Innanzitutto un punto fermo su Meyhna'ch, in arte William Roussel, mastermind dei Mutiilation. Egli è un’entità morta, al
limite moriente: avete pochi minuti di tempo per averne una visione
da vivo, in qualunque momento lo stiate ascoltando. Lasciate perdere
che pubblica dischi, rilascia anche interviste, ma questo è un
dettaglio.
Sono anni che sta vivendo la sua morte, con particolare riferimento al trapasso. E’ per questo tenace lavoro di ricerca esistenziale che gli dobbiamo rispetto. D’accordo, fino ad un certo punto: fece una delle copertine più assurde del black, con lui che sorregge un candelabro su una sedia a rotelle con
Sono anni che sta vivendo la sua morte, con particolare riferimento al trapasso. E’ per questo tenace lavoro di ricerca esistenziale che gli dobbiamo rispetto. D’accordo, fino ad un certo punto: fece una delle copertine più assurde del black, con lui che sorregge un candelabro su una sedia a rotelle con
delle ossa attaccate col vinavyl. Per
questo meriterebbe di finire sotto una pioggia di nocchini sul capo,
eppure noi abbiamo scelto alla fine di rispettarlo, perché è
talmente insistente in questa interminabile agonia, che comincio a
sospettare che voglia comunicarci qualcosa.
Il mito di Meyhna'ch
potrebbe essere questo. Lui ad un certo punto muore, non importa se
in senso figurato o meno. Prendetelo come un mito. Il cosmo gli offre
la possibilità di tornare in vita, anzi lo rimanda indietro, come
Fantozzi, perché nell’aldilà non c’è più posto e lui è
arrivato per ultimo. L’aldilà lo rivomita, paternalisticamente,
nella vita terrena, come a dirgli “su, eccoti una seconda
possibilità”. Ma lui rifiuta, titanicamente. Lui è la morte
vivente, un principio di anti-vita che serpeggia cercando di
distruggere la propria esistenza, e se necessario il cosmo intero,
per poter finalmente non esistere.
Egli ormai vive per
“scavare un'altra fossa”. La prima fossa conteneva la “bara
dell'innocenza perduta”, e la seconda, che conterrà "la bara della
consapevolezza adulta", conterrà semplicemente il nulla. Sarà la
bara del nulla a sancire il passaggio ad una nuova vita, una nuova
vera nascita oltre la consumazione totale della bugia dell'esistenza.
Per Meyhna'ch “siamo tutti orfani di Dio, un'altro padre ci
prenderà tutti con sé”. Si passa dalla figura del padre
mancato a quella del buco nero astrale a cui ricongiungersi, in
un'alternanza straniante di satanismo -per così dire – psicologico
e nichilismo cosmico.
La vita per Meyhna'ch è un ricordo
doloroso. E' una seconda vita, un autentico non-essere nato dalle
ceneri di un'illusione. “L'esistenza è il
ricordo di un passato oscuro”. Ciò che non esiste più è il
fondamento dell'esistenza di oggi: capovolgendo però questo rapporto
tra essere e non-essere, la sequenza giusta non è che l'esistenza di
oggi è figlia del nulla di ieri, ma il reciproco. L'esistenza di
ieri partorisce il nulla di oggi. Oggi è la consapevolezza, ma non
non è più esistenza. La scelta sta quindi tra conoscere, ma non
essere; o ignorare di essere.
Questa maledizione è,
secondo Meyhna'ch, il dono di Dio. Per questo egli si identifica con un
sé stesso detronizzato e continua a vivere per essere deriso dal
destino. L'angelo caduto di Meynach è un bambino che ha perso
l'innocenza. Il bambino che fu ormai vive la vita attraversando
“inganno dopo inganno”, come per consumare ogni residuo di
speranza e morire in una condizione di emancipazione dal passato. La
missione esistenziale della consapevolezza è cancellare ogni
speranza di felicità, non lasciare indietro niente.
Per la precisione, la
prima raffigurazione di questa triste “scoria” vivente che
Meynach sceglie è il vampiro. In sé riassume solitudine, dolore,
misantropia e nobiltà. Nobiltà perché re del proprio dolore,
sofferente per la scelta della consapevolezza; misantropo perché
matura tale scelta in contrapposizione alla maggioranza degli uomini;
conseguentemente solo, melanconico.
“E nella mia bara
manca alla mia gola il
sangue degli uomini
per eterne teorie di
dolore
io continuo ad odiare”
“Il mio dolore è la
chiave d'accesso ad alcune dimensioni che io un tempo conoscevo,
senza mai esser riuscito a raggiungerle”.
Ermetico, ma anche perché
questa perplessità dolorosa è uno stato errante, che si spoglia
gradualmente di coordinate spazio-temporali, e non trova neanche la
porta per il suicidio, come logica vorrebbe.
“Entro la notte di
questa Domenica di Settembre, mentre smette di piovere, porrò fine
alla mia vita e forse aprirò il cancello. L'eterno ciclo di entità
e pensieri termina con la morte”
Tanto è vero che alla
fine si muore, quanto è vero che Meyhna'ch è sempre qui a vagare alla
ricerca degli spazi vuoti del mondo.
Il mondo orrorifico di Meyhna'ch propone quindi una sfilata di situazioni e figure macabre,
che nel loro insieme sembrano la celebrazione della sconfitta di Dio.
I presagi della rivelazione satanica sono dei personaggi in cui il
bene e il male si confondono, si mischiano come due poli opposti che
fanno cortocircuito. Il prete impiccato, il nuovo falso profeta, e
soprattutto la bella rappresentazione esistenziale del male come “le
uova della malinconia”. Meyhna'ch immagina un paese sconvolto da una
pestilenza, in cui i sopravvissuti cercano rifugio nella chiesa,
ignorando che così facendo si stanno accostando al male, perché è
proprio la chiesa il nido delle uova, l'epicentro della peste.
Dio è un'infezione, un'infezione esistenziale. Semina uova di malinconia. In questa fase, il maledetto da Dio appare come una specie di strumento di Dio stesso, che cresce nell'odio del creato e porterà con sé il mondo alla rovina finale. La rivelazione di questo “falso profeta” è che Dio ha creato per distruggere, cosicché il vampiro è in realtà la rappresentazione ultima di Dio, lo specchio della volontà divina, in odio all'umanità.
Il problema della
consapevolezza, che in teoria potrebbe essere cosa buona, è che essa
è frutto di dolore. Dice Meyhna'ch: “potrei ergermi su questo
guscio di noce e proclamarmi il signore del mondo, se non dovessi
portare il peso di questi orribili incubi”. Dio quindi premia
chi sopravvive con la consapevolezza, sadicamente permettendogli di
essere “re di dolore”. Questa figura è comune ad ogni figura di
rinnegato, di sconfitto, di tradito, e in particolare mi viene in
mente “Evil” dei Mercyful Fate, in cui si dice “Sono nato in
un cimitero, sotto la luce della luna, riportato in vita dai morti; e
sono stato arruolato mercenario nelle legioni dell'Inferno, ora sono
un folle Re del Dolore”. Identica parabola: una morte interiore
(nato in un cimitero), una nuova vita sotto il segno di una
spiritualità d'opposizione (i morti che riportano in vita), una
dannazione a continuare a vivere nella regalità del dolore. Altrove
indicato come Il re lebbroso ("Majestas leprosus"), questo
prototipo di personaggio è la versione satanica dell'eroe che
ritorna dalla morte (Il corvo, Ken il Guerriero, il Conte di
Montecristo, etc). Quello che cambia è che
non torna per compiere una vendetta e pareggiare i conti, non torna
per ripristinare gli equilibri cosmici, e non torna per far trionfare
la verità. Egli torna per trascinare con sé il mondo nella
consapevolezza, sottraendolo così al circolo eterno di illusione e
dolore, che Dio vorrebbe perpetuare. La ribellione del “re del
dolore” non si attua nella fase in cui egli perde l'innocenza ed è
da Dio ferito, ma quando egli rifiuta di nascondere questa verità al
prossimo, e testimonia invece il proprio dolore esponendolo alla
vista del mondo. Egli diventa un militante della consapevolezza, un
veleno per la bugia divina, e come avrebbe detto Jon Nodtveidt, un “seme anticosmico”. Meyhna'ch parla infatti di sé come di “antimateria
nera”.
La rinascita,
diversamente da quanto ad esempio predicano i Deicide, non avviene in
questa vita, che rimane dominata dal dolore passato, dal rancore, dal
ricordo doloroso. La rinascita avverrà nell'annullamento cosmico di
Dio, della promessa tradita. La vita è una condanna da scontare,
senza la possibilità di svincolarsi da questa chiave rivendicativa e
negativa.
In più di un passo si ha
l'impressione che alla fine Meyhna'ch parli di esperienze proprie,
anche perché i toni si fanno più accorati, più caldi e meno
lividi. E' come se alludesse da una parte all'amore perduto,
dall'altra ad abusi subiti. Questa fase del
rimpianto, rispetto a cui poi la rinascita satanica sarebbe il
superamento, è descritta in alcuni passi di macabro lirismo:
Vorrei raccogliere
quei bei cadaveri e donar loro una nuova vita attraverso la morte
dove potrebbero
giacere puri e silenziosi
Ma i frutti morti
marciscono così rapidamente..
Odio quei vermi, odio
quelle mosche, sono la bruttezza che affoga il passato
…
E un giorno mi unirò
carnalmente alla terra stessa
il dolce fetore del
fango e del mosto, che così spesso mi ha rubato ciò che desidero
desidero possederti
come una puttana
perché se la morte ha
dato il colpo, tu cancelli ciò che rimane di puro
e ricopri il mio corpo
nudo di fango nero e oleoso
unghie rotte contro la
pietra
In alcune interpretazioni
psicologiche del cristianesimo, Dio è considerato l'equilibrio
mentale, e Satana la depressione. Anzi, la lontananza di Dio produce
depressione, produce il dubbio sulla vita, sul senso delle cose,
sulla natura amorosa del destino e del Padre. Meyhna'ch propone una
versione alternativa di questa concezione: Dio è fonte di
depressione, e allo stesso tempo è fonte di illusorie speranze. Egli
condanna l'uomo a esistere, ma lo alletta anche con false speranze
d'amore.
“Ogni bugia che
strappa la mia anima è ciò che voi chiamate un barlume di speranza /
Ogni volta che Dio
mostra la sua faccia io uccido me stesso annebbiando la mente”
Il respiro del nichilismo
di Meyhna'ch si fa cosmico con “Sorrow Galaxies”, come suggerito
dal titolo. La vita appare come un movimento infinito, che rompe le
coordinate spazio-temporali, indicate come “la staticità
dell'esistenza di Dio”. Se Dio è infinito statico, l'uomo è
infinito dinamico, che scavalca enormi distanze di tempo (la vasta
notte dei tempi) e allo stesso tempo è più corta di un tempo minimo
(il domani è già troppo distante). In questa specie di gara a chi
ingloba l'altro, Meyhna'ch tifa ovviamente per Satana: “L'eternità è
l'Inferno”. La “fuga” satanica porta quindi più in là del
confine statico di Dio. L'antimateria nera, da
storia personale, si fa movimento cosmico, anzi metafisico. Uscire
dal principio del cosmo attraverso un'anti-porta, un buco-nero. Non
essere mai esistiti, senza spazio o tempo, che si mangia vivo
l'esistere in mille tempi e spazi.
Questo universo di
malessere interiore, che ondeggia tra claustrofobici segreti sepolti
nella storia personale e agorafobiche visioni cosmiche, è tanto
disturbante quanto da prendersi con le molle. Dopo avercela menata
per cinque dischi con il concetto che bisogna vivere per cancellarsi,
e lasciare il niente dietro di sé, come un fronte di
antimateria...Meyhna'ch inizia un progetto che porta il suo nome,
intitolato “Non omnis moriar”. La sua via d'uscita dalla
coltre di pessimismo che ha creato con le sue mani è incredibilmente
semplice: il mondo fa schifo, d'accordo, ma uno ganzo come me almeno
lascerà il segno. “Non omnis moriar” (non tutto morirà
di me) inizia in maniera promettente con “diario di un
alcol-nauta”, ma sotto il segno di una filosofia di rinascita
attraverso l'arte.
Alla fine in realtà Meyhna'ch è morto. Per la precisione nel 1996, come risulta dalla
copertina di un demo dei Mutiilation, all'età di 300 anni, essendo
nato nel 1666. Roba da asilo nido, vi avevamo avvertito all'inizio
dell'articolo. Inspiegabilmente ne viene annunciata una seconda volta
la morte nel 1999. Non le droghe, non la pistola fumante (come aveva
proclamato) ne avrebbe causato la morte ma qualcosa di ancora più
letale, ovvero lo sdegno per lo sputtanamento della scena black
metal. Perché ormai nel 1999 la scena si era riempita di pagliacci,
mica gente seria nata nel 1666... Mica gente matura come quella che
prende parte al progetto Gestapo 666...
Comunque anche stavolta rimbalza sull'aldilà e torna nel 2001 con un autoironico sottotitolo “grimly reborn” al nuovo album.
Comunque anche stavolta rimbalza sull'aldilà e torna nel 2001 con un autoironico sottotitolo “grimly reborn” al nuovo album.
Non morirà tutto, in
compenso è già morto due volte. E con le copertine alla fine si è
ripreso alla grande, con il merito di averne dedicata una al
fenomeno, che tutti dovrebbero conoscere, del Rattenkoenig.
A cura del Dottore