2 mag 2015

RAZZISMO MUSICALE E CONTAMINAZIONE INTERNA: IL GRIND MELODICO DEGLI ARGHOSLENT



Si chiamavano “Galere” le navi degli schiavi, questo dovrebbe essere il senso di Arghoslent, almeno questa è l'opinione prevalente. Per altri l'interpretazione corretta è “Regno della schiavitù” o “Abitante di una fortezza”...certo potevano trovare un nome più comprensibile, o almeno tenersi quello di prima, Pogrom

Insomma, traduceteli come vi pare, fatto sta che questi ragazzi della Virginia hanno lo strano vezzo di trattare l'argomento della tratta degli schiavi nei loro testi. Effettivamente un tema imbarazzante per tutto l'Occidente, soprattutto quello americano, che di fatto prosperò su questa pratica per poi trovarsi a dover in qualche modo riparare e risolvere il problema etnico in nome dei diritti legati alla cittadinanza americana. Di quest'ultima fase gli Arghoslent avrebbero fatto a meno, come suggeriscono con la dicitura “questo album è stato registrato a sud della linea Mason-Dixon” (che in qualche modo divide il mondo nordista da quello sudista).


Sostanzialmente la tesi degli Arghoslent, più che essere fondata sull'idea della razza padrona, pare imperniata sull'idea della legge della natura. Il loro giudizio sulla “razza bianca” rimane alla fine sospeso tra un giudizio teorico di superiorità, da un lato, e dall'altro una visione più attuale che contempla questa razza come decaduta e passiva nel cercare protezione e sicurezza in ideologie universaliste e buoniste, e gratificazione e sazietà nel sistema consumistico. Come dire: se la razza bianca è questa, che perisca pure. 

Del resto definire razzista chi afferma “non disprezzo nessuno per il colore nero della sua pelle, né ammiro un bianco in quanto tale” non consente di liquidare questo pensiero come un manicheismo razziale. Darwinismo sociale, ovvero: la migliore società è quella formata da chi sopravvive. Una morale simile a quella del principe von Metternich, il quale sosteneva che quando si fa una guerra, ogni rimorso del vincitore o rimpianto dello sconfitto è neutralizzato da un semplice principio: chi ha vinto evidentemente aveva ragione (provvidenzialismo bellico). Ognuno per sé, quindi, e tutti contro tutti

Implicita nel discorso degli Arghoslent, è la convinzione che i grandi imperi e le grandi culture siano cresciute attraverso guerre e lotte di territorio, per quanto non tutti i conquistatori siano stati solo dei razziatori. Ed è quindi ipocrita inventarsi una natura umana propensa all'uguaglianza e, soprattutto, una grandezza egualitaria. Chi ammira le piramidi, non può biasimare lo schiavismo egiziano; chi ammira la civiltà romana, non può non tener contro del fatto che erano sopraffattori e schiavisti, così come le civiltà forti dell'era moderna. All'osservazione quindi se l'uomo bianco si debba “vergognare” della schiavitù, il giornalista incassa una risposta del tipo “allo stesso modo si dovrebbero vergognare gli schiavi di non aver saputo reagire, ma anzi di aver persino negoziato per contribuire a fornire schiavi”.

Questi sono i temi più ameni, per il resto anticristianesimo, omofobia e sionismo, in genere con riferimenti alla storia antica. Per quanto riguarda l'attualità, gli Arghoslent non sono complottisti: per loro, ad esempio, la teoria del sionismo è realtà, ma non pensano che tutto ciò sia occulto; semplicemente i popoli sono talmente indeboliti da non voler vedere la direzione impressa dal nuovo ordine mondiale, tanto indeboliti da uniformarsi a questa direzione sentendosi “liberi” e progressisti. Un corpo di società malato deriva tanto dalle “pesti” interne o dalle minacce esterne, quanto dalla fibra debole, e se la propria fibra non è coltivata non è certo colpa delle razze concorrenti.

In merito alle origini della religione ebraica, gli Arghoslent la riferiscono ancora una volta ad un episodio di schiavismo, e cioè a quello ai danni delle “dieci tribù perdute” che tornarono in Palestina dalla schiavitù, e qui, convinte di aver scontato una condanna biblica per uscirne rafforzate, impongono con la forza la propria civiltà. Per questo il Messia, che propone di salvare il mondo dalla sua eredità di dolore, sarà respinto: l'eredità di dolore è il fondamento della rivalsa, nel disegno del dio ebraico. La chiusura dei conti con redenzione e perdono è quindi impossibile.

La religione in toto, che sia essa eresia o ortodossia, cristianesimo o ebraismo, è vista come un'aberrazione umana. Epica “noir”, quindi, con eroi dalle mani sporche e fortune dei popoli costruite sul dolore di altri popoli.

Tutto questo è un preambolo per poi dire che comunque la si pensi la proposta vale la controversia: si tratta di un grind tecnico, con elementi canonici, ma strutture compositive articolate, in cui la macina della sezione “bassa” e i tentacoli dei motivi chitarristici creano una struttura laocoontica, che si avvolge e stritola come le spire di un boa. Ma il metal degli Arghoslent è metamorfico, lo definirei “filogenetico” (bella questa), ovvero ripercorre in passaggi successivi vari stadi storici e filoni stilistici del metal, solitamente poco compatibili, quali il grind e il metal strumentistico classico. Grugniti e assoli melodici, sfuriate e tempi cadenzati, chiusure claustrofobiche ed inaspettate aperture.

Qualcosa di simile l'hanno ottenuto nel tempo i Death, anche se mediante un processo di distacco progressivo dalle soluzioni di genere: invece qui c'è la coesistenza dei vari generi, una autocontaminazione che onora le matrici originali.

Giusto per rimanere dentro la suggestione dello schiavismo, la struttura dei pezzi degli Arghoslent spesso dà l'idea di una sequenza si sferzate che tengono in piedi il ritmo lontano dalle tentazioni di riposo. Melodie indubbiamente castigate da un muro vocale cieco e indifferente.

A dir la verità stilisticamente il gruppo è piuttosto inclassificabile, e in alcuni passaggi c'è più dell'epic ruvido degli anni ottanta che non della matrice cacofonica del grind. Nel corso degli anni lo stile vocale si fa più secco e meno teatrale, quindi più vicino al grind che al death. Musicalmente invece si spostano sul versante opposto, dal grind più sporco e ciottolante al death più corposo e chitarristico. Questo incrocio porta al caratteristico ibrido espresso nei brani più recenti, che suona decisamente coinvolgente anche riproposto con un violino (?!?) da un tipo su youtube (https://www.youtube.com/watch?v=cSYhd787FjQ).

La razza musicale degli Arghoslent è quindi in linea con il loro concetto di razza spirituale: evitare le contaminazioni esterne, ma esaltare quelle interne al proprio patrimonio naturale. Per cui ben vengano nel metal tutti gli elementi del metal; ne stiano invece alla larga gli stili che seguono un "mood" diverso. Ecco l'importanza di ricostruire la filogenesi del metal, come fanno loro mescolando il DNA del metal, o come fanno ad esempio i Darkthrone dell'ultimo periodo, che ripartono da zero come se dovessero reinventare il metal.

Per cui che resta da dire, sporcatevi le mani con l'ascolto degli Arghoslent: vi si puliranno da sole in una piacevole centrifuga metallica.



A cura del Dottore.