28 mar 2017

CAOS DI ANDATA E CAOS DI RITORNO: UN VIAGGIO CHIAMATO DISSECTION



"Reinkaos" fu il disco del bentornato e dell’addio di Jon Nodveidt, noto per la breve produzione dei Dissection, interrotta giocoforza per la detenzione di Jon. I nuovi Dissection durarono ancora di meno, per il suicidio di Jon. Le piste per leggere la storia dei Dissection sono state diverse: genio e sregolatezza; un esempio di coerenza estrema alla religione della misantropia; una cocente delusione per il fiasco di "Reinkaos".

Reinkaos è un bel disco del cosiddetto “blackened death metal”, un genere a ponte con cui i
Dissection iniziarono, più in continuità con il death metal satanico che non con il black metal di matrice norvegese. La vicinanza ideologica e personale di Nodveidt ad altri esponenti del black forse confuse le idee su questa matrice stilistica, e generò delle aspettative insensate su "Reinkaos".

Limitiamoci qui a descriverne il messaggio e la storia, per il resto bastano orecchie e curiosità.

La tesi del suicidio satanico è tanto fondata, perché questo può essere davvero stato, in ultimo, il pensiero di Nodtveidt, quanto insoddisfacente come motivazione generale. Se lo scopo del satanismo fosse raggiungere la consapevolezza necessaria per poi attuare un suicidio, si tratterebbe comunque della solita consapevolezza per iniziati, “incomunicabile” agli altri, esoterica. Non spiegherebbe inoltre come mai molti che hanno celebrato il valore simbolico dell’immagine del suicidio come rito di passaggio, tipo Benton, sono ancora in vita a menarcela con questi ed altri discorsi.

Certo è che negli ultimi testi di Nodveidt non si può non scorgere l’allusione ad una chiusura di un cerchio di conoscenza e di compimento di sé stessi, “fuori dall’illusione di Dio. Si tratta di testi vezzosamente ammantati di mistero, con la scelta dei nomi esotici e delle formule liturgiche in lingue antiche o inventate.

Si fa riferimento per esempio all’avvento di un seme di annullamento dell’ordine cosmico, che risucchierà dentro di sé tutto l’esistente, dando vita quindi all’unica forma accettabile di esistenza, il caos autodeterminato.

Il serpente divorerà completamente se stesso, e porrà fine al ciclo del tempo
Fiamme senza origine ridurranno tutto in cenere, a cancellare ogni segno del crimine del creatore

Il crimine del creatore, e cioè l’esistenza vincolata, sarà compensato da un evento che ne violerà le leggi: il serpente non mangerà la mela, che è solo uno strumento di conoscenza, ma mangerà se stesso. Sorgeranno fiamme che violeranno la causalità naturale, vincolo del creato: si accenderanno dal nulla (“acausal flames)” ma produrranno la cenere come conseguenza.

Chiaramente questa storicizzazione della rivincita dell’anti-Cosmo è da intendersi come il momento nella storia personale di ciascuno che compia la scelta di abbracciare questo credo e questa missione.
Poco chiaro è invece perché se la posizione di chi rifiuta la religione della creazione, cioè ad esempio il Cristianesimo, sia una lettura alternativa che “libera la mente”, oppure la maturazione di una volontà talmente forte da distruggere materialmente se stessi, dopo aver fatto le prove generali con qualche elemento del creato. Il “suicidio” satanico, cioè, è una metafora o un gesto concreto?
Nodveidt parrebbe averla presa alla lettera, ma questo lo farebbe cadere nell’ambito di chi credeva nella sussistenza di Dio, e lo avversava come entità reale. Chi infatti considera Dio una “bugia cosmica” in senso metaforico, non lo identifica certo con una realtà, e quindi si oppone al senso imposto dalla religione cristiana alla ricerca di un senso positivo per la vita, la natura, se stesso.
L’autodeterminazione, per chi è fondamentalmente anticristiano, e non satanista, non coincide con alcun atto distruttivo, men che meno contro sé, ma con una distruzione simbolica e rituale del pensiero viziato dalla dogmaticità religiosa (la creazione, la subordinazione a Dio, la somiglianza a Dio, la bontà di Dio, etc).

Per il resto, il senso del gesto, “a parole”, esprime sempre lo stesso concetto:

Io divengo Te, una cosa sola con Colui che mi dona la libertà che cerco
Il tunnel della tenebra mi rivela la luce
Mentre metto piede nel deserto – il deserto di Set – Il regno della luce eterna

Il gioco dei capovolgimenti, insomma: nel buio la luce, l’esistenza dopo la distruzione, l’amore nell’odio, etc. Cose che peraltro, al di là del Satanismo, sono proprie di ogni religione, che ricerca la verità oltre l’esistenza attraverso delle figurazioni paradossali: ogni atto negativo contro l’esistente è, nell’ottica della rivoluzione religiosa, un atto d’amore verso ciò a cui tende la rivoluzione. Il più grande crimine è il bene supremo se concepito ai fini della rivoluzione.
In questo caso, come spesso accade nelle religioni propriamente dette, quelle che si focalizzano sull’aldilà come “metro” di giudizio, il fine del gesto estremo è l’esistenza ultraterrena, anticosmica.
Nodtveidt si suicidò quindi senza tema di smentita sulla fondatezza dei motivi che – pensiamo – lo ispirarono.

In Reinkaos si fa riferimento, esplicito, ad un atto violento che libererà l’individuo, un atto rappresentato come un sentiero infuocato, come una pira ardente, o più esplicitamente come un atto di suicidio.

Vedrò attraverso ogni illusione
Cremerò questo mondo e libererò la mia essenza

Il titolo stesso dell’album, Reinkaos, significa “caos che riporta a casa”, altrimenti traducibile come “caos di ritorno”, o “caos che riporta indietro”, o “ritorno al caos”, anche. Esiste un’andata al caos e un ritorno, o meglio secondo me un caos di andata, e un caos di ritorno.
Il caos di andata coincide con la sfida al cosmo, la parte che non ti toglie dai vincoli cosmici, ma ti porta al confronto radicale.
Il caos di ritorno è quello che libera dai vincoli, che riporta “a casa” dopo aver superato il limite della consapevolezza. Come lo si voglia intendere, resta un fatto importante. Dei due album, "Storm of the light's bane" e "Reinkaos", il primo è cupo e bellicoso, a tratti disperato. Il secondo è a tratti sereno ed estatico, vigoroso ma in maniera completamente diversa, quasi gioiosa. Suona strano se si pensa che è l’album pre-suicidio, ma se ci si pensa no, dato che l’altro è l’album pre-omicidio. Reinkaos è l’album della riconciliazione, in qualche misura. 
Del resto dare per scontato che un suicidio sia concepito in termini di disperazione è sbagliato. La disperazione non basta, mentre l’esaltazione talora sì.

Un Nodveidt depresso, “fuori di testa” e  un Nodveidt coerente con la propria religione satanica sono le due interpretazioni prevalenti del suicidio, eppure c’è anche una terza ipotesi, quella del “fuori di testa” esaltato. Come di chi è davvero convinto di andare in un mondo migliore, e sente quasi di toccarlo con mano. Che il motore sia l’odio e la disperazione per il nostro mondo è possibile, ma ci vuole altro: una promessa, una luce in fondo al tunnel, è verso che quella che la persona può scegliere di correre.

In fin dei conti l’interpretazione del suicidio di Nodveidt è vicina a quella dell’omicidio di cui fu autore.  Esaltazione, di forme sicuramente non estranee allo spirito umano, per cui non c’è bisogno di chiamare in causa Movimenti Religiosi misantropici, Grandi Antichi assiro-babilonesi, o recensori ingiusti – non impietosi – che non sanno più leggere il metal.


A cura del Dottore