31 gen 2019

I BRANI PIU' INDISPONENTI DEL METAL - N.5 "MISSION: DESTROY ALIENS" (MERCYFUL FATE)



Nei primi anni ’90 i Mercyful Fate decidono di tornare, in missione suicida. Nel 1993 in pochi li aspettano, e soprattutto, alla pari dei Black Sabbath e Ozzy, il destino solista di King Diamond è stato positivo e duraturo. Il ritorno “In the shadows”, buon disco, se lo filano in pochi, e soprattutto appare più come un progetto a-latere di King Diamond, che del resto all’inizio della sua carriera solista aveva anche avuto ex Mercyful Fate in formazione.

Per spianare la strada a questo ritorno della band madre, escono due dischi insulsi: uno split di King e Mercyful intitolato “A dangerous meeting” (risate a denti stretti) in cui si propongono solo brani dei Mercyful Fate. Poi, siccome il mondo voleva sentire l’ennesima versione di "Curse of the Pharaohs", già proposta in versione demo, in versione album, e di nuovo nello split…rieccola in versione demo in "Return of the Vampire" (1992). Non bastando questo per giustificare la spesa, si crea intorno un insieme di brani inutili, salvo forse il primo, con l’effetto “caramella polo”, ovvero il buco con la menta intorno.

Il disco inizia benino con "Burning the Cross", una fiera canzone metal vezzosamente satanica. Si procede con la succitata “Curse of…”, e sale l’acquolina in bocca per i successivi brani, ben sei dal titolo sconosciuto, più “A corpse without soul”. Ahimé, trattasi in parte di brani già noti, in versioni ancora embrionali, con titoli e/o testi diversi. Lavori in corso, insomma. Avanzi.

A quel punto, quel sabato mi chiusi in casa per la vergogna di aver investito dei soldi in questa fregatura, ma una dose di Mercyful Fate in quegli anni bui era roba da comprare a scatola chiusa. Avrebbe dovuto insospettirmi la pacchiana copertina che rappresentava un mostro a metà strada tra il Vampiro e la Befana.

Puntavo quindi tutto sui brani originali: "Leave my soul alone" e "M.D.A.", quando mi cade l’occhio sul titolo esteso di MDA, acronimo (inutile) di “Mission: Destroy Aliens”. Sussulto per due motivi: primo, l’accostamento tra alieni e metal sulfureo dei Mercyful Fate, che proprio non torna. Secondo, c’è una regola non scritta che ogni compositore metal dovrebbe sapere: i brani scritti sugli alieni, sugli invasori alieni et similia, vengono sempre una cacata. Lasciamo stare le metafore grottesche dei Misfits ("Astrozombies", "I turned into a Martian"), lasciamo stare le ambientazioni fantascientifiche tra astronavi e androidi (Voivod, Nocturnus), io parlo proprio di canzoni dedicate agli alieni. Mai cadere nella tentazione, vengono sempre degli obbrobri, anche se non è chiaro per quale inesorabile meccanismo.

Allungo l’attesa ascoltandomi il brano prima “Leave my soul alone”. King Diamond canta questo, e non aggiunto altro:

Oh yeah, oh yeah, ascoltate la mia canzone, le sirene suonano e la gente scappa dalla strada, i poliziotti arrivano, non so cosa ho fatto, perché non ve ne andate e mi lasciate in santa pace ? Forse un giorno o l’altro ve ne farete una ragione anche voi. Oh yeah, oh yeah, corro libero, non mi prenderanno vivo, nessuno capisce che l’ho dovuto fare per sopravvivere, perché non mi lasciate vivere in pace etc etc. Quel che ho fatto è presto detto: ho ucciso un amico che mi aveva scopato la ragazza, questa è la fine, un proiettile dalla mia pistola”.

Gelo totale. Non resta che caricare il fucile per il tiro al piattello mentre partono le prime note di "Mission: Destroy Aliens":

Il velo di Satana, la notte è così rossa (prego? -nda) Un’altra creatura avvistata. La notte è giusta, la musica è alta, la sensazione è troppo giusta. Missione: distruggere gli alieni (*3)

Qualcuno vuole, osa imparare e capire quest’occasione, del suo territorio, il re ha parlato, per essere qui con lui. Missione: distruggere gli alieni. (ma che cazzo stanno dicendo? – nda)

Più tardi, il calderone ribolle, toglie loro il respiro, non puoi resistere al mio tocco maligno, la natura contrasta la loro resistenza. Missione: distruggere gli alieni.”

Al testo ci son arrivato dopo. La canzone già in sé consta di quattro versi in croce, con il ritornello ripetuto forse più volte di “The Angel and the Gambler” o "Tailgunner" degli Iron Maiden, forse più di "Fire in the sky" di Ozzy. King Diamond canta con trasporto, parte con un falsetto convinto per lanciare un attacco contro gli alieni. Che sia tutta un’allegoria della lotta contro gli “alieni” cristiani da parte dei veri uomini “satanici”? Io ne dubito, perché con testi come quello di prima, ci sta proprio che volessero scrivere un testo su un’invasione aliena. Già le invasioni aliene sono noiose nei kolossal, tipo "Independence Day": gli alieni arrivano, attaccano, non c’è dialogo, tocca cacciarli. 
Qui – a parte la storia di cui non si capisce granché – sembrano degli alieni tipo zombie, da abbattere uno a uno a fucilate, che aggrediscono in maniera scoordinata e velleitaria. Un testo e un linguaggio degni dei paninari dell’epoca (la notte è alright, il feeling è so right, ci manca che dicano “andiamo a farci un paninazzo”). Il tono generale è quindi quello di un film del tipo “Maciste contro Dracula”; in questo caso “Satana contro gli alieni”.

Il senso di quel disco poteva essere solo uno. Primo: se vi ricordate i grandi brani dei Mercyful Fate, si possono fare anche in versione peggiore. Secondo: che siano magari brani nuovi ?. Un inedito alla fine può essere qualsiasi cosa, e nonostante l’evidente immaturità di quei testi, che dovrebbe datarli agli albori dell’attività, un sospetto minimo ma indelebile è rimasto. 

Quale lo scopo di quell’uscita? Tagliare le gambe al disco del ritorno, già difficile per l’epoca in cui usciva? Io credo che purtroppo qualcuno abbia invece trovato “interessante” quel materiale al punto da pensare che fosse un apripista efficace per il nuovo corso dei Mercyful.

Dopo un paio di dischi interessanti, i Mercyful avranno una certa caduta di tono, e proporranno dei branetti non degni delle loro potenzialità con “Into the unknown”, e i successivi. 

Ma prima di ciò, risponderanno alla principale richiesta del loro pubblico, offrendo una nuova versione di "Curse of the Pharaohs", stavolta live, nell’ep "The Bell Witch" (1994).

A cura del Dottore

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