Che bello parlare degli Shadow Gallery!
Per chi scrive, ogni momento è
buono per elogiare la band americana, apparsa a più riprese nei nostri post. Questa volta l’occasione ci è
data dalla penultima track di uno dei (tanti) loro capolavori, “Tyranny” (1998), già inserito nella
nostra Rassegna sui 10 migliori album delle cult band degli anni ’90.
“Tyranny” ha un ruolo particolare
nella discografia dei Nostri in quanto è il primo concept album della band,
mezzo espressivo tipicamente appannaggio delle grandi prog rock/metal band. Non
è la sede questa per raccontarne il plot, peraltro alquanto contorto, e che
vedrà il suo prosieguo in quell’altro disco mastodontico che è “Room V” (ultimo album in studio con
Baker alla voce).
Ci basta qui sottolineare che le
vicende del protagonista, The Man, sono poste in ordine “mensile”, da gennaio a
dicembre. “Ghost of a chance (November)”, inserita appunto come penultimo
capitolo del platter che si concluderà con la dicembrina “Christmas day”, è una
canzone che potremmo definire tipicamente shadowgalleriana, guidata
meravigliosamente nella sua parte iniziale dal piano di Chris Ingles e da un arpeggio di chitarra, che fanno da sfondo alla
voce del mai troppo compianto Mike Baker.
La canzone non ha un chorus ma si
fregia di strofe e bridges azzeccatissimi, nonché di pacate e sublimi melodie che
si interrompono dopo 3’ e rotti per dare spazio, negli ultimi due minuti di
running time, a una potente digressione strumentale che stilisticamente ricorda
da vicino i Dream Theater; però con la solita differenza, rispetto a
Petrucci&co.: e cioè che gli S.G. non sbulaccano mai né a livello di
songwriting (che rimane sempre intelligentemente misurato e funzionale
all’economia dell’intero brano) né a livello “cronometrico”. Rendendo il tutto
molto fruibile e mai tedioso. Nel finale la sezione si placherà con delicate
note di piano che “sfoceranno” naturalmente nella succitata, e altrettanto
spettacolare, “Christmas Day”.
Come detto, soffermarsi sul testo
della canzone è inidoneo, posto che senza il contesto dell’intero concept, esso
perde totalmente significato. Ma una cosa la possiamo dire: del mese di novembre in
realtà la canzone ci rimanda non tanto una descrizione esplicita, quanto un
mood, una sensazione (provata in questo caso dal protagonista della vicenda,
braccato e in fuga da spietati agenti governativi) di freddo, vuoto esistenziale.
Una sensazione molto forte di
perdita (“Inside I felt so empty / A stranger to this world so lost / and as
the winter draws I’m turning north”).
Il dirigersi, il puntare verso
nord (in questo caso il protagonista si trova nelle fredde pianure del Nord Dakota) sembra essere un topos; la destinazione che, per antonomasia, serve a ritrovarsi, a lasciare alle spalle
cose e abitudini di cui non si ha davvero necessità e che magari fino a quel
momento ritenevamo importanti. Del resto a Novembre si festeggiano i Morti e,
nelle origini di questa festività, vi era il passaggio definitivo dall’estate, luminosa
stagione, all’autunno, con i primi freddi e inequivocabili segni del prossimo inverno.
Le giornate si accorciano drasticamente, si esce di meno e si riflette di più.
Su di sé, sulla via da intraprendere per cercare di rendere la nostra vita più
pregna e sensata. Come ha scritto mirabilmente il
nostro Dottore nel post di ottobre, in Autunno la vita si fa la tana. Per
rinascere poi più forte, e in un certo senso più libera, dopo l’inverno.
Anche gli Shadow Gallery paiono esprimere
questo concetto nei loro versi riferiti al protagonista del concept: “I’m
leaving things behind I just don’t need / The only things in life of worth are
free / To anyone’s who’s heard the call / and turned and walk away”.
Turned and walk away, ma da cosa? Nella
storia di The Man descritta dagli S.G., da una consapevolezza di fallimento, dal
non essere riuscito a fermare la spietata macchina governativa che adesso lo
sta cercando. Più in generale il tema della fuga può essere visto come quella da una vita insoddisfacente
che si sta conducendo. E andarsene. Verso Nord. Verso una terra fredda e
inospitale (la destinazione finale del Nostro protagonista, dopo il Nord
Dakota, sarà l’Alaska, tanto che il tema strumentale di “Ghost of a chance”
rimanda proprio all’omonima canzone pubblicata nello straordinario “Carved in
stone” del 1995).
Ma questa sofferenza e disagio
sarà fondamentale per ritrovarsi. Tanto che la canzone chiosa con queste eloquenti
parole: “Despite the nasty world I roam / Imagine going home…ghost of a chance”.
E’ il "fantasma", il miraggio di
una possibilità, di un’opportunità di riscatto.
Quella di cui ogni uomo ha bisogno.
Quella di cui ogni uomo ha bisogno.
A cura di Morningrise