Qualche giorno
fa, aprendo la pagina on line de laRepubblica, mi è saltata agli occhi
un’intervista della celebre cantautrice italiana Elisa Toffoli. Nel pezzo si
parlava contemporaneamente della sua partecipazione al film d’animazione
“Trolls”, uscito nelle sale italiane proprio ieri, e della partenza tra
pochi giorni, l’11 novembre, del nuovo tour celebrativo dei suoi 20 anni di carriera.
A cura di Morningrise
A cura di Morningrise
Elisa nelle sue prime
pubblicazioni non mi spiaceva per il suo alternative rock non particolarmente originale
ma neppure stucchevole, delicatamente marcato a fuoco dalla sua bellissima voce
e da un inglese cantato con competenza. La vittoria a Sanremo nel 2001 con
“Luce” le darà ancora più successo, sdoganandola anche tra le masse di teenager
che meglio digeriscono un pop-rock cantato in italiano (com’era appunto il
brano “Luce”) rispetto a un meno diretto alt-rock cantato in inglese.
Nel 2003 comprai il cd “Lotus” alla mia compagna che apprezzava
parecchio la cantante di Monfalcone (cosa non si fa per amore!). E così mi ritrovai ad ascoltare il disco
parecchie volte (ascolto che non superò, evidentemente, la prova del tempo). Tra
i pezzi che ricordo ancora con piacere di quel platter c’è “Electricity”,
brano malinconico con un’intelligente struttura in crescendo.
Ma in quel 2003
un’altra “Electricity” mi colpì decisamente di più. E cioè il
brano contenuto in “A Natural Disaster” degli Anathema. L’album in realtà è tra
quelli che dell’adorato gruppo di Liverpool mi è risultato più ostico; sarà che
in quel periodo il gruppo era scosso al suo interno da abbandoni (vedasi il
bassista Dave Pybus) e da deconcentrazioni (progetto Antimatter). Collocato
alla fine del loro periodo “intermedio”, prima del lunghissimo silenzio
discografico e della decisa svolta “solare” (avvenuta nel 2010 con “We’re here
because we’re here”) di cui abbiamo profusamente parlato sul nostro blog, AND è
particolarmente spiazzante, a tratti ambiguo. Da un lato, infatti, gli Anathema
proseguono quel processo di raffinazione del proprio sound (partito nel lontano 1996 con “Eternity”, per
chi scrive il capolavoro assoluto della band, e proseguito coerentemente una
release dopo l’altra) scaricando progressivamente dal proprio corpus sonoro le
asperità rimaste, e finendo per abbracciare, proprio con AND, un post-rock psichedelico con chiari rimandi pinkfloydiani e qualche strizzatina d'occhio all'elettronica; dall'altro è anche vero che, sempre in AND, da traccia a traccia c'è un'inaspettata disomogeneità (con alcune bordate simli-death che non si serntivano da tempo!) probabilmente frutto dei problemi suesposti.
Ma la classe non è acqua e qualcosa di straordinario sgorga sempre dalla penna e dagli strumenti dei fratelli Cavanagh. Ne è fulgido esempio proprio "Electricity" in cui lo storico marchio anathemico si estrinseca in tutta la sua melanconia, disperazione e inquieta dolcezza.
Ma andiamo nel dettaglio del parallelismo oggetto del nostro post.
Il brano di Elisa è tematicamente abbastanza esplicito: è la storia del rapporto tra un padre e una figlia. Da quello che si evince, lui è molto ricco ma ossessionato da una cosa: sua figlia è lontana, fa la ballerina a Buenos Aires (!) vivendo alla meno peggio in uno squallido appartamento con il suo amante.
Ora: da vetero-padre-meridionale-geloso anche a me girerebbero le palle a sapere mia figlia lontana, a dormire su un materasso buttato per terra con un tizio che manco conosco. Però Elisa cerca di fare da paciere: si rivolge prima al padre, chiedendogli se si sia mai posto il dubbio su come lei si senta. E poi chiedendo a lei se si è mai posta la domanda su come lui si senta. Una par condicio dei buoni propositi...
La Nostra ci tiene a sottolineare più e più volte che la fanciulla fa "the best she can", cercando una sua via di realizzazione. E l'elettricità è proprio ciò che la attraversa facendo questa vita, che la fa sentire viva, che la rende felice (altro concetto ribadito a più riprese) nel ricercare un personale e appagante stile di vita.
In chiusura troviamo espressa la morale del tutto: Electricity through her body / that one thing that can make one happy / [...] and you don't need to have more oh no oh no oh nooo
Passando all'"Electricity" dei britannici va detto subito che, nella sua semplicità e linearità, è una canzone di una bellezza devastante, un concentrato di dolcezza e malinconia unico, con un interpretazione vocale di Vincent da urlo. Anche qui l'elettricità è un elemento, immateriale, che attraversa il corpo dei protagonisti (due amanti?). Ma, mentre nel brano di Elisa la sua valenza è assolutamente positiva e rigenerante, in questa versione la sua funzione di avvicinare i due innamorati (But electricity / it drew you near to me) è continuamente resa vana dalla consapevolezza razionale che lei, la amata, debba allontanarsi da lui (What you needed is to be rid of me). E non ci è dato capire il perchè di ciò.
Il testo è molto scarno, giocato tutto sul "non detto", sul tratteggio di brevissimi momenti passati assieme dai due protagonisti (There were times you really made me smile / and there were times you really made me crying), sulla ripetizione di pochi concetti (soprattutto la succitata necessità di lei di liberarsi di lui) e su lampi poetici di folgorante intensità: And the fear made you so unsure of me - paura di cosa? Anche in questo caso, non si sa...
Ma soprattutto la cosa in cui divergono le due elettricità è la declinazione del concetto che mi rimanda a una differenza che definirei quasi "antropologica". L'elettricità di Daniel (il brano è stato scritto interamente da lui) è quell'elemento indicibile, indescrivibile, magico che fa avvicinare due anime nel momento stesso in cui si sa che non potranno mai toccarsi davvero. Un elemento quindi illusorio di una gioia irraggiungibile.
Mentre quella di Elisa sembra invece un qualcosa di rivelatore, di definitivamente "vero", capace di dare un senso al tutto, di guidare una persona verso la propria personale "verità". E ciò è espresso con fastidiosa ripetitività nel testo.
Tirando le conclusioni di questa personale fantasia metallica, tra la gioiosa didascalia di Elisa e lo struggente e poetico non-detto di Daniel, noi ci sentiamo di sposare quest'ultimo.
Cioè un'elettricità che, sebbene in modo malinconicamente criptico ed enigmatico, ci tocca molto più vivamente le corde dell'anima...
Ma la classe non è acqua e qualcosa di straordinario sgorga sempre dalla penna e dagli strumenti dei fratelli Cavanagh. Ne è fulgido esempio proprio "Electricity" in cui lo storico marchio anathemico si estrinseca in tutta la sua melanconia, disperazione e inquieta dolcezza.
Ma andiamo nel dettaglio del parallelismo oggetto del nostro post.
Il brano di Elisa è tematicamente abbastanza esplicito: è la storia del rapporto tra un padre e una figlia. Da quello che si evince, lui è molto ricco ma ossessionato da una cosa: sua figlia è lontana, fa la ballerina a Buenos Aires (!) vivendo alla meno peggio in uno squallido appartamento con il suo amante.
Ora: da vetero-padre-meridionale-geloso anche a me girerebbero le palle a sapere mia figlia lontana, a dormire su un materasso buttato per terra con un tizio che manco conosco. Però Elisa cerca di fare da paciere: si rivolge prima al padre, chiedendogli se si sia mai posto il dubbio su come lei si senta. E poi chiedendo a lei se si è mai posta la domanda su come lui si senta. Una par condicio dei buoni propositi...
La Nostra ci tiene a sottolineare più e più volte che la fanciulla fa "the best she can", cercando una sua via di realizzazione. E l'elettricità è proprio ciò che la attraversa facendo questa vita, che la fa sentire viva, che la rende felice (altro concetto ribadito a più riprese) nel ricercare un personale e appagante stile di vita.
In chiusura troviamo espressa la morale del tutto: Electricity through her body / that one thing that can make one happy / [...] and you don't need to have more oh no oh no oh nooo
Passando all'"Electricity" dei britannici va detto subito che, nella sua semplicità e linearità, è una canzone di una bellezza devastante, un concentrato di dolcezza e malinconia unico, con un interpretazione vocale di Vincent da urlo. Anche qui l'elettricità è un elemento, immateriale, che attraversa il corpo dei protagonisti (due amanti?). Ma, mentre nel brano di Elisa la sua valenza è assolutamente positiva e rigenerante, in questa versione la sua funzione di avvicinare i due innamorati (But electricity / it drew you near to me) è continuamente resa vana dalla consapevolezza razionale che lei, la amata, debba allontanarsi da lui (What you needed is to be rid of me). E non ci è dato capire il perchè di ciò.
Il testo è molto scarno, giocato tutto sul "non detto", sul tratteggio di brevissimi momenti passati assieme dai due protagonisti (There were times you really made me smile / and there were times you really made me crying), sulla ripetizione di pochi concetti (soprattutto la succitata necessità di lei di liberarsi di lui) e su lampi poetici di folgorante intensità: And the fear made you so unsure of me - paura di cosa? Anche in questo caso, non si sa...
Ma soprattutto la cosa in cui divergono le due elettricità è la declinazione del concetto che mi rimanda a una differenza che definirei quasi "antropologica". L'elettricità di Daniel (il brano è stato scritto interamente da lui) è quell'elemento indicibile, indescrivibile, magico che fa avvicinare due anime nel momento stesso in cui si sa che non potranno mai toccarsi davvero. Un elemento quindi illusorio di una gioia irraggiungibile.
Mentre quella di Elisa sembra invece un qualcosa di rivelatore, di definitivamente "vero", capace di dare un senso al tutto, di guidare una persona verso la propria personale "verità". E ciò è espresso con fastidiosa ripetitività nel testo.
Tirando le conclusioni di questa personale fantasia metallica, tra la gioiosa didascalia di Elisa e lo struggente e poetico non-detto di Daniel, noi ci sentiamo di sposare quest'ultimo.
Cioè un'elettricità che, sebbene in modo malinconicamente criptico ed enigmatico, ci tocca molto più vivamente le corde dell'anima...