7 ott 2025

VIAGGIO NEL METAL TOLKIENIANO - SMOKE OF ISENGARD_PAROLE CORROTTE: GLI ORCHI E IL RUOLO DEL LINGUAGGIO NEL LEGENDARIUM

 



Viaggio nel metal 'tolkieniano' - 9) SMOKE OF ISENGARD - "Orc Metal" (2022)

Gli Orchi parlavano molte lingue turpi, poiché essi prendevano parole da altri idiomi e le corrompevano a loro uso; ma Sauron creò per loro una lingua unica, la Lingua Nera di Mordor. Tuttavia essa non divenne mai lingua comune se non fra i suoi più fidati servitori” (da “Il Signore degli Anelli” – Appendice F)

Lo diciamo subito: la razza degli orchi sono un problema spinoso. Un problema irrisolto dallo stesso Professore. Per oltre sessant’anni (dagli anni della Prima Guerra Mondiale fino ai primi ’70 circa) Tolkien se ne occupò. In particolare, a partire dagli inizi degli anni ’50, cercò di formulare una coerente teoria circa la loro genesi e il loro destino, ponendosi in merito domande cruciali (gli orchi sono redimibili? Possiedono il libero arbitrio?). Ben sei furono le formulazioni sul tema, nessuna delle quali, però, lo soddisfò causa la loro non perfetta armonizzazione con il resto del Legendarium (problema, quello dell'armonizzazione temporale degli accadimenti, che assillò Tolkien fino alla fine della sua vita). Non staremo qui né ad elencarle e/o spiegarle né a esprimerci su quali di esse ci pare la più probabile o convincente.

Di certo si sa solo che gli orchi hanno un’esistenza limitata nel tempo (circa 150 anni anche se, per lo ‘stile di vita’ che conducono, pochi di essi vi arrivano) e che si riproducono come tutti gli altri figli di Eru Ilúvatar (si, anche l'esistenza delle orchesse è contemplata in Arda).

No, quello che ci interessa sottoporre al lettore, sull’argomento orchi, è il loro ruolo, spesso sottovalutato o addirittura tralasciato, ma che è invece centrale, nell’ambito della mitopoiesi tolkieniana: cioè il rapporto tra Male, corruzione e linguaggio.

Ricordiamo che Tolkien, prima di essere un narratore, era un filologo, un amante appassionato delle lingue tanto da inventarne di meravigliose (si pensi al Quenya o al Sindarin, le principali lingue elfiche) e da portarlo addirittura ad affermare che le storie che scrisse non erano altro che un pretesto per far parlare ai suoi personaggi le lingue che aveva creato! La Narrazione, quindi, come si accennava poco sopra, trova sostanza e fondamento nella lingua che la racconta, ne fornisce il contesto culturale, storico ed evolutivo. Tolkien, infatti, attribuisce enorme importanza alle lingue come espressione di cultura e identità

Nel caso degli orchi, però, emerge una difficoltà concettuale: esseri dediti alla violenza, privi di vera creatività, come essi, possono avere una lingua propria? La domanda non è peregrina, tutt’altro. Anche perché il Professore aveva concepito gli orchi come un espediente narrativo che potesse plasticamente esprimere l’orrore delle armate del Male e, soprattutto, la violenza del caos.

Ed ecco perché, tanto quanto gli elfi, espressione di Bellezza, parlano una lingua dolce ed elegante, così gli orchi si esprimono attraverso un gergo orribile. Essi, giusto per rispondere alla domanda di cui sopra, hanno linguaggi propri che si differenziano tra le diverse tribù. Ma li accomuna il fatto che sono, come detto, orrendi, meschini, privi di bellezza in se stessa e con il solo fine di comunicare ciò che, banalmente e strumentalmente, devono comunicare: per lo più insulti, odio e paura da incutere verso i loro nemici. Un linguaggio, quindi, pratico ma monotono e privo di bellezza fonetica ed estetica, per di più composto da parole rubate a tutte le altre lingue della Terra di Mezzo. Poniamo l’attenzione del lettore su quest’ultimo concetto: le parlate degli orchi, spesso corrotte o ibride, derivano da lingue apprese da altre razze. Questo riflette la loro incapacità di sviluppare una tradizione linguistica autentica e stabile. Non essendo creativi, gli orchi prendono e storpiano, corrompendo.

Come possiamo leggere dalla citazione in esergo, Sauron tentò di risolvere questo problema imponendo una lingua artificiale, la Lingua Nera (che è quella in cui sono scritti i celebri versi intarsiati nell’Unico Anello). Essa, creata deliberatamente come strumento di dominio e di uniformazione, specchio del suo desiderio di controllo assoluto, non è che un cupo tentativo di dominio, uniforme e privo di vita, contrapposto al coro variegato delle lingue libere della Terra di Mezzo. Tuttavia essa, artificiale e imposta “dall’alto” (fattore che contrasta radicalmente con le lingue nate organicamente, nel corso delle Ere, tra i popoli liberi), al di fuori di Mordor non attecchì pienamente: gli orchi continuarono a usare dialetti misti, segno della loro frammentazione culturale.

E arriviamo, ciò detto, alla musica e all’album in oggetto.

Ci scuserete il lungo preambolo ma è proprio sulla base di queste considerazioni che, per la nostra Rassegna, abbiamo deciso di inserire i misconosciuti Smoke of Isengard e il loro debut “Orc Metal”. Il progetto, portato avanti dal polistrumentista russo Veralden Olmai, è incentrato completamente sulle figure degli orchi tolkieniani (nel 2023 sarebbe uscito il sequel “Orc Covers”, album di sole cover). La proposta sonora si rivela essere un oscuro, grezzo e pachidermico stoner/doom ma con voce brutal che, a tratti, sfocia in territori più propriamente death (si prenda ad esempio “Black Steel of Mordor”). Immaginiamo che anche il monicker eletto dal buon Olmai voglia rispondere da un lato al genere proposto (l’associazione stoner + smoke è immediata) e dall'altro all’argomento orchi: questi esseri mostruosi, infatti, nelle fucine poste nelle cavità sotterranee di Isengard, la fortezza di cui divenne signore Saruman (lo Stregone traditore), si adoperarono alacremente per realizzare le armi che sarebbero state utilizzate dalle orde dei terribili Uruk-Hai nella Guerra dell’Anello al termine della Terza Era.

E così, tanto “Orc Metal”, sia nelle sue parti strumentali che nel cantato, pare essere una rozza e traviata imitazione del migliore e pregiato stoner metal di kuyss-iana memoria, così il suo ascolto è riuscito a immergermi con l’immaginazione nel mondo degradato e blasfemo degli orchi, in una sorta di imitazione, corrotta ed imperfetta, delle razze libere (ma voglio citare, quantomeno, l’ottima, conclusiva title track che lascia intravedere capacità, melodiche e compositive, di buona caratura).

Speriamo di aver spiegato, dunque, perché gli orchi non vanno visti soltanto come avversari militari, come si potrebbe pensare ad una lettura superficiale dell’opera tolkieniana. Essi rappresentano, invece, sul piano linguistico e culturale, la sterilità del Male, cioè la sua incapacità di creare autenticamente: se le lingue degli Elfi cantano la bellezza della creazione, la Lingua Nera degli orchi ci ricorda che il Male non crea ma solo deforma.

In questo senso, e tornando al concetto iniziale da cui siamo partiti, la riflessione linguistica di Tolkien rende gli orchi figure imprescindibili per comprendere la sua visione del rapporto tra Linguaggio, Mito e Moralità.

A cura di Morningrise

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