18 feb 2017

COMPLEANNI - IL "NERO VIAGGIO" DEI SAMAEL


Il 18 febbraio del 1994, 23 anni fa esatti, veniva pubblicato “Ceremony Of Opposite” dei Samael.

Ho incrociato la mia strada con la musica degli svizzeri a inizio anni duemila, successivamente quindi al periodo in cui pubblicarono i loro tre dischi con i quali hanno lasciato un segno indelebile nella storia metallica (il qui trattato, “Passage” e “Eternal”). 

Andando a ritroso nel ricostruire la loro discografia, mi ha inizialmente stupito il fatto che COO venisse ovunque definito come un disco black metal. Ero stupito perchè con il Black che allora si stava codificando nelle sue caratteristiche principali in Norvegia, la musica dei Samael non c’entrava ‘na mazza: né come tipo di riff, né come produzione, né come ritmi.

Ma in un altro senso, COO è sì fottutamente nero: nella sua essenza. Questo lo capisci però dopo un po’ di ascolti. Quando il disco ti è entrato definitivamente dentro, scuotendoti e disturbandoti con il suo mood maligno.

Ed è questo il punto più importante del nostro discorso: prima dell’ottima svolta industrial/cyber, i Samael dettarono un nuovo modo di approcciare la materia diabolica nel metal, facendo vedere che una “nuova via” al neonato genere era possibile. Non sarà stata la via “true norwegian”, ma era davvero altrettanto efficace e affascinante: ritmi cadenzati, parti di tastiere inquietanti, samples, algide percussioni che sembrano scaturire direttamente dagli Inferi; ma soprattutto una montagna di riff gelidi, robotici, cattivi e vischiosi come la pece che ti avvolgono e ti creano un senso di disagio interiore pazzesco. E che ci fanno considerare questa release, ancor prima che bellissima musicalmente, importantissima concettualmente per il suo coraggio innovatore, per la sua originalità disturbante (del resto parliamo di anni ’90, culla della contaminazione stilistica).

I Samael non furono gli unici a declinare il Black secondo una loro cifra e gusto stilistico originali. Di getto mi vengono in mente, proprio in quel 1994, i grandiosi Moonspell dell’EP “Under the Moonspell” (21 minuti di malignità inaudita) e, l’anno successivo, gli indimenticati Ophthalamia di “Via Dolorosa”. I primi furono “neri” con un gusto folk-gotico ante-litteram. I secondi stuprarono il genere con un melo-doom (passatemi il neologismo) riconoscibile tra mille.

Insomma, tre esempi di album black nell’essenza senza suonare minimamente “true black”.

Ma torniamo ai Nostri. E’ molto difficile estrapolare un brano in particolare da un disco dei Samael, perché l’omogeneità è sempre stata una delle loro caratteristiche principali. I brani sono costruiti, con lieve varianti, in modo del tutto simile e anche la qualità degli stessi, sempre più che buona/ottima, rimane costante (gli eventuali picchi e/o cadute di tono dipendono dai gusti soggettivi). COO non fa eccezione ma personalmente “Black trip” mi ha sempre lasciato qualcosa di più di altri pezzi. Non solo per l’incipit (geniale) e il suo sviluppo, ma anche per il testo
Non amo, poiché mi interessano poco, soffermarmi sui testi delle canzoni ma i Samael sono un caso a sé, avendo i loro testi una profondità e un’accuratezza distintiva. In COO ve ne sono molti che in quanto a blasfemia non hanno nulla a che invidiare ai fratelli maggiori norvegesi (andatevi a leggere quelli di “Baphomet’s throne” o “To our martyrs”). Ma nell’opener Michael Locher (in arte Vorph) supera se stesso: “Black trip” è una poesia di desolazione, negatività e visionarietà senza eguali (“un olocausto spirituale” lo ha definito il nostro Dottore).

Ed eccola qua, questa poesia-olocausto:

Ho scelto l’oscurità / ho scelto la notte / ho perso la speranza di amare la vita / le ombre della notte mi appartengono / sono tutt’uno con l’inferno / Morto dentro, guardo il tempo passare / attendo il mio momento / i miei viaggi sono sempre al mio interno / là dove si trova il pozzo senza fondo / dove mi immergo sempre più in profondità / Là, in quell’unico altro mondo dove l’unità è armonia / Riparato dal giudizio e dalle regole umane / Là il colore è assente, la luce è nera.

Ancora adesso a leggere queste righe mi corre un brivido lungo la schiena.

Buon compleanno, "Ceremony of Opposites"!

A cura di Morningrise