31 ago 2017

VIAGGIO NEL METAL AFRICANO: STORIE DI CORNA E MINE ANTI-UOMO IN ANGOLA



Ed iniziamo dall'Angola: paese in rapido sviluppo (si dice sempre così, come anche: “Suo figlio sarebbe intelligente, ma non si applica”), ma ad oggi fanalino di coda in fatto di libertà di espressione.

Ci chiediamo però come questo si concili con la presenza esplicita di un certo numero di gruppi metal: probabilmente perché il metal non ha mai rappresentato un movimento anti-sistema vero e proprio. In Occidente, per esempio, il metal caratterizza una generazione di benestanti che si dilettano con giochi elettronici, deturpano con scritte di morte zainetti scolastici da cinquanta euro e partecipano attivamente alle lotte per la libertà dei popoli tolkieniani. Cioè, non è che l'apparire del metal in Angola rappresenta il segnale di un benessere che inizia ad essere più diffuso, dopo periodi di guerre senza fine? Non è che i giovani sono sufficientemente disimpegnati nel quotidiano da poter rappresentare la loro rabbia e la loro immaginazione?
Partiamo dai Before Crush, quello che parrebbe il gruppo di punta. Il senso del movimento metal angolano è suggerito da alcuni dettagli che si recuperano dalle pagine dedicate proprio a questa band. Emblematica, in tal senso, è la compilation dal titolo “Avete perso. Ora tocca a noi comandare!”, di piglio ribellistico-generazionale e di taglio collettivo. Come dicono gli stessi BC “i nostri testi si riferiscono alle nostre battaglie personali, alle guerre del nostro Paese e ai pensieri positivi che noi cantiamo in inglese e portoghese”. Data la mia scarsa conoscenza del portoghese purtroppo non posso apprezzare questi testi, come quello di “A Bruxa” ("La Strega") che sembra essere richiestissima dai fan in sede live. Giusto qualche frase qua e là per dare un'idea della crudezza di realtà di guerra e carestia così lontane dal nostro benessere:

"Me corneaste com meu melhor amigo"
("A Bruxa")

Fa piacere, e fa sperare nel futuro dell'uomo, che in Angola, dopo tanto strazio e un presente non certo incoraggiante, ritrovino comunque posto sani sentimenti tribali come l'entusiasmo per la topa e tutto ciò che ne consegue.

Musicalmente i BC si presentano come metalcore, ma ascoltandoli si rimane spiazzati. Talvolta la ricerca del ritornello frontale è da gruppo pop, mentre altri passaggi, pur brevi, riportano al thrash/death. Stiamo parlando proprio di passaggi, momenti. Accostamenti che da noi sono poco probabili, non fosse altro per la netta divisione tra chi cerca la ballabilità da discoteca e quella di chi cerca l'headbanging. Magari in Angola non sussistono queste divisioni, o non in maniera così netta, e il metal non è sostanzialmente distinto dal rock, nel senso di musica che esprime dinamismo ed energia rinnovatrice. Pensandoci bene, in realtà l'idea di "rockeggiare il death metal" (o meglio di "deatheggiare il rock"), non è estranea alla storia del metal: si consideri, per esempio, il death'n'roll degli Entombed, anche se esso ha rappresentato un sottogenere di nicchia per cui era propedeutico conoscere ed apprezzare il death metal.

I Dor Fantasma (nome più promettente) confermano che questo tipo di soluzione non è casuale, ma espressione di un comune sentire. Alcuni brani metalcore, altri decisamente pop, ma il fatto più peculiare è la presenza di brani con passaggi thrash o death integrati con flusso continuo tra spirito pop e spirito brutal. Se questo sia appunto il “comune sentire” a cui si faceva riferimento, oppure un tentativo di far qualcosa che ottiene riscontri ficcandoci dentro un po' di brutalità, per tutti i gusti, non è chiaro. Sicuramente vedere degli omaccioni nerboruti con chitarre a coda di rondine e magliette degli Slayer che canticchiano innocui brani tipo “Hey” lascia perplessi.

Eppure, scorrendo anche gli altri brani della compilation succitata, si ha l'impressione di uno stile comune: voci pop (il brano di Fiona lo è senza dubbio) con brevi inserti brutali. Roaming continuo tra thrash, grind, hard rock e pop, un mix che a dire il vero è un po' inconcludente, ma i brani da giudicare, del resto, sono pochi. Vale lo stesso per i Nothing 2 Lose (promotori di un brano che spazia dall'hard rock al grugnito death), gli Horde of Silence e gli Eternal Return, più interni al metal, ma altrettanto camaleontici.

A quanto pare questo insieme di band (o una parte di esse) ritiene che la musica esprima una carica ribellistica, da inquadrare con un'etichetta ideologico-politica, quale è l'etichetta red-anarchist black metal. Niente che avrebbe scandalizzato Euronymous, anzi, il Nostro era solito esaltare la carica disumana delle ideologie comuniste, che per lui disintegravano i valori morali al di là della semplice soppressione delle libertà propria di qualsiasi regime autoritario. Coniugare tutto ciò all'anarchia è puro esoterismo. Sta di fatto che non c'è niente di strano nel pensare ad un black metal che muova da sinistra, anzi è un territorio probabilmente abortito prematuramente per le note vicende norvegesi. Semmai la differenza fondamentale con l'anarchismo classico è che qui non parliamo di anarchismo distruttivo, ma di “pensiero positivo” in quanto fine e della brutalità come veicolo.

Più una velleità che una realtà, probabilmente. Sebbene Encyclopaedia Metallum - The Metal Archives prenda sul serio i Before Crush, iscrivendoli fra quelle band che trattano tematiche sociali e politiche, in realtà nei testi del loro EP non ve ne è traccia. Per tornare invece all'esistente, io punterei il faro su quella che mi sembra il progetto più interessante musicalmente e che si discosta dal modello precedente per proporre invece del grindcore: i Katangation. Questi ceffi sono oggetto anche di una trattazione erudita per una rivista universitaria brasiliana di media e comunicazione con l'articolo di approfondimento “The band Katingation and its appropriation of death metal in Angolan pot-civil war scene”: in questo scritto si sostiene la tesi che il death metal sarebbe un veicolo per esorcizzare le esperienze negative attraverso la sublimazione della brutalità musicale e per gettare dunque le basi di un pensiero positivo che vada oltre il dolore personale, sociale e nazionale. Tesi interessante che coincide con la presentazione “di gruppo” della scena angolana: una tesi che, se fondata, connoterebbe il metal africano in maniera diversa da quello di altri territori. Che in Europa il metal estremo esprima la sublimazione del disagio quotidiano è insostenibile: semmai il metal esprime la rabbia giovanile, come sostiene Ozzy, il che è un altro paio di maniche.

Fatto sta che almeno i Katingation nei testi parlano effettivamente dell'Angola, in maniera sospesa tra il crudo e il grottesco, come si confà a un gruppo grind. Non sono death metal, ma comunque ci si avvicinano. I Katingation affermano di essere un gruppo di tre mutilati (da qui il titolo" 2 Legs 1 Arm", ovvero gli arti mancanti, uno per ciascun membro della band), cosa che qualcuno mette in dubbio, come la loro stessa autoctonia angolana. Va detto che rispetto al resto della scena angolana sono un'eccezione per omogeneità e derivabilità stilistica.

Per concludere, citiamo i Neblina, gruppo power-epic, unici a aver prodotto un full-length. Anche qui si passa dal thrash, al death al power. In alcuni passaggi si potrebbe far riferimento a quei dischi di transizione tra il death melodico e il goth-pop, ma lì i termini erano noti e definiti, in questo caso, invece, sembra piuttosto una coesistenza naturale.

Tiriamo dunque le somme. Accantonerei il termine death metal per rimanere su un più generico metal, in cui l'elemento brutale è prevalentemente di matrice thrash, con il death spesso limitato ad alcuni passaggi vocali. L'ibrido thrash-pop, non così dissimile dalle soluzioni “indurite” del rock, né a quelle rappeggiate del metal, potrebbe funzionare. Ad oggi sul piano compositivo i Katangation rimangono i più compiuti e orientati. La chiave del metal come riscossa del terzo mondo, già ipotizzata all'epoca dei Sepultura, è possibile, ma discutibile. Comunque la sua traduzione stilistica potrebbe essere proprio questo connubio tra parti pop e parti death, come dire "dalla pesantezza alla leggerezza".

Ci piace pensare che una verità di questo tipo sussista, se non altro perché darebbe un vero corpo alla storia descritta nel documentario "Death Metal Angola", quella di due musicisti metal che gestiscono un orfanotrofio. Non sarebbe poi brutto scoprire che alla fine di tutto il death metal è una spinta positiva, ovvero non un invito alla brutalità, ma un suo esorcismo e superamento, come nella migliore tradizione dei riti macabri.

A cura del Dottore