Il 18 febbraio del 1994, 23 anni
fa esatti, veniva pubblicato “Ceremony Of Opposite” dei Samael.
Ho incrociato la mia strada con
la musica degli svizzeri a inizio anni duemila, successivamente quindi al
periodo in cui pubblicarono i loro tre dischi con i quali hanno lasciato un
segno indelebile nella storia metallica (il qui trattato, “Passage” e
“Eternal”).
Andando a ritroso nel ricostruire la loro discografia, mi ha
inizialmente stupito il fatto che COO venisse ovunque definito come un disco black metal. Ero stupito perchè con il Black che allora si stava codificando nelle sue caratteristiche
principali in Norvegia, la musica dei Samael non c’entrava ‘na mazza: né come tipo di riff, né come
produzione, né come ritmi.
Ma in un altro senso, COO è sì fottutamente
nero: nella sua essenza. Questo lo capisci però dopo un po’ di ascolti. Quando il disco ti è entrato definitivamente dentro, scuotendoti e disturbandoti con il suo mood maligno.
Ed è questo il punto più
importante del nostro discorso: prima dell’ottima svolta industrial/cyber, i
Samael dettarono un nuovo modo di approcciare la materia diabolica nel metal,
facendo vedere che una “nuova via” al neonato genere era possibile. Non
sarà stata la via “true norwegian”, ma era davvero altrettanto efficace e affascinante: ritmi
cadenzati, parti di tastiere inquietanti, samples, algide percussioni che
sembrano scaturire direttamente dagli Inferi; ma soprattutto una montagna di
riff gelidi, robotici, cattivi e vischiosi come la pece che ti avvolgono e ti
creano un senso di disagio interiore pazzesco. E che ci fanno considerare
questa release, ancor prima che bellissima musicalmente, importantissima
concettualmente per il suo coraggio innovatore, per la sua originalità
disturbante (del resto parliamo di anni ’90, culla della contaminazione stilistica).
I Samael non furono gli unici a
declinare il Black secondo una loro cifra e gusto stilistico originali. Di
getto mi vengono in mente, proprio in quel 1994, i grandiosi Moonspell dell’EP
“Under the Moonspell” (21 minuti di malignità inaudita) e, l’anno successivo,
gli indimenticati Ophthalamia di “Via Dolorosa”. I primi furono “neri” con un
gusto folk-gotico ante-litteram. I secondi stuprarono il genere con un
melo-doom (passatemi il neologismo) riconoscibile tra mille.
Insomma, tre esempi di album
black nell’essenza senza suonare minimamente “true black”.
Ma torniamo ai Nostri. E’ molto
difficile estrapolare un brano in particolare da un disco dei Samael, perché
l’omogeneità è sempre stata una delle loro caratteristiche principali. I brani
sono costruiti, con lieve varianti, in modo del tutto simile e anche la qualità
degli stessi, sempre più che buona/ottima, rimane costante (gli eventuali
picchi e/o cadute di tono dipendono dai gusti soggettivi). COO non fa eccezione
ma personalmente “Black trip” mi ha sempre lasciato qualcosa di più di altri
pezzi. Non solo per l’incipit (geniale) e il suo sviluppo, ma anche per il
testo.
Non amo, poiché mi interessano poco, soffermarmi sui testi delle canzoni
ma i Samael sono un caso a sé, avendo i loro testi una profondità e
un’accuratezza distintiva. In COO ve ne sono molti che in quanto a blasfemia
non hanno nulla a che invidiare ai fratelli maggiori norvegesi (andatevi a
leggere quelli di “Baphomet’s throne” o “To our martyrs”). Ma nell’opener Michael
Locher (in arte Vorph) supera se stesso: “Black
trip” è una poesia di desolazione, negatività e visionarietà senza eguali
(“un olocausto spirituale” lo ha definito il nostro Dottore).
Ed eccola qua, questa poesia-olocausto:
Ho scelto l’oscurità / ho scelto
la notte / ho perso la speranza di amare la vita / le ombre della notte mi
appartengono / sono tutt’uno con l’inferno / Morto dentro, guardo il tempo
passare / attendo il mio momento / i miei viaggi sono sempre al mio interno /
là dove si trova il pozzo senza fondo / dove mi immergo sempre più in
profondità / Là, in quell’unico altro mondo dove l’unità è armonia / Riparato
dal giudizio e dalle regole umane / Là il colore è assente, la luce è nera.
Ancora adesso a leggere queste
righe mi corre un brivido lungo la schiena.
Buon compleanno, "Ceremony of Opposites"!
A cura di Morningrise