Io a Tobias Sammet voglio bene.
Da tempo. Sarà perché è mio coetaneo, sarà perchè lo seguo da quando era(vamo) poco
più che ventenne(i), cioè dagli Edguy di “Vain Glory Opera” (1998). Li andai a
vedere apposta dal vivo a Bologna, di supporto ai Gamma Ray, nel 1999. Era
appena uscito il capolavoro della band di Fulda, “Theatre of Salvation”, e
rimasi impressionato dalla tenuta sul palco di quei giovani ragazzi, dalla
padronanza dei mezzi che esprimevano dal vivo, dalla loro caratura tecnica (in
particolare da Jens Ludwig alla
chitarra) e dagli acuti di Tobias. Ma soprattutto sembravano davvero divertirsi
un mondo: freschi, brillanti, ispirati.
A cura di Morningrise
Non credo sia un caso che risalga
proprio alla fine di quel ’99 la scrittura dei primi pezzi per il progetto
Avantasia. Evidentemente quegli anni furono particolarmente fecondi per Sammet da
un punto di vista compositivo perché il già citato TOS degli Edguy e la prima
release del mega-progetto Avantasia, “The Metal Opera I&II” (2000-01), per
chi scrive, rappresentano il meglio, in un arco ormai ventennale, dell’arte sammetiana.
L'intento del "progetto Avantasia" era dichiarato: realizzare un’opera-metal in cui i diversi artisti
coinvolti, come accade nell’Opera propriamente detta, avessero ognuno un ruolo,
accomunati ovviamente da un plot unitario.
Come detto, un progetto ambizioso,
forse un po’ “sborone” ma in cui Tobias sicuramente credeva. E il risultato, di
critica e di pubblico, lo premiò da subito in modo meritato.
E probabilmente, sta qua il
problema. Nel 2001 Sammet aveva 24 anni. Cosa bisogna fare a 24 anni quando si
è già fatto il “botto”? Dopo aver detto già così tanto in ambito symphonic/power
metal e aver già realizzato il tuo “sogno”? Quando ti viene già riconosciuto lo
status di leader di un genere intero?
Domanda ineludibile. Ma che, a
quell’età e stando sulla cresta dell’onda, poteva avere una sola risposta:
scrivere ancora. Continuare su quella strada.
Ora, non è questo il luogo per
una rivisitazione della discografia degli Avantasia (qualcuno nella redazione
di Metal Mirror ci sta già lavorando…). Basterà dire che, personalmente, ho
trovato tutte le uscite successive a "The Metal Opera" piacevoli, molto gradevoli, seppur in
lieve ma progressivo declino. Le ho comunque consumate, traendone goduria per
le mie orecchie, particolarmente sensibili a questo tipo di sonorità.
Ed è qui che mi devo scindere.
Devo distinguere tra il fan e l’analista obiettivo e coscienzioso. Devo cercare
di mettere da parte quella parte di me che porterebbe a scrivere: “basta che
Tobias azzecchi quattro-cinque ritornelli in tutto il disco che io sono
contento”. Perchè un disco degli Avantasia lo ascolterò sempre volentieri e, a
meno di schifezze immonde difficilmente ipotizzabili, me ne sentirò appagato.
Devo lasciare invece spazio alla parte più obiettiva e analitica.
Ci provo: la nuova fatica dei
tedeschi compare immediatamente nella mia discografia dopo la sua uscita a fine
gennaio. Del resto, la precedente release, “The
Mystery Of Time” (2013) la considero la migliore prova dei Nostri proprio dai
tempi di “The Metal Opera I&II”.
Come si suol dire, “squadra che
vince non si cambia” e stilisticamente Sammet, pur cambiando qualche interprete
tra i numerosi ospiti come al solito chiamati a raccolta (fuori Joe Lynn Turner
e Byff Byford e dentro Sharon den Adel, Marco Hietala, Geoff Tate e Dee
Snider), non cambia registro. Facendosi accompagnare dagli stessi musicisti
(Sascha Paeth alla sei corde in primis), le sonorità che scaturiscono sono le
stesse di TMOT: un hard rock (per lo più) / power metal (per lo meno) elegante,
arioso e trascinante, che ha nell’esplosione dei chorus il suo climax. Anche la
disposizione in scaletta dei pezzi ricalca quella del disco precedente, scelta
comprensibile se consideriamo che questa è la seconda e ultima parte del concept
cominciato tre anni fa.
Ma il "succo", l’elemento o gli
elementi che faranno ricordare negli anni l’album, quello che ci attendiamo da
un monicker così importante…c’è o non c’è?? Ecco, il problema è che ce n’è
troppo poco. Diciamo che dei 70 minuti che compongono l’album salverei giusto la prima metà, i primi 35’. In questa prima mezz’ora
abbondante vengono racchiusi i cinque pezzi più validi dell’intero. Dove
troviamo un po’ tutto quello che ci aspetteremmo da un disco degli Avantasia:
un opener, in questo caso anche
singolo, che attacca convinta e trascinante, con un chorus che ti si stampa
subito in testa non lasciandoti scampo (“Mystery of a Blood Red Rose”); poi il brano lungo, vario ed articolato, 12
minuti in cui i Nostri condensano tutte le loro caratteristiche (“Let the Storm
Descends Upon You”); proseguendo abbiamo le piccole, ma significative, variazioni sul tema (“The Haunting”) dove si prova anche un pò a sperimentare qualche nuova soluzione (la contorta e oscura “Seduction of Decay”, con un Tate alla
voce che rende il brano, probabilmente il migliore del lotto, molto
piacevolmente queensrychiano); e infine il pezzo tirato, quello canonicamente
power metal a-là-tedesca, cioè la titletrack, tutto sommato prevedibile ma
piacevole e che rivela un Michael Kiske in gran forma.
Il problema sono i restanti 35’: un alternarsi, a tratti stucchevole,
sicuramente prevedibile, da un lato
di brani più meditativi e soffusi (la gotica e plasticosa “Draconian Love”, che
mi ricorda gli H.I.M. più ruffiani; la ballata dark “Isle of Evermore” che
sembra un copia-incolla dei Within Temptation, e non solo per la presenza alla
voce della den Adel; o “Lucifer”, che parte come una piano ballad per poi
virare a metà in un canonico mid-tempo heavy e dove neppure la presenza di un
appassionato Jorn Lande riesce a
tirare su le sorti di una song dalla qualità “solo” sufficiente); e dall’altro di pezzi power symphonic
molto canonici, senza infamia e senza lode (“Master of the Pendulum”, “Babylon
Vampires”, “Unchain the Light”).
Trapela prepotente quindi la
sensazione del “compitino”, della poca ispirazione. L’ha scritto mirabilmente il
nostro Lost In Moments recentemente: la
differenza tra l’ottimo e il mediocre, in un genere così inflazionato come
il symphonic/power, sta nel trovare le linee melodiche ispirate, quelle che ti
fanno vibrare le corde dell’animo, e nel combinare nei modi e tempi giusti i
soliti ingredienti. Forse i “modi” e “i tempi” Tobias li trova pure, ma il
tutto sa di “già sentito”, di banalotto. Forse più attento a cucire la song ad
hoc per la voce dell’ospite di turno, piuttosto che ricercare lo scatto di reni
vincente.
Emblematico di tutto questo è proprio
il brano di chiusura dell’album: la track finale è sempre decisiva per indicare
lo stato di salute di un “super-gruppo” sinfonico come gli Avantasia, e se TMOT
si chiudeva con i monumentali, e commoventi, 10 minuti di “The Great Mystery”,
con un Bob Catley sugli scudi, anche “Ghostlights” si affida all’ugola del quasi settantenne singer dei Magnum. Il problema è che “A
Restless Heart and Obsidian Skies” è nei suoi 6 minuti un brano piatto come una
sogliola, senza acuti, di una teatralità che pare artefatta, senza, appunto,
quell’ispirazione nelle melodie che si era sempre evidenziata in passato nei brani-chiave dei diversi album. Una canzone quindi sì importante, ma in senso negativo… che, per il sottoscritto, sa molto di momentanea resa. Almeno da un punto
di vista della qualità del songwriting.
In definitiva, trovo "Ghostlights", seppur più che sufficiente, il punto più basso
toccato dal progetto Avantasia.
Se poi, come al sottoscritto, vi
basta ascoltare “quattro-cinque” ritornelli coinvolgenti, arrangiamenti
sinfonici scolastici ma col “tiro” giusto, allora non rimarrete delusi.
Ma, questo è certo, da Tobias io
mi aspetto di meglio, sicuramente di più. Non ha ancora 40anni…non può
invecchiare per altri 20 limitandosi a sfornare album in serie di tal fatta (ma che belle però le copertine!!), rimescolando le carte di un passato vincente…o forse si?
Del resto a leggere tutte, ma
proprio tutte, le recensioni sui siti specializzati, “Ghostlights” è reputato
un ottimo disco, con voti che vanno dal "7" in su! E’ pure entrato in
classifica su Billboard…e allora, mi ci metto proprio io, loro fedele estimatore, a fargli le pulci?? Non sia mai…
Voto: 6,5
Canzone top: “Seduction of Decay”
Momento top: lo stop&go al minuto 3' 35" di “The Haunting”
Canzone flop: “Unchain the Light”
Anno: 2016
Dati: 12 canzoni, 70 min.
Etichetta: Nuclear Blast