6 giu 2016

ANTONIO BARTOCCETTI: 10 ESSENTIALS (prima parte)



Un'inquietante copertina in bianco e nero raffigurante un uomo incappucciato chino su uno scheletro. Notte, un cimitero a fare da sfondo, tombe e croci di pietra: una misteriosa scritta in latino ai lati. No, non siamo nei primi anni novanta, e no, non stiamo parlando di black metal. Le lancette dell'orologio dovranno correre indietro e fermarsi più in là, all'anno 1969, in un'epoca in cui il metal doveva ancora configurarsi come genere a sé stante. Eppure gli italiani Jacula, dalle Marche, si facevano promotori di una musica sconvolgente che intendeva abbinare rock ed occultismo, più di quanto nessun altro avesse mai osato fare prima di allora.

Dopo il successo riscosso dalla nostra rassegna su Paul Chain, il nostro riflettore verrà rivolto verso l'operato di un altro grande protagonista di quell’'Italia oscura che ha partorito autori tanto geniali quanto relegati ad una dimensione di culto: signore e signori, Antonio Bartoccetti.

Rispetto alla discografia di Chain, quella di Antonio Bartoccetti è meno nutrita. La nostra operazione "10 Essentials" non vuole dunque essere una guida (come era successo nel caso del chitarrista pesarese), bensì la descrizione per tappe di un percorso artistico. Per questo procederemo in senso cronologico e, a conti fatti, toccando quasi tutti i lavori rilasciati dai due progetti principali di Bartoccetti: Jacula ed Antonius Rex. Un cammino che quindi andrà ad omettere episodi minori come "Zora" (1977) e "Ralefun" (1978), in parte rinnegati dallo stesso autore in quanto poco ispirati e "macchiati" da intenti commerciali, per quanto un’espressione del genere abbia senso per una realtà underground come quella di cui stiamo parlando (mi viene in mente una incalzante e catchy "Witch Dance", che si fa sedurre persino da sonorità disco).

La cosa tuttavia non ci sorprende visto che Bartoccetti, consapevole del suo valore, in un certo senso ha sempre cercato una visibilità nel mercato discografico. "Cambia mestiere" gli disse ad inizio carriera l'allora produttore degli Area, ma Bartoccetti non desistette ed archiviata la fallimentare (a livello di vendite) esperienza dei Jacula, eccolo pronto più forte di prima nella reincarnazione targata Antonius Rex: una caparbietà che lo ha portato ai nostri giorni, oramai relegato ad un pubblico di nicchia, ma con lo status inalienabile di autentico artista di culto.

A compensare una spaventevole proposta estrema (sia a livello concettuale che nella forma), troviamo dunque una strategia di marketing volta a contornare di “stranezze” l'avventura artistica di Jacula ed Antonius Rex: storie di occultismo, evocazioni del Maligno, morti misteriose (quella di Albert Goodman, il produttore ai tempi di “Neque Semper Arcum Tendit Rex”) avvolgono l'operato della band in una coltre di inquietudine che si sposa perfettamente con quello che è la missione artistica principale: divenire esperienza mistica ed esplorare il Mistero dell'esistenza, squarciando dunque il velo della schietta materialità. Per usare una metafora impiegata dallo stesso autore: non guardare il lago dalla riva, ma scendere in profondità. Ma non sono vuote parole, queste: Bartoccetti si laureava in filosofia con una tesi dal titolo "Il potere evocativo della chitarra". Diviene dunque lecito pensare che il Nostro, nel maneggiare il proprio strumento, non si sia fermato a semplici combinazioni di note: evocativa è per davvero la chitarra di Bartoccetti, che in modo parsimonioso, ma tremendamente efficace, tesse simbologie oscure, emergendo ed eclissandosi nel maelstrom misterico prima dell'organo dell'anziano Charles Tiring, poi nei sintetizzatori della moglie Doris Norton ed infine in quelli del figlio Rexanthony.

"International Magic Group" è la dicitura che l'autore ha scelto per descrivere il suo progetto prediletto, che, fra salti e lunghi intervalli di tempo, giunge ai nostri giorni sulla spinta di una rinascita artistica avvenuta in tempi recenti che ha saputo rilanciare il nome Antonius Rex dopo una assenza dalle scene di quasi venticinque anni. E proprio per questo enorme lasso di tempo possiamo parlare a tutti gli effetti di due fasi artistiche: una che dalle origini (il  nostro ha iniziato a comporre nel 1966!) giunge fino al 1980, ed una seconda che va dal 2004 ad oggi.

“In Cauda Semper Stat Venenum” (1969)
Definire la musica dei Jacula è impresa ardua, definire quella contenuta nel loro primo album è semplicemente impossibile. Potremmo apporre l'etichetta dark-progressive, ma le creazioni contenute in “In Cauda Semper Stat Venenum” sono progressive più nello spirito che nella forma: del genere che verrà reso celebre da King Crimson, Yes, EL&P e Genesis vi è poco o nulla, se non la volontà di sperimentare e di spingersi oltre le canoniche forme del rock. Un rock, se così lo possiamo ancora chiamare, che si fa rituale, facendo a meno della componente ritmica (cosa strana, in effetti, per un gruppo progressive) e di un modo di cantare convenzionale. Potremmo parlare di musica strumentale a tutti gli effetti, se in due occasioni ("Magister Dixit" e la title-track) non si materializzasse una voce recitata a decantare liriche enigmatiche, in italiano e in latino. Ma la cosa più interessante di tutte è che qui musiche e testi sono suggeriti da “forze occulte” sapientemente ammaestrate dal medium Franz Parthenzy, inserito a tutti gli effetti in line-up. Una squadra che si viene a completare con Charles Tiring all'organo, Doris Norton agli effetti sonori e il deus ex machina Antonio Bartoccetti diviso fra chitarra e voce: un contributo fondamentale, ma riversato con il contagocce sulle arcane liturgie di un organo da chiesa, il quale costituisce il vero corpus sonoro dell’album. Un riffing violento ed ossessivo che precorre i tempi (si pensi ad una “Triumphatus Sad”), quello della chitarra di Bartoccetti, accusato di aver "truccato" i master originari delle registrazioni e modificato i brani poi riproposti nella ristampa. Impossibile per noi verificare, visto che non si trovano più copie originali dell'opera, ma se dovessimo stare a quel che sentono le nostre orecchie, nell'anno di grazia 1969 i Jacula sfoggiavano un sound pienamente sabbathiano, prima che i Black Sabbath stessi avessero dato alle stampe il loro primo seminale album. Al di là di questi aspetti, che ci interessano relativamente, rimane incontestabile l'originalità della proposta, come rimane incontestabile il genio creativo e lungimirante di Bartoccetti, che, reduce da un'esperienza a Londra, ebbe modo di carpire in anticipo, rispetto ai colleghi italiani, le tendenze più rivoluzionarie del periodo in fatto di "rock pesante".

“Tardo Pede in Magiam Versus” (1972)
"Tardo Pede in Magiam Versus" è il secondo album dei Jacula: uscito tre anni dopo, esso presenta un sound meno destabilizzante del debutto ("forse perchè non è stato ritoccato?", potrebbero aggiungere le malelingue?). In esso Bartocetti si è concentrato più sulla scrittura che sull’esecuzione, lasciando il microfono a Doris Norton (ribattezzata Fiamma dello Spirito) e lasciando nella custodia la chitarra elettrica. Sarà il solito organo di Tiring a fare il buono e il cattivo tempo, corredato dal flauto e dalla viola suonati dalla Norton stessa. Se dunque la proposta dei Jacula è meno sconvolgente, non viene certo a mancare l'originalità e il carattere estremo della componente concettuale. Nei due brani iniziali troviamo subito i momenti migliori: "U.F.D.E.M" è un'energica cavalcata dominata dalla voce tonante della Norton e rinforzata dal basso di Bartoccetti che si va, epico, ad insinuare fra gli accordi solenni dei tasti d’avorio. Il testo, redatto in italiano, è una feroce invettiva di vocazione ambientalista che va a processare il tanto vituperato "piccolo uomo moderno", che per avidità ed egoismo va a condannare il pianeta terra, spingendolo verso il baratro: un testo che introduce i temi cardine del pensiero etico-sociale di Bartoccetti e che costituirà il primo di una lunga serie di atti di accusa verso i vizi della modernità. La seconda traccia, “In Presentia Domini”, recupera il latino e ci riporta al carattere rituale ed alle atmosfere morbose del debutto, con tanto di doppio recitato Norton/Batoccetti da brividi. Un lavoro dunque affascinante, sebbene meno traumatizzante del debutto.

“Neque Semper Arcum Tendit Rex” (1974)
A causa dello scarso successo di vendite, l'esperienza Jacula fu archiviata dopo solo due album. Dalle sue ceneri emerse il nuovo progetto Antonius Rex, che in verità non si discostava eccessivamente dalla formula originaria, andando a rinforzare l'asse Bartoccetti/Norton. I due emergono più in forma che mai, il primo presentissimo con chitarra e voce, la seconda che si fa carico di tutto l'impianto di tastiere, pianoforte, sintetizzatori ed effetti. A metà strada fra Black Sabbath e Van Der Graaf Generator, il sound degli Antonius Rex si fa solido ed ulteriormente complesso, sebbene la componente ritmica rimanga ridotta all'osso con le dilettantesche percussioni a mano di Albert Goodman, produttore dell'album. La forza dell'opera (che sancisce l’apice della produzione settantiana di Bartoccetti) sta nei morbosi intrecci fra chitarre (a tratti violentissime) e tastiere: vorticosi e folli duetti che fanno da altare allo spietato recitato di Bartoccetti, diviso come al solito fra italiano e latino. Al centro del mirino vi è sempre il “piccolo uomo fallito”, vacuo materialista privo di spiritualità. Ma dall'etica ad "Altro" si fa presto a passare, ed ecco che fra i brani spicca "Devil Letter", una traccia ambientale di soli rumori ed effettacci “al cardiopalma” con in mezzo la lettura (da parte di Goodman) di una lettera “diabolica” risalente al 1624 e firmata da Asmodeo (documento in possesso dello stesso Goodman). Non neghiamo di preferire il Bartoccetti geniale compositore e brillante musicista rock, ma anche questa dimensione più concettuale è parte integrante del progetto Antonius Rex, gruppo esoterico per eccellenza, nonché una bella botta di inquietudine per il panorama dell'epoca (correva l'anno 1974).

“Anno Demoni” (1979)
1979: esce "Anno Demoni", lavoro minore che raccoglie materiale inedito composto negli anni precedenti. Proprio per questa sua natura, l'opera, rispetto agli episodi precedenti, soffre di una certa disomogeneità fra i brani in scaletta, ma ciò non toglie che, escluso qualche episodio meno riuscito, essa sappia piazzare tre o quattro pezzi strepitosi. Come la terribile opener "Gloriae Manus", cantata interamente in latino da un Bartoccetti cavernoso, fra minacciosi accordi di organo e rintocchi solenni di chitarra. Ma "Anno Demoni" non è solo prog-rock ottenebrante come la migliore tradizione "rex antoniana" impone, in quanto è capace di gettare un ponte verso quello che gli Antonius Rex presto saranno: ecco che quasi in conclusione troviamo l’ipnotica "Missanigra", con dei suoni inediti, modernissimi, che vanno ad anticipare le atmosfere malsane di certi esponenti del dark-industrial a venire. In mezzo troviamo la nenia fatata di "Jacula the Witch" (cantata dalla Norton, essa non sfigurerebbe in un film di Dario Argento), i dodici minuti della title-track (che sfoggia chitarre acustiche ed un bel basso pulsante a là Goblin) e l'incalzante "Soul Satan" (dove Bartoccetti abbandona il suo proverbiale recitato per darsi al canto: un tentativo un po’ maldestro che rimarrà un caso praicamente isolato nella discografia del Nostro). Non di certo il capolavoro degli Antonius Rex, questo "Anno Demoni", ma un passo importante per definire quella che sarà l'evoluzione della band da lì a poco.

“Praeternatural” (1980)
Anno Demoni 1980: gli Antonius Rex si affacciano sugli anni ottanta (la decade che storicamente decreta la fine del progressive rock nella sua accezione più classica) con quello che probabilmente ad oggi rimane il  loro capolavoro assoluto (almeno da un punto di vista concettuale). "Praeternatural" è coerente con quanto l'ha preceduto, ma mostra un sound moderno che potremmo definire precursore di certe sonorità che verranno sviluppate nel corso del decennio (è noto che la Norton, da sempre grande sperimentatrice ed attenta osservatrice delle novità quanto a nuove tecnologie, stesse all'epoca utilizzando strumenti che a breve avrebbe utilizzato anche il guru della “produzione moderna” Brian Eno). È così gli Antonius Rex cambiano pelle approdando all'elettronica ed alla musica ambientale, con un album per lo più sperimentale e fortemente intriso di significazioni esoteriche, con atmosfere degne di una pellicola horror, fra Goblin e Carpenter. Dall'iniziale "Halloween" (dieci minuti di tese ambientazioni orrorifiche) alla conclusiva "Invisible Force" (fra rumori da infarto e frasi recitate al contrario), passando dall'imperdibile title-track (subdola ed inquinante prog-song dal testo enigmatico e con una coda strumentale da applausi) e la famigerata "Capturing Universe" (altri dieci minuti di magniloquenza chitarristica), "Praeternatural" è un viaggio nel vero senso del termine, un'esperienza musicale che descrive le eccelse qualità compositive del duo. Le incursioni della chitarra di Bartoccetti come al solito sono misurate ma decisive: il chitarrista infatti espone con grande maestria un saggio sulla sua arte, fatta di inquietanti arpeggi, ritmiche rocciose ed assolo di gran classe, il tutto distribuito in un contesto in cui le ritmiche (a questo giro gestite con drum machine) ricoprono un ruolo marginale.