento in cui sul palco viene issata la caratteristica asta del microfono a forma di tridente.
Ecco l'intro atmosferico e poi i Nostri che si presentano sul palco triplicati (ossia con l'aggiunta di due chitarristi, un bassista ed un tastierista). L'onore di aprire le danze spetta come da copione a "Midnight Serpent" (anonima opener dell'ultimo album) che parte a mille all'ora,  per poi mitigarsi in quei tronfi tempi medi che imperverseranno per tutta la serata. Dai primi brani abbiamo la conferma che i Satyricon suonano oggi come un mix fra Celtic Frost e Morbid Angel. E tuttavia sono sereno, davvero, non nutro aspettative e mi faccio cullare da una musica che scorre bene, supportata da (inaspettati) ottimi suoni: forse i loro ultimi album saranno brutti & noiosi, ma i Satyricon, come i deprecabili Metallica, dal vivo spaccano ancora il culo alla grande!
In questi primi pezzi Satyr (capello corto ed impomatato, mascara e giubbotto di pelle stile “Happy Days”) sembra più che altro interessato ad individuare le fighe in platea, confidando in una bella chiavata a fine serata. Con "Our World, It Rumbles Tonight" la situazione si tinge di "Blessed Are The Sick", ma è con la travolgente "Black Crow on the Tombstone" che è possibile assaporare quanto i Satyricon puzzino oggi di fica: ragazze bellissime saltano e battono le mani, tutti cantano a memoria i testi delle canzoni. Sono esterrefatto, ma sono anche contento, tutto gira che è una meraviglia. Ricevute le giuste rassicurazioni, posso permettermi di andare al cesso a pisciare (del resto è lo scotto da pagare quando si beve continuamente birra e di conseguenza il concerto diviene una spola perenne fra palco, toilet e bar, fra retrocessioni faticose e altrettanto faticose riconquiste di posizioni vicino al palco).
Da vedere ci sarà comunque ben poco, sebbene  la bellissima copertina dell’album (uno schizzo di Munch...) proiettata sullo sfondo farà la sua porca figura, passando continuamente dal bianco al rosso con ottimi giochi di luce a fare da cornice. La band invece, spesso avvolta nel fumo, è abbastanza  statica sugli assi, con un Satyr un po' imbalsamato che non sfoggia quel carisma che dovrebbe giustificare la cessione della chitarra a perfetti sconosciuti. Non dico che è goffo ma si muove in modo normale, come se fosse lui lo spettatore (a tratti persino applaude se stesso…). A guardarlo bene si muove quasi come me, e a guardarlo meglio pure come taglio di capelli ci assomigliamo. Che Saryr e il sottoscritto non siano poi così diversi? C'è da dargli atto, però, che se anche non suona, il suo stile, la sua anima "artistica" aleggia continuamente nell'aria.
Con "Rapine Bastard Nation" si entra finalmente nel vivo: l'effetto  dell'alcool è al suo zenit, il tiro dei nuovi Satyricon è micidiale, ma al tempo stesso sopravvive quel marciume che ti ricorda continuamente che è pur sempre "Norvegia" quello che stai ascoltando, fra chitarre zanzarose ed epici rallentamenti. Con "Commando" e "Now, Diabolical" il concerto inizia a volare veramente alto e l'Heaven si trasforma in un entusiasmante rave-party: c'è chi poga, chi salta, chi sta fermo immobile, ognuno fa il cazzo che gli pare in questa grande festa di Amore e Libertà. La presenza femminile ingentilisce l’ambiente e lo imbestialisce al tempo stesso. Quanto a me, sono ormai completamente uscito di cervello e ho la chiara percezione che è bellissimo perdere la voce gridando a squarciagola il ritornello di "Now, Diabolical": creo l'evento nell'evento gettando scompiglio con i miei latrati, ma per quanto riguarda la gente intorno a me, dal disappunto iniziale si passa presto al divertimento, e c'è persino chi si esalta insieme al sottoscritto.
Baci, abbracci, succedono cose pazze. Ma anche il nuovo album sa riservare le sue perle, come per esempio l'esaltante "The Ghost of Rome", altro capitolo vincente della saga delle black'n roll song (incedere morriconiano e via!). E che bellezza saltare, ballare, sbraitare ed abbracciarsi ubriachi di felicità!
Tanto per aggiungere gloria alla gloria, ecco che finalmente Satyr imbraccia la chitarra (vero colpo di scena della serata!) e ci chiede se conosciamo "Nemesis Divina", dal quale verranno pescati un paio di brani. Trovo del tutto geniale l'idea di riproporre la strumentale "Trascendental Requiem of Slaves", che rimette al centro di tutto il talento chitarristico di Satyr. A guardar bene, questa strana strumentale che non si è mai filato nessuno, con i suoi continui cambi di mood e le contaminazioni industrial, è il primo pezzo veramente sperimentale dei Satyricon, collante insospettabile fra la prima parte della carriera e la seconda. Ma non solo: è un modo per mettere a riposo voce e braccia (quelle di Frost, che stasera si è mosso egregiamente dietro alle pelli) ed introdurre quello che dovrebbe essere, almeno in teoria, il momento top della serata, "Mother North". In realtà ho come l'impressione che sia un atto dovuto da parte della band, che non può esimersi da eseguirla ogni fottuta sera, nonostante oggi non suoni più black metal a quella maniera. La velocità è supersonica, la resa, ahimè, caotica, ma la gente, che intona cori da stadio con grande partecipazione, sembra gradire.
Siamo purtroppo alla fine. È dunque tempo di bis e non esagero nell'affermare che il meglio dei nuovi Satyricon è tutto nel trittico di brani finali. "The Pentagram Burns" (che vede Satyr ancora alla chitarra) con il suo bel groove e i riff al tremolo crea agitazione e apre la strada a quella "Fuel for Hatred" che oramai è da considerare il classicissimo per eccellenza della band. Si scatena il pogo che finisce per coinvolgere anche le retrovie dove io mi ero rifugiato per salvaguardare i miei occhiali; ed invece eccomi nuovamente a rimboccarmi le maniche e a menar fendenti per difendere il mio spazio vitale. È poi il turno di "K.I.N.G." accolta quasi con isteria, come se fossimo nei primi anni sessanta e sul palco ci fossero i Beatles: ormai band, pubblico e i mattoni del locale sono una cosa sola, disco-music bella e buona a base di chitarre taglienti, voce al vetriolo e beat incalzanti.
Una volta spente le luci, l'impressione è strana, come aver assistito ad un concerto degli U2! La band si gode il (meritato) bagno di folla e spunta finalmente Frost, che in verità mi aspettavo più corpulento: invece, a torso nudo, sfoggia un fisico asciutto e un po' deperito. Mi fa quasi tenerezza quando un po' curvo e gobbo se ne esce di scena, lasciandomi l'impressione che in fondo sia un mezzo disadattato, l'amico un po' scemo e taciturno del tipo in gamba (mi vengono in mente i protagonisti di "Uomini e Topi" di Steinbeck). Anche se poi Satyr proprio brillante non è.
Già, Satyr: un vincente o un perdente? Terminato il concerto, mi ritrovo a passeggiare per la  bellissima Trafalgar Square, e penso che Satyr sia in fondo uno come tutti noi, con delle buone qualità ed anche dei difetti. La sua storia personale l'ha portato a confrontarsi con gente brutale (i profanatori, gli incendiari e gli assassini dell'Inner Circle), ma si capisce che è un tranquillone il cui cammino è stato inasprito da gente ostica che ti toglie le sicurezze: cose che ti segnano, indubbiamente. Per questo ha sempre preferito starsene con il fido Frost, che ha accudito come se il batterista fosse un fratello minore, il quale, a sua volta, lo ha sempre seguito, non come un cane da guardia, ma come una presenza taciturna e consenziente. Satyr è stato amico di gente che conta(va) come Samoth, Fenriz e Nocturno Culto, ma sotto sotto ha sempre preferito la figa ai fiordi ed alla spiritualità del Grande Nord. Bello quindi ritrovarlo fra noi, in grande forma fisica (si è di recente operato per un tumore benigno) e capace di mettere d'accordo il metallaro intransigente e l'intellettuale di sinistra, il sociopatico con la faccia pitturata e la fichetta di ventisei anni: Satyr, stasera per me sei stato un vincente!