14 gen 2018

SWEDISH DEATH METAL STORY - Guida pratica in dieci puntate - Capitolo 5: LE 10 MIGLIORI SONGS (PIU' UNA) DELLO S.D.M (Parte I)



Ed eccoci finalmente al cuore della nostra Retrospettiva!

Noi di MM, già che ci abbiamo messo quattro post per introdurre il tema, vogliamo “premiare” chi ci ha letto fin qui. Di solito abbiamo strutturato le nostre classifiche in una top ten di dischi. Questa volta  invece ci vogliamo superare…preparate il vostro lettore CD/mp3/quel che volete perché abbiamo pronta per voi una…compilation delle migliori dieci canzoni! Si…avete capito bene…non album…canzoni!

Più sintetici di così…si muore! Del resto…di death metal stiamo parlando…

1. MERCILESS - “Pure hate” da “The awakening” (febbraio 1990)

Parli di Euronymous e pensi alla Norvegia, al Black Metal e…alla mitica etichetta Deathlike Silence Production. Ma quanti sanno che il primo disco licenziato dalla DSP, in appena 1000 copie, non fu un disco di musica estrema norvegese ma il debut dei grandissimi Merciless, “The awakening”?

I racconti sulla registrazione del disco, fatti dal leader della band, il bassista Fredrik Karlén, sono uno spasso, con i membri dei Mayhem che entravano in sala prove a fare headbanging! Dead parlava a ruota libera di cose assurde, alto alto coi sui lunghi capelli biondi; mentre gli altri due, scuri e bassotti, se ne stavano dietro, "che tutti assieme parevano Gandalf con gli hobbit al seguito"! Necrobutcher faceva il figo, il “sostenuto”, scolandosi litri di whiskey, mentre Øystein beveva coca-cola tutto il tempo e fantasticava di lunghe tournée nell’Est Europa (salvo poi sputtanare i soldi che servivano per organizzarla in fuochi pirotecnici e sangue finto per i live dei Mayhem…).

Ma torniamo alla musica: in un disco che non ha cedimenti scegliamo l’opener, “Pure hate”, caratterizzata da un mix micidiale di riff gelidi, rallentamenti e ripartenze mortifere, una voce demoniaca, praticamente un grugnito blasfemo ma al contempo evocativo, che fa di questa canzone il miglior biglietto da visita di uno SDM che si stava affrancando dall’eredità thrash, ancora però ben presente, di Slayer, Destruction e Possessed, per giungere a qualcosa di altro. Ma non era solo puro odio…quando c’era da rallentare e farsi evocativi i Merciless sapevano il fatto loro e brani come “Realm of the dark” e “Dying world” stanno lì a dimostrarlo nella sua avvolgente bellezza.

2. TIAMAT – “Nocturnal funeral” da “Sumerian Cry” (giugno 1990)

La track n. 02 della nostra ipotetica compilation ci fa cambiare decisamente registro. Scrivi Tiamat ma leggi Treblinka. Eh si, perché il materiale presente sul debut della band di Johan Edlund era già stato composto dalla band madre dei Tiamat: i Treblinka appunto, pioneristica death metal band che ebbe anche l’onore di essere la prima a registrare ai mitici Sunlight Studios di Tomas Skogsberg con il loro EP del 1989 “Severe Abominations”.

Difficile scegliere tra i 9 pezzi + intro che compongono il platter. Alla fine ricadiamo su “Nocturnal Funeral” in quanto probabilmente la track più cupa e per certi versi disturbante. Nonché per certe soluzioni intelligenti, che mischiano brutali stacchi death ad assoli slayerani, parti in mid tempo e vocals cangianti che fanno uso anche di inquietanti sussurri, e partiture di chitarra in clean nel sottofondo dello splendido finale.
Sarà il growl profondo di Edlund (che all’epoca si faceva chiamare con il malevolo nomignolo di Hellslaughter!), sarà una produzione decisamente perfettibile ma che ne esalta la malvagità, sarà un’atmosfera “nera”, proto-black più che “mortifera”…sta di fatto che “Sumerian Cry” (che si fregia di una delle prime copertine di Necrolord) è un album di grande importanza per lo SDM. Si paga grande tributo ai Celtic Frost (ma va là…strano!) ma escono prepotentemente le originali idee dei Treblinka, che si distaccavano proprio per il corpsepaint e la volontà di ammantare il loro thrash/proto-death, a tratti anche ingenuo e confusionario, da un’aura decisamente “satanica”. Riuscendoci appieno…

3. UNLEASHED – “Before the creation of time” da “Where no life dwells” (maggio 1991)

Licenziato, come già accennato, dai mitici Nihilist, Johnny Hedlund non si perde d’animo e il giorno dopo l’epurazione forma gli Unleashed. Dopo ben tre promettenti demos, sui quattro baldi giovani di Stoccolma mettono gli occhi i colossi della Century Media. Se li portano a Dortmund e li affidano alle sapienti mani di Waldemar Sorychta. Ed è per questo che WNLD è così diverso dalle coeve produzioni death svedesi: sound più pulito, chiaro, essenziale. Sicuramente meno “marcio”.

Ma non si pensi che tutto ciò voglia dire materiale più rammollito…il disco è una bella mazzata nei denti, un crudo e violentissimo assalto sonoro. Tutta la critica mette in risalto la conclusiva “Where life ends”, brano vario, che alterna parti lente a parti iperveloci, con un riffing oscuro e a tratti profondamente sabbathiano (manco a dirlo…). Ma chi scrive invece è rimasto più impressionato da “Before the creation of time”, canzone marchiata da un groove incredibile, parti di blast beat (all’epoca non del tutto scontato) e un rallentamento doomico a metà davvero riuscito, con linee melodiche di lead guitar che fanno emergere il brano sul resto della track list. Qui anche la voce di Hedlund è capace di emozionare non solo col tipico growl cavernoso e violento, ma con urla in screaming davvero brutali. Proprio Hedlund e la sua ugola, effettivamente un po’ “legnosa”, costituisce un limite per WNLD che ad ogni modo entra di diritto nel gotha dello SDM.

4. DISMEMBER – “Override the overture” da “Like an everflowing stream” (maggio 1991)

Ancora Sunlight Studios, ancora Skogsberg. E ancora i tedeschi che mettono le mani sull’”oro” svedese. Non è più la Century Media ma i “gemelli” della Nuclear Blast che mettono sotto contratto i Dismember di Matti Kärki e Fred Estby.
LAES potremmo definirlo il “Reign in blood” del death svedese. 31’ appena per una devastante brutalità trasposta in musica, con brani diretti quasi in stile punk, tanto da spingerci a dire che questo debut è il più aggressivo dell’intera scena.
Scegliamo di estrapolare dal full lenght proprio l’opener, in quanto, assieme alle ottime “Dismembered” e la conclusiva “In death’s sleep”, costituisce la prova più matura e articolata (non a caso sono le uniche tre tracce che sforano i 5’ di durata). Il primo mezzo minuto è un’intro inquietante fatto di pioggia battente, rimbombi e urla (o sirene?) soffocate. Da lì partono i riffoni grassi, rotondi, già diventati standard come insegnato dagli Entombed l’anno precedente. Se a tratti i Dismember possono alquanto apparire “legnosi”, questa canzone è la più piacevole delle eccezioni. 
E poi: quanto è bella la cover? Solo per quella il disco è da avere a tutti i costi…

5. GRAVE“Into the grave” da “Into the grave” (agosto 1991)

Se gli inglesi della Earache Rec. credevano, dopo aver pubblicato “Left hand path”, di avere mano libera sul mercato death svedese, ebbene si sbagliavano di grosso. Ancora Century Media a mettere sotto contratto i campioni Grave, che potremmo definire come svedesi molto…americani! I ragazzi dell’isola di Gotland non vanno in Germania a registrare come avevano fatto gli Unleashed, ma, guardalà, si affidano al guru Skogsberg e ai Sunlight e sfornano “Into the grave”, uno dei più influenti dischi death di sempre. Merito della verve compositiva di Ola Lindgren e Jörgen Sandström che, chissà, forse proprio per essere cresciuti su una piccola cittadina fuori dalla terraferma, si differenziano da tutta la genie di band dell’epoca grazie a un sound ancora più brutale ed efferato dei loro già violentissimi colleghi. Chitarre tipicamente “a grattugia” ma ribassate e il growling iper-gutturale, profondissimo e oscuro, di Sandström donavano al tutto un mood, rispetto a Entombed e Dismember, ancora più malato e “sporco” nei 42’ di durata. Tra essi andiamo a scegliere la title track per il suo essere “diversa”, più cadenzata, fortemente doomish. Almeno nei suoi primi 2’, che di fatto formano una sorta di intro davvero suggestivo. Perché i restanti due e mezzo tornano a martoriare le orecchie del povero ascoltatore fino al conclusivo, isterico assolo. E la sensazione di aver davanti la top song del disco è immediata...


6. CARBONIZED – “Monument” da “For the security” (dicembre 1991)

Se i 31’ dei Dismember vi avevano annichilito, allora accorciate ancora di più i tempi e ascoltatevi 'sta sberla di 28’ dei Carbonized! Superlativo death/grind quello di questa super-band (e ve lo dice uno che non ama il grind!), nati da un’idea del futuro Entombed, Lars Rosenberg, qui anche alla voce (con risultati apprezzabilissimi). Al suo fianco a distruggerci le meningi alle sei corde un certo Christofer Johnsson, futuro deus ex machina dei Therion, autentico mattatore per tutta la durata del platter. Seppur Skogsberg non sia riuscito a maneggiare come in altri casi la materia fumante che aveva tra le mani, la produzione Sunlight è ancora una volta più che valida. In questo magma incandescente, caratterizzato comunque da grandi innesti di stop&go e tecnicismi assortiti (a volte al limite del jazz, come nelle stranianti “Euthanasia” e “Blinded of the veil”), inseriamo nella nostra compilation la conclusiva “Monument” che miscela in modo perfetto furia grind, stacchi jazz/thrash, evoluzioni technical degni dei migliori Voivod e un pizzico di psichedelia (peraltro centellinata più volte lungo l’album). Monumentale

A cura di Morningrise