Settima
puntata: :Of The Wand & The Moon:
1994, 2001: avevamo chiuso la prima parte
della nostra rassegna (quella dedicata ai "classici") con lo
splendido "Beauty Reaps the Blood of Solitude" dei Nature And Organisation, rilasciato nel 1994. Ci riaffacciamo adesso sul panorama
del folk apocalittico compiendo un salto temporale di ben sette anni per
parlare di ":Emptiness:Emptiness:Emptiness:" degli :Of The
Wand & The Moon:, opera targata 2001. Che non sia successo
nulla nel resto della decade novantiana?
Niente affatto! La seconda metà degli anni novanta è
stata foriera di grandi opere per il folk apocalittico. I Death in June
trarranno forza ed ispirazione facendosi contaminare dall'industrial marziale
dei Der Blutharsch di Albin Julius, discepolone "ben
dotato" con il quale Douglas Pearce stringerà un "patto
d'acciaio": il risultato saranno lavori superlativi come "Take
Care and Control" e "Operation: Hummingbird".
I Current 93 inanelleranno una serie impressionante
di capolavori e completeranno in bellezza la decade con gli umori intimi e le
forme minimali di lavori tanto belli quanto ermetici come "Soft Black
Stars" e "Sleep Has His House".
I Sol Invictus, infine, raffineranno la loro formula,
incorporando nel loro corpus sonoro elementi neoclassici, arrangiando i loro
brani in modo sempre più sontuoso ed elegante, raggiungendo così vette qualitativamente
notevoli (sia per quanto riguarda la forma che la sostanza) quali "The
Blade" e "In a Garden Green". E questo grazie ad un ensemble
di musicisti superlativi sempre più affiatati che sapranno ampliare la visione
artistica di Tony Wakeford.
Sarà piuttosto con l'inizio del nuovo millennio che si
sentirà il bisogno di un ricambio generazionale: la vena creativa di David
Pearce si inaridirà in modo preoccupante (e la prova sono gli scialbi lavoro
degli ultimi quindici anni), la conversione al cristianesimo di David Tibet
porterà ad un periodo di incertezze, Tony Wakeford cadrà nella trappola del
manierismo.
In soccorso giungeranno giovani principalmente provenienti
dal Nord Europa che, attirati dai richiami alle culture pagane
fiorite proprie nelle aree nord-europee (richiami che da sempre scaturiscono
dalle viscere del genere, in particolare da parte di entità quali Sol Invictus
e Fire + Ice), sapranno imprimere linfa vitale ad un genere che
rischiava seriamente di rimanere arenato nelle secche della sclerosi creativa. Fra
queste nuove "band" vi sono gli :Of The Wand & The Moon:,
dalla Danimarca.
Ho virgolettato la parola band perché anche in questo
caso abbiamo a che fare con un solo individuo, come spesso capita in questi ambienti.
L'uomo dietro al progetto è Kim Larsen, il quale fra l'altro proveniva
da una band gothic-doom, i Saturnus (dove suonava la chitarra), a
dimostrazione dei forti legami che sussistono fra neo-folk e le frange più oscure
del metal.
Egli debuttava con la nuova "ragione sociale" nel
1999 con l'ottimo "Nighttime Nightryme", bell'esempio di
neo-folk intimo, notturno ed ancorato alla missione di riscoperta e
rivalutazione delle culture della tradizione folcloristica del Nord Europa.
Ancora una volta il punto di riferimento erano i Death in June, ma la voce
appena sussurrata di Larsen, le melodie epiche della sua chitarra, i richiami
ad un passato ancestrale fatto di rune e riti pagani, rendeva la sua proposta
estremamente intrigante.
Con il secondo album
":Emptiness:Emptiness:Emptiness:", edito nel 2001, farà meglio,
confezionando un lavoro ancora più maturo, curato nei particolari, ammaliante
nei suoi lenti movimenti e nei suoni avvolgenti. Larsen non inventa nulla, ma
la sua musica "riluce" di un magnetismo, di un potere evocativo che
trae energia direttamente dalla grande passione che il Nostro riversa in essa.
":Emptiness:Emptiness:Emptiness:" nei suoi quasi
settanta minuti di durata non è di facile ascolto, anche perché fra le scarne
ed oscure ballate in classico stile Death in June si insidiano incursioni
industrial-ambient che dilatano a dismisura l'opera: basti pensare a "Algir
Naudi Wunjo" e "Reficul" (rispettivamente dodici e
diciassette minuti!) che offuscano la "vista" all'ascoltatore conducendolo
in una dimensione di orchestrazioni sfocate e lente percussioni dal passo
marziale, a metà strada fra l'antico rituale di guerra e foschi scenari
post-apocalittici (in questo caso i riferimenti sono i primi Current 93 e il Boyd Rice "parlante").
Per questo motivo l'impatto iniziale non può essere dei
migliori, e io stesso ho impiegato del tempo per addentrarmi nell'oscuro mondo
di :Of The Wand & The Moon:. Ma una volta entrati sarà difficile uscirne,
come ipnotizzati dal quella voce dolente, da quell'arpeggiare nell'oscurità, da
quelle pennellate di synth che sembrano avvolgere i brani in un
"involucro metafisico".
L'opener "Lost in Emptiness" è il
manifesto programmatico di tutto questo: una ballata crepuscolare che ricorda
da vicino quanto proposto dalla Morte in Giugno in "Rose Clouds
of Holocaust". Il fantasma di quell'opera così seminale per l'intero
genere aleggerà per tutto il platter ed in particolare verrà evocato
dalla doppietta "Silver Rain"-"Al Ganda", la
prima soffusa ed onirica, la seconda imponente ed incalzante (arricchita da un
bel flauto svolazzante), che ricorda decisamente l'uno-due di "The
Accidental Protégé" e "Rose Clouds of Holocaust" (la
canzone). Eppure il plagio non si affaccia mai in maniera fastidiosa, in quanto
l'universo artistico di Larsen è molto diverso da quello di Douglas Pearce: i
testi sono in inglese e in norreno e veicolano un messaggio di sconforto
innanzi al Vuoto, valoriale e spirituale, che caratterizza i nostri
tempi.
:Vuoto:Vuoto:Vuoto: è la traduzione letterale
del titolo dell'album, che appunto indugia su questa sensazione di solitudine e
di amarezza vissuta da Larsen in un mondo inconsistente, vacuo, in cui egli non
si riconosce. Tutto volge alla descrizione del vuoto: le folk-song
acustiche sono arrangiate in modo minimale (ossessivi accordi di chitarra
acustica, lisergiche tastiere ed arpeggi di chitarra elettrica ad evidenziare i
passaggi più significativi, sporadiche percussioni, flauto ed archi
all'occorrenza). E lo stesso, forse in maniera più incisiva, vale per le tracce
ambientali, nelle quali ci si abbandona a suoni confusi che richiamano dimensioni
oniriche, falò appiccati in boschi di notte. Capiterà di udire il crepitio del
fuoco, lo stridere di lame che vengono affilate, il solenne incrocio di violino
e violoncello: in questi episodi la voce di Larsen si fa sofferta e rassegnata
recitazione, a sottolineare quella sensazione di "spossatezza
esistenziale" che scorre attraverso le arterie dell'opera e che cozza
piacevolmente con l'impeto epico che le fa da corazza.
Pur non stravolgendo gli schemi tipici del genere, ma anzi
andandoli a ribadire in maniera idealtipica (fissando quei cliché in una
rappresentazione perfetta e pura di quello che è che dovrebbe essere il
genere), Larsen scrive una bella pagina di folk apocalittico, intingendo la
sua penna in un calamaio colmo di intime sensazioni e traboccante di un reale
disagio nei confronti del vuoto che lo/ci circonda ("prodotto, composto e
suonato sotto l'influenza dell'alcol e della misantropia", viene
orgogliosamente dichiarato nelle note interne). Ma non senza uno sguardo
rivolto a quello che non è e che dovrebbe essere:
:We all
lie in the gutter but some of us are looking at the stars:
Discografia
essenziale:
"Nighttime
Nightryme" (1999)
":Emptiness:Emtiness:Emptiness:"
(2001)
"Sonnenheim"
(2005)
"The
Lone Descent" (2011)