7 ott 2015

THE GATHERING: EMOZIONI A GRAVITÀ ZERO


I MIGLIORI DIECI ALBUM NON-METAL FATTI DA BAND/ARTISTI METAL

4° CLASSIFICATO: “HOW TO MEASURE A PLANET?”

Come misurare un pianeta? Facciamocelo spiegare dagli olandesi The Gathering, che occupano (meritatamente) la quarta posizione della nostra classifica dedicata ai migliori album non-metal fatti da band metal.


Un’altra splendida evoluzione germogliata nel reame del gothic metal, anche se questi mangia-papaveri il legame con il metal estremo l’avevano reciso assai presto. Solo l’esordio “Always…”, infatti, presentava tracce di growl (quello del primo cantante Bart Smiths, affiancato da Marike Groot nel classico binomio “la Bella & la Bestia” tanto in voga nel metallo gotico): correva l’anno 1992 e i Gathering suonavano un doom-metal che non presentava particolari segni distintivi. Se con il successivo (ancora piuttosto acerbo) “Almost a Dance” si puntò tutto sulla “carta della melodia” (i due cantanti furono rimpiazzati dalle ugole pulite di Niels Duffhues e Martine van Loon), fu con “Mandylion”, del 1995, che il sestetto si impose all’attenzione generale.

La genesi del successo coincise non a caso con l’ingresso in formazione di Anneke van Giersbergen, che non era la fata dei boschi né l’etereo usignolo che ci potremmo aspettare dagli ambienti del gothic metal. Avete presente quando si dice “quella cantante è così brava che ci emozionerebbe anche se leggesse l’elenco telefonico”? Ecco, questo detto si addice perfettamente alla nuova cantante dei Gathering: quella voce potente e quella timbrica decisamente particolare furono la quadratura del cerchio per una compagine di musicisti preparati che erano divenuti nel frattempo perfettamente in grado di gestire il proprio potenziale.

I Gathering, del resto, sono stati (e tutt’ora lo sono, anche se non li seguo più) veramente brava gente, delle persone indubbiamente oneste. Che si siano occupati di metal o di altro, professionalità e passione non sono mai venute meno. Ai tempi di “Mandylion” i Nostri erano fautori di un metal energico, dinamico, dalle sfumature progressive: l’abbondanza di melodia nel loro sound e le atmosfere sognanti, abbinate ad una certa ricercatezza strumentale e a soluzioni mai scontate, erano sicuramente un loro tratto distintivo, che li allontanava dagli stilemi del doom più funereo. Ma la stella polare a cui tendevano gli sforzi di questo affiatato ensemble era la splendida voce di Anneke, che riusciva a dare brividi ad ogni suo volteggio.

Io, come tanti altri, sono stato apertamente innamorato di quella ragazza dagli occhi verdi e dalla chioma rossa: una bellezza semplice, non canonica per l’universo metal che era solito sbavare per le poppute dark-lady costruite sul modello di Morticia della Famiglia Addams. Ma Anneke non aveva bisogno di mostrare il suo bell'aspetto per conquistare il cuore di tutti noialtri: bastava la sua magica voce, e grazie ad essa (e agli innegabili meriti dei suoi compagni) i Gathering s’imposero come simbolo e parametro di inevitabile riferimento per tutte la band-metal-con-cantante-donna che a seguito della pubblicazione di “Mandylion” iniziarono a proliferare in un mondo (quello metal) in cui quella-strana-cosa-che-è-la-femmina non ha mai trovato grandi spazi.

Nel 1997 usciva “Nighttime Birds”, altro mirabile lavoro che confermava quanto di buono messo insieme nell’album precedente: nel complesso più pacato e maggiormente curato negli arrangiamenti, quest’opera proseguiva quella ricerca melodica portata avanti con convinzione fin dagli esordi. Ma a colpire era lo slancio introspettivo che si traduceva in suggestivi landscape sonori, paesaggi dell'anima che erano anche luogo di contraddizioni, come lo può essere uno scenario innevato riscaldato da un sole invernale. La tavolozza a disposizione della band, del resto, era ricca di colori e il metal era solo uno di essi. Di metal, infatti, ne rimaneva ben poco, sopravvissuto in qualche potente riff di chitarra sparso qua e là. Questi ultimi scampoli verranno letteralmente spazzati via appena un anno dopo, nel 1998, dal doppio album “How to Measure a Planet?”, azzardatissima operazione che si lasciava definitivamente alle spalle l’universo gothic metal per procedere verso una sorta rock sognante dalle atmosfere psichedeliche: un rock che si sviluppava libero e fuori dagli schemi, e che guardava indubbiamente ai seventies, ma senza, al contempo, disdegnare partiture elettroniche. Se i Gathering, del resto, non sono stati mai strettamente una band doom/gothic, nella loro variante extra-metal non potevano appiattirsi su un canonico dark.

A risentire di meno del cambiamento è ovviamente la voce della van Giersbergen, versatile e perfettamente a suo agio in trame ora soffuse, ora lisergiche. Per quanto riguarda il resto della band (nel passaggio si era perso per la strada il chitarrista Jelmer Wiersma), i quattro superstiti reggono il colpo, anche se nel complesso il tessuto strumentale perde innegabilmente di compattezza e complessità, come spesso capita in queste occasioni. Complice anche una produzione “indie-rock”, che favorisce un suono più “live”, immediato, snello, che predilige arrangiamenti essenziali e meno pomposi. La batteria di Hans Rutten (a tratti supportata da beat elettronici), perde in precisione e si fa più secca nei suoni; il basso di Hugo Prinsen Geerlings completa una sezione ritmica che è l’ombra di quella potente e dinamica che aveva caratterizzato i due lavori precedenti, ma poco importa. Le chitarre di René Rutten perdono vigore, spegnendosi in arpeggi e suoni liquidi; le tastiere acide di Frank Boeijen, sempre più estranee ad orchestrazioni e partiture classiche, si sovraccaricano di effetti. Lo stravolgimento del sound, viene tuttavia supportato dalle innegabili buone intenzioni dei musicisti e da una bella dose di buon senso. Aiuta, a tal riguardo, il format del doppio album, dimensione che favorisce la libertà espressiva a rischio dispersione.

Il primo tomo parrebbe essere l’opera ufficiale. Dall’ottima openerFrail (You Might as Well Be Me)”, che si avvicina ai territori fumosi di un dolente trip-hop, alla sensazionale chiusura affidata a “Travel”, pervasa da umori onirici e da solenni linee vocali, passando da un bel brano stoner-pop (scusate il neologismo) come il singolo “Liberty-Bell”: l’album manifesta un ottimo equilibrio interiore, sospeso fra la dolcezza di languide ballate ed improvvise impennate di elettricità. E quando lo spettro della noia si affaccia, presto viene neutralizzato dalla performance sentita della cantante, protagonista indiscussa del platter.

Il secondo tomo, coerente da un punto di vista stilistico con il primo, ci mostra una band meno severa e più lasciva nell’abbandonarsi alla sperimentazione, come se le cinque tracce di cui si compone fossero delle b-side scartate dall’album ufficiale. La qualità rimane tuttavia elevata, che si parli dell’incipit strumentale “South American Ghost Ride” (nel quale la chitarra torna a tuonare) o della ballata sbilenca e con chitarra mezza scordata “Locked Away”, che vede Anneke cimentarsi anche alle sei corde. Ma è logico che la scena viene occupata dall'ingombrante title-track, ventotto minuti di space-rock e psichedelia rarefatta che ci consegnano dei Gathering sperimentatori come mai li avevamo visti/sentiti.

If then Else” (2000), “Souvenirs” (2003) e “Home” (2006), l’ultimo album con Anneke, non saranno altro che l’evoluzione del germe impiantato con questa opera, in una direzione sempre più intima e “terrena”, visto che le atmosfere e l'immaginario sfacciatamente spaziali di “How to Measure a Planet?” rimarranno un episodio isolato nella discografia degli Olandesi.

L’uscita di Anneke dalla formazione è tuttavia rimasto per me sempre un gran mistero. Lei era una brava ragazza, loro brava gente, la band affermata e libera da pressioni. Cosa potrebbe essere mai successo? Carissima Anneke, non pendevano forse i tuoi amici (come tutti noi) dalle tue labbra? Ti avrebbero forse impedito di fare qualsiasi cosa tu volessi? Desideravi suonare pop? "E pop sia!", ti avrebbero risposto, "come lo vuoi? In stile Prince, Michael Jackson o George Michael?" Oppure volevi fare la mamma full-time? I ragazzi ti avrebbero tenuto il bimbo in sala prove, nel tour bus, dietro le quinte, combattendo allegramente con biberon, latte in polvere e pannolini, pur di averti ancora fra loro! E voi, carissimi Hans, Hugo, Frank e René, che per anni avete condiviso il camerino con Anneke, che l’avere vista in déshabillé, che c’avete fumato i cannoni insieme, che l’avete consolata nei momenti difficili e fatta ridere con le vostre battute sicuramente idiote, voi che avete finito per amarla con l’amore dei fratelli maggiori, come avete potuto permetterle di andarsene?

Alla fine della fiera, cari Gathering, vi rispetto più di Anneke, che si è messa a fare dischi insipidi di pop. Però fatemi una cortesia: fate dischi strumentali, è meglio...