5 gen 2019

VIAGGIO NEL METAL ASIATICO - LA MADRE DI TUTTE LE BATTAGLIE METALLICHE IN IRAQ (Parte I)




Ricordate la guerra del Golfo? L'Iraq invase il Kuwait, e noi improvvisamente ci scoprimmo difensori della libertà. Due piloti italiani furono abbattuti durante la missione “Desert storm”, catturati vivi e esposti come trofei mediatici dal nemico. Gli Americani bombardavano con bombe dotate di telecamera, mentre i piloti si sparavano nelle cuffie “Seek and destroy” dei Metallica, anche se per buona parte le bombe dilaniavano finti stabilimenti militari, fatti di legno e latta colorati; però ogni tanto c'era qualche rampa lanciamissili vera da cui partivano gli Scud. Gli Americani rispondevano con i Cruise e i Tomahawk. Saddam Hussein invocava la “madre di tutte le battaglie” nonostante fosse rimasto con due raudi in mano, e si profondeva in citazioni dei Bolt Thrower.

Tutto ciò ha ritardato l'avvento del metal, che -va ricordato- è proprio nei primi novanta che comincia a diffondersi nei paesi in via di sviluppo. Tutti i gruppi iracheni o kuwaitiani iniziano dal 2000 in poi.

In questo humus post-bellico crescono realtà di varia natura, e naturalmente qualcuno prova a parlare di Mesopotamian metal. Noi accettiamo la sfida, e vediamo se questo termine può avere un senso.

Lord Erragal è un progetto individuale, al quadrato. Non una one-man-band, ma, come recita la dicitura del suo canale, un “one-man musician”. In una solitudine e autoreferenzialità così ricalcata, cosa poteva uscire se non del depressive atmosferico? Di fronte al quale non possiamo storcere il naso, noi che abbiamo cercato di trovare del buono negli strumentali di Burzum. Erragal ammicca con simboli cuneiformi e titoli alla mitologia mesopotamica, e ci regala una produzione che si compone di brani per pianoforte, con o senza sottofondo tastieristico. Il genere è un depressive da sala-da-the, che non scompiglia né affossa, che atmosfericamente ricorda l'attesa alla fermata dell'autobus. Ma è domenica, e l'autobus non passa per interminabili intervalli di tempo. Passiamo quarti d'ora a sentire quello che sembra un monologo dell'idraulico di Erragal alle prese con la stasatura del lavandino, o le riflessioni della ruota di scorta durante un viaggio in autostrada di notte. Insomma, rimbombi, voci lontane, suoni che passano e vanno, ma niente di ficcante né in senso tenebroso né in senso malinconico. Dobbiamo comunque riconoscere a Erragal una posizione ideologica, che propone il paganesimo come religione della terra, e il monoteismo come presenza ad essa estranea, forza di occupazione spirituale.

Non contento di esprimersi come Lord Erragal, il nostro si allarga sotto altro nome, Kurgal. Io lo preferisco in questa veste, più simile ad uno Xytras. Il difetto di molta musica ambient è però lo stesso, e cioè il tutto regge finché l'ascoltatore compie lo sforzo di spiegare il titolo con la musica, sperando che quest'ultima lo svolga in maniera geniale ed essenziale. Io per esempio ho compiuto questo sforzo con “Le sirene dell'odio”, che mi aveva acchiappato abbastanza come titolo, ed in effetti la suggestione di questo canto ammaliante e stridulo, reso in maniera elettronica, è un episodio felice del repertorio di Kurgal. In altri casi i titoli fingono ambizione concettuale, tipo “purezza senza fine”, ma fanno da alibi ad una latitanza musicale. In altri casi si alzano le mani, perché se le “arpe sumere” dovevano già essere pallose in origine, una versione elettronica ulteriormente tediosa è quasi inevitabile.

Il black atmosferico qui in Iraq dilaga, mi trovo a ascoltare il terzo nome, Amelnakru, soltanto che dopo il terzo brano, e di fronte a titoli animistici tipo “L'albero sacro”, mi viene un terribile sospetto....è ancora lui, Lord Erragal!

Probabilmente, al di là del lo-fi, le registrazioni di Erragal secondo me sono state realizzate attraverso il muro dal vicino di casa, che poi le ha catalogate accuratamente per denunciarlo all'amministratore di condominio. Erragal trova un escamotage: fonda un nuovo progetto (sempre lui da solo), gli Anthems Of Isolation, con cui può sempre fingere che i rumori derivino dalla televisione lasciata accesa. Peccato per i titoli, che sono programmatici “Un riparo in una dolorosa scelta di fuga”, “Un tempo ero vivo”, “Prigioniero del presente”, che giustificherebbero la presentazione come “la prima band funeral doom in Iraq”. Se proprio si deve nella vita ascoltare Lord Erragal, quest'ultima sua incarnazione mi sembra quella più interessante.

Esiste anche un curioso gruppo depressive black metal, gli Xathrites la cui disperazione credo origini proprio dall'ascolto ripetuto dei brani di Lord Erragal. I nostri propongono un depressive dalle tinte gotiche (emblematico il titolo "Kiss me or kill me", assolutamente solare rispetto a uno standard depressive black). L'anno di grazia dei nostri è il 2013, in cui producono due album e in maniera incomprensibile anche due singoli, forse per la consapevolezza di non poter durare ancora molto a lungo. In uno di questi singoli è contenuto un paragrafo di testo in italiano, cantato in italiano con ottima pronuncia: 

“Non c'è più amore
Non c'è alcun sentimento
I miei occhi si spengono come candele sotto la pioggia
Ancora un ultimo taglio
Per cadere dal cielo
Non posso, non voglio più vivere senza il tuo calore sulla mia pelle “

Mi viene in mente, ma quei due piloti abbattuti durante la guerra del golfo, poi tornarono mica indietro o rimasero dispersi in Iraq? Perché in questo caso la cosa si spiegherebbe. No, molto più semplice: uno dei membri è tale Riccardo Furlan, ospite occasionale come vocalist e attivo in due band italiane.

A questo punto ricordiamo che l'Iraq è anche patria, forse fittizia, della forse fittizia formazione Janaza, esponente dell'anti-islamic black metal. Black metal “crudo” e lo-fi con voci femminili, lettura di passi delle scritture e declamazioni infervorate di difficile attribuzione. Ricordano i Seed of Iblis. Non mi spenderei oltre, rimandando al tema generale dell'AIBM.

A cura del Dottore

(continua e finisce nel prossimo post di MM)