Nutro grandi aspettative nei
confronti di Anna Von Hausswolff: il
2 marzo 2018 uscirà il suo ultimo lavoro “Dead
Magic” (già il titolo ci piace) e se gioca bene le sue carte la svedese
potrebbe aggiudicarsi la palma di personaggio femminile più interessante del
momento per quanto riguarda la categoria “sonorità
oscure”.
Rimango sul generico perché non è chiara la direzione artistica che prenderà la giovine (valida cantante, ma soprattutto virtuosa organista – ricordiamo che nei suoi lavori sono presenti anche partiture di organo a canne il cui utilizzo richiede una elevata preparazione). Quel che è chiaro è che con il buon “The Miraculous” (ma delle avvisaglie si avevano già avute con il precedente “Ceremony”) gli universi del doom e della drone-music sono divenuti più di un contorno per una proposta che si fa evocatrice tanto delle atmosfere sognanti dei Dead Can Dance quanto del carattere ancestrale di certo folk scandinavo (e non è un caso che l’ugola fatata della Nostra abbia impreziosito ben due brani di “Thrice Woven” dei Wolves in the Throne Room che certo non sono estranei a siffatte ambientazioni). A questo punto c’è da chiedersi se “Dead Magic” costituirà la conferma di un cammino oramai indirizzato verso il metal (come già successo per la nostra beniamina Chelsea Wolfe), oppure dobbiamo attenderci sviluppi imprevisti.
L’aver fatto da spalla agli Swans per un intero tour, le sempre più frequenti espansioni
kraut-rock di cui sono vittime i suoi brani
sul palcoscenico e le sonorità dark/blues
anticipate dal singolo “The Mysterious
Vanishing of Electra” (un’ottima ballata pervasa da ossessioni swansiane e vocalità più ardite) indurrebbero a scommettere su un percorso di crescita personale che
va a prediligere la colta sperimentazione e la maturità autoriale. Ma è
l’elettricità nell’aria, la sensazione che siamo prossimi ad un momento
cruciale della sua carriera, a farci pensare che, comunque andrà, sarà un
successo.
A gettare pepe sull’ascesa
irresistibile di questa enfant prodige
delle nuove sonorità oscure vi è una
controversia che la vide nel 2013 accusata di apologia al nazismo per essersi
fatta fotografare indossando una maglia di Burzum.
Semplice ingenuità di gioventù o furba
provocazione per far parlare di sé? Mettetela come volete, trovo indegno
che si debba pretendere da un artista dichiarazioni in merito al suo credo
politico, soprattutto quando la politica non c’entra niente con l’arte
professata dall’artista medesimo.
Consiglio la lettura
dell’articolo “Fascist Sympathiser Anna Von Hausswolff to play Cube, Bristol” (apparso sul sito Indymedia UK nel settembre del 2013
poco prima del tour inglese della
musicista) che evidenzia la superficialità di certi scribacchini animati dalla vocazione
di suscitare del clamore fine a se stesso. Già il sottotitolo (qualcosa come Anna Von Hausswolff supporta pubblicamente
un terrorista e poi non si scusa) suona assai male, ma proseguiamo
fiduciosi.
Si parte (ben tre paragrafi…) con
un opinabile riassunto della vita di Varg
Vikernes (definito “Nazi terrorist”) in cui si fa incetta quasi
esclusivamente dei reati penali da egli collezionati, conditi qua e là da certe
sue posizioni ideologiche, a tratti nemmeno riportate correttamente. Solo
marginalmente viene fatto cenno che è anche un musicista.
Non è ovviamente questa la
sede per esprimere opinioni in merito alla persona di Vikernes, è tuttavia importante
precisare almeno un aspetto. Chi come me ha ascoltato la musica di Burzum nella
prima metà degli anni novanta, viveva in un mondo in cui le notizie si
apprendevano mensilmente dalle riviste
specializzate in quanto internet non era ancora decollato. Quando si ascoltavano
gli album di Burzum negli anni novanta, si sapeva ovviamente che il Nostro era
stato incarcerato per aveva ucciso un uomo ed aver bruciato alcune chiese. Non
nego che questi fatti abbiano influito sull’accrescimento della popolarità del
personaggio e dell’intera scena, ma quello che rimaneva al centro di tutto, per
un metallaro degli anni novanta, era la musica.
Poco o nulla si sapeva delle
idee politiche del Conte Grishnackh (così si faceva chiamare all’epoca). Indossare
una maglietta di Burzum non era pratica scandalosa e i pochi che lo facevano palesavano
una certa finezza di gusti, visto che Burzum era ancora un progetto di nicchia.
Fra i primi ad indossare una maglietta di Burzum, e senza secondi fini, è stato
il nostro Carmelo Orlando (si veda
il booklet interno del debutto dei Novembre “Wish I Could Dream It Again”, anno 1994 – grande Carmelo, sempre avanti!) e di certo questo dettaglio
ci rese più curiosi e meglio disposti ad approfondire la sua musica.
Poi una mattina, molti anni dopo,
ci siamo svegliati ed abbiamo scoperto che Vikernes è un “nazista” e che non lo
possiamo più ascoltare. Secondo questo modo di ragionare bisognerebbe evitare
di ascoltare, o anche solo citare, Richard
Wagner, ma non è mia intenzione aggiungere polemiche alle polemiche.
Se la musica di Burzum, Mayhem, Darkthrone, Immortal ecc. non avesse avuto una sua
intrinseca ragion d’essere (ed un valore che ha saputo superare la prova del
tempo e travalicare i gusti generazionali) non saremmo ancora oggi a parlare di
queste band e di questi personaggi.
Perché
infatti non si parla di Absurd e di Hendrik Moebus, altro figuro del black
metal legato a fatti di sangue e a posizioni ideologiche molto forti?
Perché musicalmente gli Absurd sono poca cosa, laddove Vikernes ha saputo creare
non solo una proposta estremamente personale, ma anche un linguaggio ed un
immaginario che sono stati in seguito impiegati per forgiare nuovi sotto-generi
musicali all’interno del metal, spingendo poi la figura di Vikernes addirittura
oltre il metal e persino verso territori extra-musicali (ricordiamo che un
brano di Burzum presenzia quale tema ricorrente nella colonna sonora del film “Gummo” dell’acclamato regista
avanguardista americano Harmony Korine).
Vi sono band che nei loro
testi esprimono chiaramente determinate posizioni e che hanno reso la loro
musica formalmente coerente a quanto manifestato nei loro testi (inserendo per
esempio campionamenti o elementi contestualizzanti, richiamanti esplicitamente
determinati riferimenti culturali o periodi storici), ma non è il caso di Burzum, la cui musica
giunge all’ascoltatore tramite una forte trasfigurazione
poetica che recide ogni collegamento palese con eventuali posizioni di
ordine ideologico.
No, non definirei quella di
Burzum una musica di propaganda
ideologica, per lo meno per quanto riguarda le prime opere (quelle più pregnanti e influenti artisticamente), visto che il progetto nasceva sotto l'influenza dei mondi fantasy ritratti nelle opere di Tolkien. Nella musica di Burzum (che non è punk né hip-hop né cantautorato di denuncia) non troviamo una
organica esposizione di messaggi espliciti (ammesso che potremmo comprenderli, urlati
al limite del parossismo e per giunta recitati in lingua norvegese - per quello che ci arriva alle orecchie, fra un lungo passaggio strumentale e l'altro, Vikernes potrebbe cantare di Amore, Morte o melanzane alla parmigiana). Senza poi
contare che le esternazioni "incriminate" sarebbero state rilasciate in un secondo momento, nel corso
degli anni a partire dal periodo di reclusione e sempre in contesti extra-musicali (sito web, interviste ecc.).
Il paragrafo che più ci
interessa è tuttavia l’ultimo, nel quale si torna a puntare il dito contro Anna
Von Hausswolff. Si riporta il fatto che le maggiori testate giornalistiche
svedesi hanno definito la ragazza semplicemente una “idiota apolitica”. L’autore dell’articolo ci tiene però a precisare
che la Von Hausswolff non può essere né
idiota né apolitica, insinuando quindi un certo grado di colpevolezza nel suo gesto.
Non può essere
idiota perché è laureata in architettura (ehm…non proprio un sillogismo
perfetto…) e perché è figlia di un affermato artista che, fra l’altro, in
passato si sarebbe reso responsabile del furto di ceneri dal campo di
concentramento di Majdanek, attirando le critiche di associazioni antirazziste
ed organizzazioni ebraiche. Al di là che prima di esprimere giudizi affrettati
sarebbe utile approfondire il motivo per cui un artista riconosciuto come Carl Michael Von Hausswolff (compositore
e visual artist non nuovo a
provocazioni di questo tipo) ha sentito la necessità di utilizzare delle ceneri
prelevate da un campo di concentramento per completare un dipinto (tante volte
ci scordiamo che l’arte è più complessa e controversa di quello che sembra, e
che il dovere di ogni forma d’arte che si rispetti è rompere le convenzioni,
altrimenti con la stessa miopia ci ritroveremmo a criticare Ai Weiei per aver distrutto vasi antichissimi
e di alto valore storico ed artistico in una sua opera concettuale di gioventù); al di là di
tutto questo, trovo una cosa bieca e vigliacca far ricadere sui figli i peccati
dei padri.
Sempre secondo questo
illuminato argomentatore la Von Hausswolff non può essere nemmeno apolitica
in quanto basta leggere quelle che sono le dichiarazioni di Vikernes pubblicate
sul suo sito internet per far sì che indossare una sua maglia significhi
automaticamente supportare le sue ideologie (altro sillogismo perfetto…).
Peccato che si continui ad ignorare che Vikernes è anche un musicista e che
forse (anzi, molto probabilmente) è questo l’aspetto che può interessare, più
di ogni altra cosa, ad un altro musicista.
L’articolo (che sembra un
invito a boicottare le date che la Von Hausswolff avrebbe tenuto in terra
albionica di lì a poco) si conclude sostenendo che, dopo tutte queste
polemiche, l’accusata non si è scusata, trincerandosi dietro un laconico “no
comment”. In realtà su Wikipedia si riferisce che la ragazza ha poi precisato
di essere una ammiratrice del progetto Burzum per l’arte in esso espressa e non
una sostenitrice delle posizioni ideologiche di Varg Vikernes: una spiegazione
scontata, talmente banale che non c’era bisogno nemmeno di farla. Personalmente
parlando trovo che sia una violenza estorcere ad una artista punti di
vista personali in quanto un artista, per quanto riguarda la propria arte e la
propria immagine, non deve rendere conto a nessuno in virtù di quella libertà
di espressione che deve vigere nell’ambito della creatività e della creazione
artistica. Sarà poi il pubblico a giudicare decidendo se seguire o meno l’artista.
Anche Chelsea Wolfe (pure lei fan di Burzum) è stata costretta a
dichiarare qualcosa del genere: a dimostrazione che l’arte di Vikernes, a
prescindere da quanto detto e compiuto al di fuori della sfera artistica, è
qualcosa che raggiunge il cuore e la sensibilità di nuove generazioni di
musicisti dalle estrazioni più disparate.
Possiamo eventualmente ammettere
che, come successo in passato con Charles Manson, la figura di Vikernes possa prestarsi ad essere utilizzata come un
feticcio da esporre per apparire più cool
in determinati ambienti. L’effetto che si ottiene dipende da molti fattori, in
primis dall’autorevolezza di chi utilizza simboli
di questo tipo: se si è portatori di una forma artistica colta e, soprattutto,
se si ha una adorabile volto d’angelo dal candido sorriso e i lunghi capelli biondi,
associarsi a Burzum può rivelarsi una tattica decisamente vincente per la
propria immagine, creando un intrigante contrasto e conferendo un alone
inquietante che in qualche modo risulta attraente (come del resto sa essere da
sempre il Male…).
Nel 2013 Anna Von Hausswolff
aveva ventisei anni ed era adulta abbastanza per comprendere che una foto del
genere avrebbe generato un vespaio di polemiche o per lo meno attirato
l’attenzione dell’opinione pubblica. Di certo questo gesto, oltre ad aver
portato un bel po’ di pubblicità gratuita, ha conferito una nuova sfumatura (a
noi non sgradita) alla figura di artista della Von Hausswolff, che comunque
verrà da noi giudicata solo per le emozioni che saprà trasmetterci tramite la
sua musica. Aspettiamo quindi il fatidico 2 marzo 2018 per esprimere giudizi…