21 ott 2018

LESSICO METAL: IL SUFFISSO PRIVATIVO "LESS"


Il suffisso privativo less è un'altra sonda lessicale per indagare il negativismo concettuale, o iconico, diffuso nei generi estremi del metal. Prendiamo per esempio i nomi dei gruppi.

Si parte con il semplice uso per "togliere" una parte da un tutto, con l'effetto del deprezzamento o mutilazione, spesso distruttiva o dispregiativa (testa, collo, occhi, arti, fegato), ma anche masochistica o depressiva (senza ali). Alcune di queste mutilazioni sono simboliche di una negazione di dignità, o sono l'insinuazione della falsità dell'oggetto che si indica. Il profeta messianico è per chi lo nega o lo avversa descritto come un essere "senza volto", e la sua decapitazione abbiamo già visto come significhi indicare la falsità della sua apparenza, che appunto risiede nel volto e nei suoi elementi, "polena" dell'esistenza che appare. Viceversa, non avere elementi che possono ingannare è simbolo talvolta di integrità e sincerità: l'essere "senza occhi" significa non indurre in inganno, ad esempio, e "senza volto" è l'essere che non si fonda sull'apparenza e sull'inganno della comunicazione. Insomma, la privazione riporta alla spiritualità, alla verità oltre le apparenze, in un modo o nell'altro.

Alcune di queste negazioni in particolare sono orgogliosamente sbandierate in quanto sinonimo di "autenticità", e suonano allo stesso tempo mostruose quanto astratte: senza forma (form), senza nome, senza colore, senza contorni (shape), senza luce, senz'anima. Le fonti della visibilità sono riferimenti di questo simbolismo negativo: senza stelle, senza sole, senza cielo, e anche senza luna. Spesso nei testi anti-teisti la privazione simbolica è contrapposta a quella concreta dei dogmi religiosi: se per amore di Dio ci si priva dei piaceri, e si compiono sacrifici e mutilazioni anche reali, nel linguaggio capovolto tutto ciò è invece simbolico, ci si priva dell'idea della carne e dei sensi come qualcosa di problematico, e li si recupera come natura da coltivare. Nel film "Nympha" (2007), una ragazza si fa suora attraverso un rituale di avvicinamento a Dio che prevede i passaggi della parola, della visione e del suono, che corrispondono rispettivamente a tagliarsi la lingua, accecarsi e perforarsi il timpano. La castità è in più religioni un pegno da pagare alla vicinanza a Dio, e sono esistite sette in cui la mutilazione, specie genitale, era praticata come passaggio ad un livello spirituale superiore. Nelle visioni anti-teistiche invece la negazione dell'apparenza significa semplicemente che, se qualcuno mortifica la materia, simbolicamente la si "nasconde" per poterla vivere invece come parte del divino, proteggendola dall'idea che vada mortificata o limitata.

Esistono "less" trionfalistici, come ad esempio la "corona senza testa", da non confondersi con la testa senza corona, ben più comune. Una corona che svetta su una testa che non c'è, una maestà che non vuole essere distinzione. Come dire, la regalità dell'individuo (forse).

Certo, non tutti i privativi sono immediatamente comprensibili: il dio senza volto, l'entità senza volto, la madre (?) senza volto, la notte senza volto. Ma esattamente cosa può voler significare la "decisione senza volto"? Forse una volontà che non si sputtana con un tramite, con un messia dal volto umano? Una volontà che è già umana, e quindi non deve far leva su una sua parte, ma esprimersi in maniera assoluta come tale, come moto dell'anima? Può essere, anche se m'è venuta in mente così, al volo. Ma soprattutto, concretamente che cosa è la "mutilazione senza volto"? Che sia un modo sgrammaticato per indicare il "togliere il volto", cioè quel defacement che simboleggia lo smascheramento dell'apparenza fasulla della divinità? O una forza invisibile che arriva e ti stacca un orecchio, per esempio, come in "Hellraiser"?

Non l'abbiamo neanche menzionato per ovvietà, ma naturalmente piovono i "godless" (senza dio), e c'è anche un gruppo che si fregia del titolo di "senza chiesa", che in effetti rende meglio, perché così sono tagliati fuori anche le religioni alternative o da inventare.

Il suffisso privativo è pane quotidiano nel doom, dove ogni cosa è assenza. Nelle depressioni eterne e dilatate del doom si è senza sonno, naturalmente senza sogni (a occhi chiusi o aperti), non ci sarà futuro, speranza, né paradiso, né scopo. Figuriamoci quindi se si può essere altro che "senza gioia", non ci sono sensi, si è senza vista od orizzonte, si rimane senza lacrime perfino, perché anche il dolore è un'assenza in fondo al vicolo cieco della depressione. Si è infatti senza dolore, perfino senza paura, così come si è senza gioia. E' tutto sospeso, si rimane senza respiro, senza carne, senza cuore. Appare tutto senza valore, senza utilità. Non ti caga neanche nessuno, e quindi chiaramente si è senza aiuto. In altre parole, viene a mancare il senso stesso della vita "lifesenseless".

Alcune privazioni corporee sono invece suggestive di mostruosità oltre la vita. Lo stesso tipo di mostruosità oltre la vita corrisponde all'essere senza tomba, come sono i vampiri, ma anche come Gesù, dalla tomba vuota.

Esiste, nella depressione, una forma estrema in cui si arriva a negare l'esistenza delle cose, e i confini della realtà fisica e corporea. Si afferma di essere senza intestino, senza organi, senza sangue o senza vene, come a dire che non si sente più il flusso del sangue, la vita che si muove; senza nervi, cervello, per poi estendere questa negazione all'esterno, affermando che non esiste lo spazio, il tempo. La percezione che si arriva ad avere è quella di essere un "vuoto" in continuità con un vuoto cosmico. Ciò unisce un senso di annullamento ad un altro di grandiosità.

Così anche nel doom la negazione totale è anche infinita esistenza. Nell'infinito non esiste più nulla, e quindi le cose sono "senza età", "senza tempo", e anche - ecco il grandioso unito alla negazione suprema - "senza eoni". La cosa più atroce è, come nel film Higlander, l'assenza della morte. Alcune persone depresse lamentano proprio questo, di essere imprigionati in una dimensione in cui sono costretti a vivere in eterno, soffrendo, perché la morte non è più possibile, e tutto è inchiodato in un'esistenza non reversibile. E' tutto il contrario di quel che accade nel cosmo lovecraftiano, in cui c'è la morte, ma "dopo svariati eoni anche la morte potrà morire", come recita l'iscrizione sul tempio di R'yeh, alludendo a Chthulhu, il Dio dei sogni che riemerge ciclicamente dall'abisso dell'oblio. In altre parole, la morte non è la fine, perché anche la morte muore, e inizia un nuovo ciclo di vita, continuamente. Sarebbe cosmicamente inquietante se la vita non finisse mai, tutto dovrebbe fermarsi come in un'ibernazione.

In questa dimensione di infinitezza cadono, preceduti dall'aggettivo endless, una serie di immagini e di elementi. Si va dall'agonia infinita, alla brutalità infinita, al vuoto infinito, all'odio e all'amore, fino alle trovate più bizzarre. In comune un senso di sospensione unito ad un movimento che è iniziato ma non si compie mai. Se la foresta infinita dà l'idea di una trappola in cui si è entrati senza uscirne più, il sacrificio infinito è l'impossibilità di pareggiare i conti col destino che sembra volercela far pagare. Il regno infinito è qualcosa di grandioso ma triste, come un re che non riesce però a dare un senso al suo dominio.

Ricordiamo a questo proposito la canzone di Vecchioni in cui il grande condottiero "conquistò nazione dopo nazione, e quando fu di fronte al mare si sentì un coglione, perché più in là non si poteva conquistare niente: e tanta strada per vedere un sole disperato, e sempre uguale e sempre come quando era partito". Appunto, il regno infinito, che nel metal trova una sua rappresentazione nella tristissima copertina degli Odium "Il triste regno delle stelle". Mette ansia pensare ad una "marea infinita", ad un fiume infinito, una "alba infinita". Il moto lento e mai compiuto che sintetizza in sé tutto il doom è l'autunno infinito, tramonto e decadenza inesorabile ma che non può aver fine. Se avesse fine, all'Autunno seguirebbe l'Inverno, ma l'Inverno è in sé anche la prova che non c'è morte definitiva, solo congelamento, e anzi è un presagio di vita futura. E' l'Autunno la vera china discendente, la morte che consuma, la maturazione che sfocia nella decomposizione. 

Danno l'idea di una processione eterna il funerale infinito, la discesa infinita, la maledizione infinita, l'orizzonte infinito etc. Sanno invece di rafforzativo espressioni come l'inverno infinito, il dolore infinito, e forse anche il "trono infinito" dovrebbe suggerire una potenza invincibile.

Rimaniamo perplessi a riflettere sull'aspetto dello "Yeti infinito", una sorta di incrocio tra un mostro classico feroce e gigante e un'entità cosmica impalpabile?

Ma ancora più oscura è la semantica del "vomito infinito", che immaginiamo come una specie di flusso ininterrotto (scatenato da cozze cosmiche avariate), magari con un significato di espulsione e rigenerazione, chi può dirlo? Fatto sta che questi deathster americani non sono gli unici a fantasticare sul vomito "privo" di qualcosa. Un gruppo finlandese si presenta al mondo come "vomito senza vita", il che è scientificamente inesatto, poiché qualche batterio acido-resistente dovrebbe esserci. Che voglia indicare un vomito cadaverico, in realtà espulsione riflessa post-mortem del cibo indigesto? Un po' funambolica come immagine, ma pur possibile.

A cura del Dottore