29 gen 2018

SWEDISH DEATH METAL STORY - Guida pratica in dieci puntate - Capitolo 9: WHAT'S NEXT?



Sopravvissuto al movimento black di metà anni novanta, che in Svezia in realtà ha visto solo poche formazioni affermarsi a livello mondiale ed avere una carriera duratura (oltre ai campioni Marduk, della vecchia guardia potremmo citare giusto i Dark Funeral e i Nifelheim), il death metal svedese, seppur in forme diverse rispetto a quelle di inizio decade, ha continuato ad esistere e a proporre soluzioni molto interessanti.

Nonostante a me non faccia impazzire, la prima di queste soluzioni da citare è anche quella più devastante per i nostri padiglioni auricolari: quella grind. Se il gruppo più famoso di questa branca sono stati sicuramente i Nasum (stroncati però dalla morte del loro leader Mieszko Talarczyk, deceduto nello tsunami thailandese del 2004), il gruppo principale che ne ha preso l’eredità sono stati i Deranged da Hjärup, piccolo paesino di 5000 anime nel sud del Paese. Il loro “High on blood” del 1999 è superbo. Un death/grind brutale ma ricco di tecnica e varietà. Consigliatissimi anche a chi non mastica grind a colazione…

Del death n’ roll abbiamo già detto: si riassume interamente in “Wolverine Blues” degli Entombed. Chi ne ha provato a ricalcare le orme sono stati i Nine di Linköping che pubblicarono due dischi a stretto giro di posta davvero ben fatti (molto consigliato “Kissed by the misanthrope” del 1998), pur senza ottenere un riscontro commerciale degno di nota.

Un altro filone di spessore è stato quello del c.d. retro-thrash. L’album decisivo in tal senso fu il capolavoro “Slaughter of the soul” degli At the Gates, col quale la band dei fratelli Björler e “Tompa” Lindberg raggiunsero la vetta della loro parabola artistica. Per tanta critica era dai tempi di “Reing in blood” che non si sentiva un attacco sonoro così diretto e massiccio. Se lo scioglimento degli At The Gates fu un trauma per la musica estrema tutta, il loro testimone venne comunque portato avanti da altre ottime band, tra cui i The Haunted (creatura sempre dei fratelli Björler, già trattati sulle pagine di MM) e i Carnal Forge, velocissima macchina distruttrice su cui è riuscita a mettere le mani addirittura la Century Media.

Ma la Svezia, nonostante tutte le evoluzioni e le contaminazioni possibili, aveva ancora dentro di sé le risorse per generare band che rifiutavano tutto ciò per cercare ancora massima aggressività e massima brutalità. Guardando decisamente al death americano (Deicide, Cannibal Corpse, Suffocation), nacquero band estreme che, riprendendo la lezione di Entombed e Dismember, americanizzavano quella proposta con riff più complessi, tecnici e violenti. Dei Seance abbiamo già parlato, ma vanno menzionati anche i devastanti Vomitory (da ascoltare assolutamente il loro “Raped in their own blood” del 1996).

Su tutti però emergono gli Spawn of Possession da Kalmar. I migliori in assoluto (non a caso messi sotto contratto dal colosso americano della Relapse Rec.) e purtroppo recentissimamente sciolti. Descriverne la proposta è davvero impresa ardua, posto che la band mette in mostra una tecnica devastante (ai livelli dei Meshuggah tanto per intenderci) producendo un insieme coerente di riff intricatissimi, cambi di tempo continui, assoli al fulmicotone, batteria a mille all’ora, intrecci di chitarra formidabili, soluzioni al limite del jazz. Mamma mia che roba… Probabilmente i campioni mondiali del technical death metal (non a caso il loro leader, Dennis Röndum ha dichiarato di ispirarsi ai Death…).

Ma tutti questi filoni, seppur rilevanti, non hanno avuto un responso commerciale massivo. Alla fin fine solo gli Entombed sono rimasti sulla cresta dell’onda. E’ stato invece il melo-death ad avere un successo pazzesco e questo ha creato in tutta la Svezia una caterva di imitatori di In Flames e Dark Tranquillity, tanto da poter dire che esso è stato il ramo dello SDM più imitato e battuto (ancora adesso, a quasi 25 anni dalla sua nascita, escono dischi che ripropongono questi stilemi).
Fisiologicamente nel calderone è finita tanta, tanta merda ma qualcosa di buono, seppur non ai livelli dei dischi dei “padrini”, va denotato. Da mettere in evidenza sicuramente i Gardenian (buonissimo il loro “Soulburner” del 1999) e i celebri Soilwork, che sotto l’egida del guru Fredrik Nordström, e supportati dalla Nuclear Blast, hanno sfornato un trittico di dischi a inizio carriera che sono una bella mazzata nei denti (“Steelbath suicide”, “The chainheart machine” e “A predator’s portrait”).
Ma se mi avessero detto che la scena metalcore americana degli anni 2000 avrebbe saccheggiato il melo-death svedese…beh…allora gli avrei dato del pazzo! E invece…ahinoi…così è successo.

Un discorso a parte meritano gli Amon Amarth del nerboruto Johan Hegg, il cui debutto (il capolavoro “Once sent from the golde hall” del 1998) può essere considerato come un disco melo-death, anche se da esso nascerà un nuovo filone, una sorta di neo-viking che avrebbe avuto parecchi seguaci in Svezia negli anni a venire (dai Månegarm ai Mithotyn, dai Vintersorg ai Thyrfing).

E con il neo-viking chiudiamo questa carrellata, utile a fornirvi, al di là delle due compilation assolutamente indispensabili, un’ulteriore quadro dello stato di salute dello SDM di fine decade.

C'è un ultimo tema da trattare però. Un qualcosa che ci riporterà indietro nel tempo e che sarà oggetto delle nostre conclusioni...

A cura di Morningrise