8 mag 2018

LEZIONI DI SATANISMO A FASCICOLI: IL SATANISMO PSICO-COSMICO DI MEYHNA'CH



Innanzitutto un punto fermo su Meyhna'ch, in arte William Roussel, mastermind dei Mutiilation. Egli è un’entità morta, al limite moriente: avete pochi minuti di tempo per averne una visione da vivo, in qualunque momento lo stiate ascoltando. Lasciate perdere che pubblica dischi, rilascia anche interviste, ma questo è un dettaglio.

Sono anni che sta vivendo la sua morte, con particolare riferimento al trapasso. E’ per questo tenace lavoro di ricerca esistenziale che gli dobbiamo rispetto. D’accordo, fino ad un certo punto: fece una delle copertine più assurde del black, con lui che sorregge un candelabro su una sedia a rotelle con
delle ossa attaccate col vinavyl. Per questo meriterebbe di finire sotto una pioggia di nocchini sul capo, eppure noi abbiamo scelto alla fine di rispettarlo, perché è talmente insistente in questa interminabile agonia, che comincio a sospettare che voglia comunicarci qualcosa.

Il mito di Meyhna'ch potrebbe essere questo. Lui ad un certo punto muore, non importa se in senso figurato o meno. Prendetelo come un mito. Il cosmo gli offre la possibilità di tornare in vita, anzi lo rimanda indietro, come Fantozzi, perché nell’aldilà non c’è più posto e lui è arrivato per ultimo. L’aldilà lo rivomita, paternalisticamente, nella vita terrena, come a dirgli “su, eccoti una seconda possibilità”. Ma lui rifiuta, titanicamente. Lui è la morte vivente, un principio di anti-vita che serpeggia cercando di distruggere la propria esistenza, e se necessario il cosmo intero, per poter finalmente non esistere.

Egli ormai vive per “scavare un'altra fossa”. La prima fossa conteneva la “bara dell'innocenza perduta”, e la seconda, che conterrà "la bara della consapevolezza adulta", conterrà semplicemente il nulla. Sarà la bara del nulla a sancire il passaggio ad una nuova vita, una nuova vera nascita oltre la consumazione totale della bugia dell'esistenza. Per Meyhna'ch “siamo tutti orfani di Dio, un'altro padre ci prenderà tutti con sé”. Si passa dalla figura del padre mancato a quella del buco nero astrale a cui ricongiungersi, in un'alternanza straniante di satanismo -per così dire – psicologico e nichilismo cosmico.

La vita per Meyhna'ch è un ricordo doloroso. E' una seconda vita, un autentico non-essere nato dalle ceneri di un'illusione. “L'esistenza è il ricordo di un passato oscuro”. Ciò che non esiste più è il fondamento dell'esistenza di oggi: capovolgendo però questo rapporto tra essere e non-essere, la sequenza giusta non è che l'esistenza di oggi è figlia del nulla di ieri, ma il reciproco. L'esistenza di ieri partorisce il nulla di oggi. Oggi è la consapevolezza, ma non non è più esistenza. La scelta sta quindi tra conoscere, ma non essere; o ignorare di essere.

Questa maledizione è, secondo Meyhna'ch, il dono di Dio. Per questo egli si identifica con un sé stesso detronizzato e continua a vivere per essere deriso dal destino. L'angelo caduto di Meynach è un bambino che ha perso l'innocenza. Il bambino che fu ormai vive la vita attraversando “inganno dopo inganno”, come per consumare ogni residuo di speranza e morire in una condizione di emancipazione dal passato. La missione esistenziale della consapevolezza è cancellare ogni speranza di felicità, non lasciare indietro niente.

Per la precisione, la prima raffigurazione di questa triste “scoria” vivente che Meynach sceglie è il vampiro. In sé riassume solitudine, dolore, misantropia e nobiltà. Nobiltà perché re del proprio dolore, sofferente per la scelta della consapevolezza; misantropo perché matura tale scelta in contrapposizione alla maggioranza degli uomini; conseguentemente solo, melanconico.

E nella mia bara
manca alla mia gola il sangue degli uomini
per eterne teorie di dolore
io continuo ad odiare”

Il mio dolore è la chiave d'accesso ad alcune dimensioni che io un tempo conoscevo, senza mai esser riuscito a raggiungerle”.

Ermetico, ma anche perché questa perplessità dolorosa è uno stato errante, che si spoglia gradualmente di coordinate spazio-temporali, e non trova neanche la porta per il suicidio, come logica vorrebbe.

Entro la notte di questa Domenica di Settembre, mentre smette di piovere, porrò fine alla mia vita e forse aprirò il cancello. L'eterno ciclo di entità e pensieri termina con la morte
Tanto è vero che alla fine si muore, quanto è vero che Meyhna'ch è sempre qui a vagare alla ricerca degli spazi vuoti del mondo.

Il mondo orrorifico di Meyhna'ch propone quindi una sfilata di situazioni e figure macabre, che nel loro insieme sembrano la celebrazione della sconfitta di Dio. I presagi della rivelazione satanica sono dei personaggi in cui il bene e il male si confondono, si mischiano come due poli opposti che fanno cortocircuito. Il prete impiccato, il nuovo falso profeta, e soprattutto la bella rappresentazione esistenziale del male come “le uova della malinconia”. Meyhna'ch immagina un paese sconvolto da una pestilenza, in cui i sopravvissuti cercano rifugio nella chiesa, ignorando che così facendo si stanno accostando al male, perché è proprio la chiesa il nido delle uova, l'epicentro della peste.

Dio è un'infezione, un'infezione esistenziale. Semina uova di malinconia. In questa fase, il maledetto da Dio appare come una specie di strumento di Dio stesso, che cresce nell'odio del creato e porterà con sé il mondo alla rovina finale. La rivelazione di questo “falso profeta” è che Dio ha creato per distruggere, cosicché il vampiro è in realtà la rappresentazione ultima di Dio, lo specchio della volontà divina, in odio all'umanità.

Il problema della consapevolezza, che in teoria potrebbe essere cosa buona, è che essa è frutto di dolore. Dice Meyhna'ch: “potrei ergermi su questo guscio di noce e proclamarmi il signore del mondo, se non dovessi portare il peso di questi orribili incubi”. Dio quindi premia chi sopravvive con la consapevolezza, sadicamente permettendogli di essere “re di dolore”. Questa figura è comune ad ogni figura di rinnegato, di sconfitto, di tradito, e in particolare mi viene in mente “Evil” dei Mercyful Fate, in cui si dice “Sono nato in un cimitero, sotto la luce della luna, riportato in vita dai morti; e sono stato arruolato mercenario nelle legioni dell'Inferno, ora sono un folle Re del Dolore”. Identica parabola: una morte interiore (nato in un cimitero), una nuova vita sotto il segno di una spiritualità d'opposizione (i morti che riportano in vita), una dannazione a continuare a vivere nella regalità del dolore. Altrove indicato come Il re lebbroso ("Majestas leprosus"), questo prototipo di personaggio è la versione satanica dell'eroe che ritorna dalla morte (Il corvo, Ken il Guerriero, il Conte di Montecristo, etc). Quello che cambia è che non torna per compiere una vendetta e pareggiare i conti, non torna per ripristinare gli equilibri cosmici, e non torna per far trionfare la verità. Egli torna per trascinare con sé il mondo nella consapevolezza, sottraendolo così al circolo eterno di illusione e dolore, che Dio vorrebbe perpetuare. La ribellione del “re del dolore” non si attua nella fase in cui egli perde l'innocenza ed è da Dio ferito, ma quando egli rifiuta di nascondere questa verità al prossimo, e testimonia invece il proprio dolore esponendolo alla vista del mondo. Egli diventa un militante della consapevolezza, un veleno per la bugia divina, e come avrebbe detto Jon Nodtveidt, un “seme anticosmico”. Meyhna'ch parla infatti di sé come di “antimateria nera”.

La rinascita, diversamente da quanto ad esempio predicano i Deicide, non avviene in questa vita, che rimane dominata dal dolore passato, dal rancore, dal ricordo doloroso. La rinascita avverrà nell'annullamento cosmico di Dio, della promessa tradita. La vita è una condanna da scontare, senza la possibilità di svincolarsi da questa chiave rivendicativa e negativa.

In più di un passo si ha l'impressione che alla fine Meyhna'ch parli di esperienze proprie, anche perché i toni si fanno più accorati, più caldi e meno lividi. E' come se alludesse da una parte all'amore perduto, dall'altra ad abusi subiti. Questa fase del rimpianto, rispetto a cui poi la rinascita satanica sarebbe il superamento, è descritta in alcuni passi di macabro lirismo:

Vorrei raccogliere quei bei cadaveri e donar loro una nuova vita attraverso la morte
dove potrebbero giacere puri e silenziosi
Ma i frutti morti marciscono così rapidamente..
Odio quei vermi, odio quelle mosche, sono la bruttezza che affoga il passato
E un giorno mi unirò carnalmente alla terra stessa
il dolce fetore del fango e del mosto, che così spesso mi ha rubato ciò che desidero
desidero possederti come una puttana
perché se la morte ha dato il colpo, tu cancelli ciò che rimane di puro
e ricopri il mio corpo nudo di fango nero e oleoso
unghie rotte contro la pietra

In alcune interpretazioni psicologiche del cristianesimo, Dio è considerato l'equilibrio mentale, e Satana la depressione. Anzi, la lontananza di Dio produce depressione, produce il dubbio sulla vita, sul senso delle cose, sulla natura amorosa del destino e del Padre. Meyhna'ch propone una versione alternativa di questa concezione: Dio è fonte di depressione, e allo stesso tempo è fonte di illusorie speranze. Egli condanna l'uomo a esistere, ma lo alletta anche con false speranze d'amore.

Ogni bugia che strappa la mia anima è ciò che voi chiamate un barlume di speranza / 
Ogni volta che Dio mostra la sua faccia io uccido me stesso annebbiando la mente”

Il respiro del nichilismo di Meyhna'ch si fa cosmico con “Sorrow Galaxies”, come suggerito dal titolo. La vita appare come un movimento infinito, che rompe le coordinate spazio-temporali, indicate come “la staticità dell'esistenza di Dio”. Se Dio è infinito statico, l'uomo è infinito dinamico, che scavalca enormi distanze di tempo (la vasta notte dei tempi) e allo stesso tempo è più corta di un tempo minimo (il domani è già troppo distante). In questa specie di gara a chi ingloba l'altro, Meyhna'ch tifa ovviamente per Satana: “L'eternità è l'Inferno”. La “fuga” satanica porta quindi più in là del confine statico di Dio. L'antimateria nera, da storia personale, si fa movimento cosmico, anzi metafisico. Uscire dal principio del cosmo attraverso un'anti-porta, un buco-nero. Non essere mai esistiti, senza spazio o tempo, che si mangia vivo l'esistere in mille tempi e spazi.

Questo universo di malessere interiore, che ondeggia tra claustrofobici segreti sepolti nella storia personale e agorafobiche visioni cosmiche, è tanto disturbante quanto da prendersi con le molle. Dopo avercela menata per cinque dischi con il concetto che bisogna vivere per cancellarsi, e lasciare il niente dietro di sé, come un fronte di antimateria...Meyhna'ch inizia un progetto che porta il suo nome, intitolato “Non omnis moriar”. La sua via d'uscita dalla coltre di pessimismo che ha creato con le sue mani è incredibilmente semplice: il mondo fa schifo, d'accordo, ma uno ganzo come me almeno lascerà il segno. “Non omnis moriar” (non tutto morirà di me) inizia in maniera promettente con “diario di un alcol-nauta”, ma sotto il segno di una filosofia di rinascita attraverso l'arte.

Alla fine in realtà Meyhna'ch è morto. Per la precisione nel 1996, come risulta dalla copertina di un demo dei Mutiilation, all'età di 300 anni, essendo nato nel 1666. Roba da asilo nido, vi avevamo avvertito all'inizio dell'articolo. Inspiegabilmente ne viene annunciata una seconda volta la morte nel 1999. Non le droghe, non la pistola fumante (come aveva proclamato) ne avrebbe causato la morte ma qualcosa di ancora più letale, ovvero lo sdegno per lo sputtanamento della scena black metal. Perché ormai nel 1999 la scena si era riempita di pagliacci, mica gente seria nata nel 1666... Mica gente matura come quella che prende parte al progetto Gestapo 666...

Comunque anche stavolta rimbalza sull'aldilà e torna nel 2001 con un autoironico sottotitolo “grimly reborn” al nuovo album.

Non morirà tutto, in compenso è già morto due volte. E con le copertine alla fine si è ripreso alla grande, con il merito di averne dedicata una al fenomeno, che tutti dovrebbero conoscere, del Rattenkoenig.

A cura del Dottore