9 mag 2017

CONFRONTI IMPOSSIBILI: D. CRONENBERG E I MESHUGGAH



Non so voi, ma io ho sempre delle fastidiose sensazioni quando mi metto ad ascoltare un album dei Meshuggah. Da un lato c’è il disagio soverchiante dettato dalla loro musica, annichilente da un punto di vista fisico e fortemente disturbante da un punto di vista psicologico. Dall’altro l’idea, che mi accompagna sempre ai primi ascolti, di poter ascoltare una parte qualsiasi dell’intero senza riconoscere quale sia il brano specifico. Cioè, mi pare tutto uguale. Il disco dura un’ora? Posso cominciare dal primo minuto come, che ne so, dal minuto 40 che mi sembra sempre di ascoltare la stessa roba.

C’è bisogno di tanta costanza e pazienza per capire a fondo un disco dei Meshuggah, per andare avanti con gli ascolti, farsi “avvolgere” nelle spire delle loro composizioni allo scopo di comprenderle. Solo allora le peculiarità dei singoli brani, e il senso dell’intero, usciranno allo scoperto e si riuscirà pian piano a cogliere le diverse sfumature, l’accuratezza degli arrangiamenti e apprezzare l’incredibile esecuzione tecnica dei cinque pazzi svedesi.

Non è interesse di questo post scrivere del sound di Haake e compagnia, visto che l’argomento è stato già mirabilmente affrontato tempo fa dal nostro Mementomori.

Quello che ci interessa oggi è l’aspetto più concettuale dei Nostri; in particolar modo di capire, a distanza di anni, che fine abbia fatto quella future breed machine profetizzata già in "Destroy Erase Improve".

Una chiave di lettura potrebbe riservarla “Nothing” (2002), album particolarmente importante nella discografia della band, non solo in quanto convenzionalmente riconosciuto come il primo disco djent, ma anche perché contenente una traccia, la sensazionale “Spasm”, che forse può rispondere al nostro quesito.

Per impostare il discorso mi faccio aiutare da quello che il nostro Dottore aveva esposto in modo molto chiaro a proposito del Death Metal: Il Death iniziò sostanzialmente quando alcuni gruppi cominciarono a trattare in maniera maniacale temi quali la morte violenta, la decomposizione, la malattia letale e la deformità. […] L’elemento comune era la necromania, ovvero la centralità delle tematiche di morte fisica, ma anche spirituale.
Ecco, mi sbaglierò, ma nonostante i Meshuggah non abbiano mai suonato death metal in senso stretto, credo che la loro musica abbia molto in comune con il metal della morte. Una morte che viene traslata però su un terreno ancora più difficile (e se vogliamo repellente) che non quello su cui si innestano le dissertazioni gore/splatter dei Cannibal Corpse, o da manuale di anatomia/patologia dei Carcass, o della consunzione fisica dovuta alla malattia. 

Il “terreno mortifero” dei Meshuggah lo vedo affine a quello trattato dal genio visionario di David Cronenberg. Il regista canadese ha da sempre mostrato un interesse morboso verso la biologia, le deformazioni anatomiche, le mutazioni genetiche, la malattia che deturpa e mutila i corpi. Ma soprattutto alla commistione fisica tra il corpo umano e gli animali e alle trasformazioni che ne derivano. “Rabid – Sete di sangue”, “Brood – La covata malefica”, “Videodrome” e “La mosca” sono probabilmente i quattro film più celebri del cineasta di Toronto in cui la patologia fisica e mentale dei protagonisti, con pesanti risvolti nella sfera del sesso, è affrontata in maniera del tutto nuova e sconvolgente.

Ma il suo genio visionario non poteva che trattare prima o poi anche il tema dell’unione malsana tra uomo e macchina. E infatti arriverà con lo straordinario, e fortemente provocatorio, “Crash” (1996) in cui la macchina diventa vera e propria escrescenza del corpo umano, nella ricerca, dettata da perverse pulsioni, di nuove frontiere sessuali in cui, in fin dei conti, ad annegare è il sentimento.

I Meshuggah, al netto delle connotazioni sessuali, arrivano a trattare l'argomento già un anno prima, nel 1995, con il mastodontico “Destroy Erase Improve”. In esso veniva affrontato di petto il tema dell’evoluzione umana verso una sempre più forte compenetrazione con le macchine. Programmatica era già la copertina dove un corpo umano era raffigurato nei tre step della sua distruzione (destroy), cancellazione (erase) e perfezionamento/affinamento (improve). L’opener track poi, la succitata “Future breed machine”, ne costituiva il manifesto: Una nuova intelligenza nascerà in corpi vuoti / una collaudata carne attraverso spastici scatti si gonfia / codici non conosciuti della macchina madre / lo sprezzante genocidio di una razza morente.

La razza morente è quella umana ma, a differenza di opere che avevano già affrontato l’argomento in maniera visionaria (al cinema penso ovviamente a “Terminator”, uscito sugli schermi già nel 1984; o, nella musica, non si possono non citare i Fear Factory di “Demanufacture”) essa non è in contrapposizione a una nuova razza di macchine padrona del mondo.
Meshuggah e Cronenberg parlano piuttosto di compenetrazione fisica, evoluzione biologica e relative conseguenze psicologiche. Insomma, un altro livello. Concentrandosi sui primi è da “Nothing” in poi che questo discorso, ammantato di presagi di morte, assume maggior chiarezza rispetto ai capolavori precedenti, sia musicalmente (la “meccanizzazione” e il gelo del sound, con la totale eliminazione di tratti melodici, diventeranno ancora maggiori); sia concettualmente. Come detto sopra, è “Spasm”, che potremmo definire la Future Breed Machine 2.0, a illustrare il punto di evoluzione raggiunto:

Ad ogni violenta frustata muscoli e tessuti si intrecciano / 
Colpito a morte da un’inesorabile lucentezza / Immobilizzato dai dolori crescenti
L’agonia riproduttiva del collasso di un sistema.

La frequenza dell’oscillazione corporea / Movimenti indesiderati passano attraverso la mia carne
Riverberi corporali indotti / Un sistema corporeo perso nelle sue onde
Sbiancato da tremolanti colpi epilettici / Raffiche di radiazioni irregolari / 
che innescano il procedimento di controllo della mente e del corpo

Non c’è speranza nel futuro dell’umanità profetizzato da Thomas Haake: 
“Torn, undone, dissolved, by incandescent gods condemned. Burned. Their mark on my soul to my inverted shadow confined”. I versi di “Spasm” sembrano proprio descrivere quell’urlo angosciato, folle, inumano che vediamo in copertina. E’ il nostro quel volto? E' il nostro quell’urlo?

Distorto, ruotato. Vertebre e colonna non allineate.
Articolazioni frantumate e fatte a pezzi.
Spirale organica. Allungata e lacerata in una nuova creazione.
Una cosa senza-mondo, una parola senza-cosa.
Una chiara malformazione…

Se in “Crash” (così come in DEI), la fusione tra la psiche umana e le macchine si estrinsecava in un pessimismo dettato dal tema della “morte del sentimento” (allungando in tal senso la lista dei film catastrofici di un Novecento al suo epilogo), nei Meshuggah di “Nothing”, opera già intrinsecamente da Terzo Millennio, il pessimismo è diventato ormai assoluto nichilismo: la razza che era morente, quella umana, è ormai definitivamente defunta.

Al suo posto è sorta quella nuova…e non sembra proprio essere migliore…

A cura di Morningrise