15 mag 2016

XXV ANNIVERSARIO DEL DEATH - DEATH: "HUMAN"



CLASSIFICA DEI 10 MIGLIORI ALBUM DEATH METAL USCITI NEL 1991

1° CLASSIFICATO: "HUMAN" (DEATH)


E alla fine della nostra Rassegna siamo arrivati dove tutti noi sapevamo saremmo arrivati sin dall’inizio.

Arrivare cioè a celebrare Chuck. E a decretare miglior album death metal uscito nel 1991 “Human”. 

Chi ci legge conosce la stima e l’affetto che tutta la redazione di Metal Mirror ripone nei confronti del musicista newyorkese, sia come compositore che come paroliere. Ne abbiamo più volte, in questo anno di vita del nostro blog, decantato le gesta e il pensiero, sottolineando a più riprese la sua costante, rigorosa ricerca che ha segnato un’evoluzione artistica di un uomo, e di una band, senza eguali nel panorama metal.

A cura di Morningrise

Una ricerca, quella di Schuldiner, che è andata di pari passo con una crescita professionale e una maturazione strumentale vertiginosa, senza freni. Non solo: come accennato, la sua ricerca è stata non solo musicale, ma anche e principalmente concettuale, se vogliamo filosofica, almeno se con questo aggettivo intendiamo la definizione di una personale visione del mondo che comprenda la ricerca di un “senso”, di valori-guida, di un corretto comportamento personale, che possa conseguentemente riverberarsi nelle relazioni sia con i propri cari/amici sia con la società e il contesto lavorativo in cui si agisce.

In merito a quest’aspetto, i suoi testi sono già stati analizzati in maniera approfondita e inedita dal nostro Dottore, nell’ambito dei gruppi più repellenti del Metal, dove le “creature” discografiche di Chuck, sia per quanto espresso coi Death che con i favolosi Control Denied, occupavano addirittura i primi quattro posti di quella Classifica.

Il qui presente “Human” non fa che rappresentare un’ulteriore tappa di avanzamento del suddetto percorso di Schuldiner, che lo avrebbe portato, di lì a fine decade, a sfornare gli ultimi due capolavori della sua, ahinoi, breve vita: “The Sound of Perseverance” e “The Fragile Art of Existence”, per chi scrive perfezioni formali e sostanziali del Metal tutto.

Ma, tornando a "Human", è difficile da un punto di vista prettamente musicale aggiungere qualcosa di nuovo e non banale su un’opera che è stata celebrata e sviscerata in questi 25 anni da addetti ai lavori e musicisti metal stessi, tanta è stata la sua trasversale influenza e quindi importanza.

Si potrebbe partire ricordando che quei prodromi di superamento del Death Metal tout court che già si erano fatti intravedere in “Spiritual Healing”, in “Human” si palesarono definitivamente.
Cambiata tutta la line-up rispetto a due anni prima, Chuck potè dedicarsi a sviluppare un death che, seppur mantenuto come medium espressivo privilegiato, veniva intrinsecamente sorpassato da un atteggiamento di fondo che possiamo definire, oltre che palesemente technical, anche e soprattutto progressivo.

A proposito della line-up: Chuck si contornò allora di veri e propri mostri del proprio strumento, a partire da Steve Di Giorgio al basso (che non ha di certo bisogno di presentazioni e che sarà suo compagno di ventura, seppur non in modo continuativo, fino all’esperienza coi Control Denied); mentre alla chitarra e dietro al drum kit troviamo il nucleo dei Cynic, rispettivamente Paul Masvidal e Sean Reinart, assolutamente decisivi per la riuscita complessiva del platter (e che probabilmente anche grazie a questa esperienza, due anni dopo riuscirono a partorire il capolavoro “Focus”). E, a sentire suonare quest'ultimi (soprattutto se si ha tra le mani la versione rieditata dalla Relapse Rec. nel 2011 in occasione del ventennale, dove i suoni sono molto più puliti della versione originale), fanno ancora oggi impressione per precisione, tecnica, potenza. E fa ancora più impressione ricordare che all’epoca avevano entrambi appena vent’anni tondi tondi…

Dicevamo: nonostante l’impostazione progressiva, nonostante i richiami in alcuni fraseggi e in alcuni solos all’heavy metal classico (primo amore di gioventù di evil Chuck), nonostante tempi dispari a profusione e i richiami a soluzioni di stampo jazz, i Death non perdono neppure un briciolo di cattiveria e impatto. Perché, è bene ricordarlo e ribadirlo, “Human” rimane un disco fottutamente Death Metal!

Dalla prima nota di “Flattening of Emotions”, perfetta nella sua struttura che potremmo definire geometrica, fino alle articolate e sinuose soluzioni della conclusiva “Vacant Planets”, non esistono momenti morti. E anche quando la band decide di lasciare un attimo di respiro all’ascoltatore, come nella magnifica strumentale “Cosmic Sea” (peraltro ottenendo questo risultato senza allentare minimamente la tensione emotiva complessiva), in realtà è solo un espediente per prepararlo alla stoccata finale, all’assalto devastante della citata “Vacant Planets”.

Non si spreca neppure un secondo in “Human”, tanto che, nonostante la varietà e il numero notevole di riff, cambi di ritmo, stop&go e altre miriadi di soluzioni spiazzanti sparse a profusione in tutto il songwriting, alla fine è incredibile che questo “viaggio” duri appena 34 minuti (addirittura quasi dieci in meno, a parità di tracce, rispetto a "Spiritual Healing").
E non è inutile citare questo dato perchè esso denota un’altra delle caratteristiche di questo disco: la straordinaria capacità di sintesi espressa da Chuck in fase di scrittura. I Death riescono a “dire” tanto, tantissimo, a creare un sound ricchissimo, pregno e denso in relativamente pochi minuti. L’ascoltatore è talmente subissato dal profluvio di note gettate in faccia dai quattro che quando la musica si placa ci si sente sommersi, schiacciati, abbattuti. Stremati. Il tempo trascorso sembra decisamente superiore a quello effettivo e ancora l’eco di quelle note risuona tra le pieghe del cervello...

Abbiamo utilizzato aggettivi come progressive e technical per “Human”. Aggettivi che avevo già utilizzato per il sensazionale “Necroticism” dei Carcass; ma qua il livello è diverso, perchè si riesce a raggiungere un piano spirituale ed emotivo totalmente nuovo. Ed è anche per questo che, a nostro avviso, si giustifica questa prima posizione, la superiorità dei Death rispetto alla pur agguerrita concorrenza coeva. 

Già, prima posizione...se è vero come è vero che i Death sono i padri del death, allora li voglio immaginare così: come una locomotiva che traina il resto dei vagoni...e in questa raffigurazione "Human" potrebbe essere immaginata come una sorta di "stazione di scambio" da cui si dipana un bivio: la locomotiva, con Chuck come macchinista, lascia l'"allegra compagnia" e se ne va da una parte, verso un altro tragitto che lo porterà avanti (o indietro, a seconda dei punti di vista), verso altre fermate fondamentali ("Individual Thought Patterns", "Symbolic"), fino ad arrivare a una perfetta definizione moderna ("The Sound of Perseverance"), e al contempo "classica", di un Metal Totale, senza aggettivi.
Mentre tutti gli altri (idealmente guidati dai Morbid Angel) se ne vanno dall'altra, su binari sferraglianti col marchio "death metal" impresso, che però non avranno una lunghezza temporale particolarmente significativa...

Se il 1991 rimarrà per il death metal quindi un anno senza precedenti e senza eguali, era scritto che si dovesse chiudere il "cerchio" di tutta la nostra Rassegna con un musicista e paroliere che fu altrettanto senza precedenti e senza eguali: Charles Michael Schuldiner.

In dreams my thoughts take their form / to give memories identity / Through dreams I obtain / The ability to connect sight with sound (da “See Through Dreams”)