29 mag 2016

IL POTERE CURATIVO DEI MY DYING BRIDE


Dopo aver rilevato il potere curativo della musica di Malmsteen, Sunn O))) e Lou Reed, aggiungo un nuovo capitolo a questa scoperta medico-sonora. La cupezza interiore del mio animo coincide spesso con un ascolto doom targato My Dying Bride e, anche se non trovo una precisa relazione, non può essere casuale che mi senta sollevato dalle mie pene al termine di questa terapia.

Non ho mai creduto a coloro che si esaltano eccessivamente per la musica: dalle orde di ragazze che si strappavano i capelli per i Beatles fino ai nerd del metal che puzzano di sudore guardando "Il Signore degli Anelli". 

Eppure ci deve essere una pozione magica che, a seconda delle mie esigenze, porta ad affievolire le ansie attraverso le note. Ci dev'essere anche un incantesimo che unisce la distorsione dei My Dying Bride con la capacità di scrostare la paranoia, le amarezze e le brutte cose insomma che affaticano la mia esistenza.
La musica ha la dote di essere una compagna di viaggio fondamentale, mentre scende una lacrima ed inizia "Turn Loose The Swans" o la testa pulsa con nervosismo e il violino in "The Angel And The Dark River" placa il mio animo.

Quando ero piccolo mi piaceva crogiolarmi nella tristezza gratuita e immotivata, anzi spesso accentuarla con la voce di Aaron Stainthorpe al quale devo essere grato. Sono grato al cantante della Sposa Morente perché ha reso teatrale la malinconia scrivendo ottimi dischi e sdrammatizzandola al contempo, ma oggi mi voglio concentrare su due piccolezze che sento particolarmente mie.

In primo luogo il momento centrale della prima traccia di "The Angel And The Dark River" dove Aaron canta: "This is A Weary Hour" che, quasi come un mantra negli anni, tracima emozioni incredibili dentro me. Questa frase mi ha suscitato così tanti brividi che, ancora adesso solo scrivendo queste parole, provo un sussulto dietro il collo.
Tante e tante volte ho ascoltato queste passaggio vocale di Aaron, senza parlare, guardando nel vuoto, ma non per deprimermi quanto per creare un teatrino consapevole della mia passeggera cupezza.

La seconda, e più recente, corrisponde ad un titolo geniale come "A Map of All Our Failures", undicesimo album dei My Dying Bride e del quale non voglio parlare adesso. Vorrei scrivere però sulle mura della mia casa questa frase e, senza tono pessimista, attaccare le foto delle cazzate più grossolane fatte sinora nella vita. È anche la sottile vena ironica che c'è dentro il titolo, forse percepita esclusivamente dal sottoscritto, che mi affascina e dove rilevo un sorriso amaro nel tracciare la mappa (che bel concetto nda) di tutti i nostri fallimenti.
Il concetto della cartina mi entusiasma, come in una sorta di Risiko esistenziale, immagino tutti noi chini sul bilancio delle nostre vite ripercorrendo gli errori fatti.

Rileggendo tra i meandri della loro discografia, mi accorgo che sono passati ormai più di venti anni dall'uscita di "The Angel and The Dark River". Proprio per questo decido di pubblicare questo appunto privato, senza velleità di piacere, senza troppa attenzione per la privacy delle lacrime, ma con la volontà di ringraziare Aaron e la Sposa Morente per questi brividi tristi che hanno contribuito a creare quello che sono, in mezzo alla mia mappa di inevitabili fallimenti esistenziali.