Un salto indietro nella foresta,
in una visione senza colori definiti se non il rosso del fuoco di una torcia; ho freddo e non riesco a non avere paura. È tornato Satyr e c’è ancora Frost
insieme a lui dietro al fumo: sono tornati i miei confratelli nell’oscurità.
La voce cavernosa di Satyr e l’andamento cupo e colmo di malessere mi fa tornare agli anni d’oro, quando Vikernes girava ad incendiare chiese, quando Ihsahn aveva i capelli lunghi senza occhialini, quando c’era Euronymous, quando Fenriz era... no Fenriz è rimasto uguale.
Come quando fissi l’abisso e ti senti attirato a buttarti dentro, così l’oscurità di queste note richiama riti ancestrali, sensazioni oscure e voglia di nero.
I confratelli si radunano tutti insieme attorno ad un falò, si cercano e si studiano. Sono con loro e ci fissiamo: tanti anni e tanti cambiamenti hanno invaso le nostre vite, ma siamo ancora qui attorno ad un fuoco con le teste di caproni ai piedi.
Bastano questi sei minuti per catapultarmi nel ronzio Black con cui sono cresciuto; a volte lo rinnego, ma poi la foresta chiama con queste canzoni ed io mi inchino.
Esiste una leggenda che sostiene che ci sia un lupo bianco ed un lupo nero dentro di noi ed è difficile farli coesistere, perché il primo è buono ma l’altro è rabbioso. La maturità è scegliere il momento giusto di nutrirli, magari dedicandosi all’uno e all’altro, dando importanza a ogni parte di noi stessi.
Oggi ho deciso di dedicarmi al lupo nero, saziarmi proprio con la musica dei miei confratelli.
Il lupo bianco per questa volta aspetterà al varco.