Se mi fermassero per la strada e
a bruciapelo mi chiedessero di parlare della discografia anni ‘90 degli In
Flames, beh, non avrei problemi a farlo. Gli In Flames di quella decade non
hanno sbagliato un colpo e ogni parto discografico, dal sensazionale debut
“Lunar Strain” fino all'ottimo “Colony”, è degno di essere ricordato negli annali del
Metal.
Non fa eccezione neppure l’EP di cui parliamo oggi. Pubblicato nel 1995, anno magico per il melo-death svedese visto che nel giro di pochi mesi vennero dati alle stampe “Of chaos and eternal night” & “The Gallery” dei Dark Tranquillity, “Carpet” dei Ceremonial Oath e “Slaughter of the soul” degli At the Gates, “Subterranean” è tutto fuorchè un’opera minore, un “rimpetivo" utile solo a tenere vivo il nome In Flames sul mercato prima della pubblicazione di un full lenght. No, tutt’altro: parliamo di 20’ di ispiratissimo melo-death at its best. Del resto, in quei fulgidi anni ogni nota composta dalla mente di Jesper Strömblad diventava oro.
La cosa particolare è che la band
di Göteborg
diede alla luce questi 5 pezzi di straordinaria qualità in una situazione di
line up a dir poco magmatica. Perso Mikael Stanne alla voce, passato ai Dark
Tranquillity, gli In Flames si ritrovarono senza un singer, chiedendo supporto
a quel Henke Forss che abbiamo poi meglio conosciuto nei Dawn. Forss, da
semplice guest, diventò protagonista assoluto dell’opera, scrivendo tutti i
testi e soprattutto sfoderando una prova monstre dietro al microfono. La sua
voce, molto aggressiva, non scade mai nel gutturale, rimanendo brutalmente
espressiva e facilitando la comprensione delle sue linee. Ma gli stravolgimenti di formazione non riguardarono solo il cantante: lo stesso Strömblad
aveva abbandonato la batteria suonata in “Lunar Strain” per darsi alle sei corde. Il suo posto venne preso da due session di lusso (Daniel Erlandsson e
Ander Jivarp) quando però ormai era stato ufficializzato l'ingresso di Björn
Gelotte…insomma, un bel casino!
Ma tornando alla musica: è quasi
imbarazzante sentire come tutto fili liscio, senza sbavature, senza un secondo
di più o di meno di quello di cui ogni brano necessitava. Il trademark made in
Fredman Studios, sotto le sapienti mani del guru Fredrik Nordström,
è il valore aggiunto di un’opera che ci accoglie con “Stand ablaze” e le sue
malinconiche note di pianoforte, apripista di un riffone epico e violento ma
dal sapore fortemente classico, cavalcato dal growling cavernoso ma sempre
espressivo di Forss. “Ever dying” poi è un concentrato di genialità mixate in
un brano che è la summa di un intero genere: partenza death, stacco folk di
chitarra acustica a metà brano; ripresa in mid tempo guidata da un riff
epicissimo; assolo maideniano e ancora outro acustica da infarto, probabilmente
uno dei passaggi più riusciti della loro intera carriera assieme all’intro di
“Moonshield”.
Manco il tempo di riprenderti che
la title track ti prende per mano con il suo riff che ti si pianta in testa e
non ti molla più. E’ il brano più lungo del disco, quasi 6’ di dinamismo e
melodicità struggente che rivelano una formula che sarà il marchio di fabbrica
della band negli anni a venire.
L'intermezzo acustico
di “Timeless”, 100 secondi di toccanti arpeggi acustici, è tutt’altro che un
riempitivo ma un’ulteriore dimostrazione di come il sound del primo melo-death
fosse costantemente innervato da inserti folk, parte integrante dello stile
della scena.
Si chiude in bellezza con
“Biosphere”, caratterizzata ancora da un riff cesellato, melodico e al contempo
trascinante.
Non fu un caso che dopo l’expolit
di “Subterranean” la band venne “strappata” alla Wrong Again Rec. e messa sotto
contratto dalla Nuclear Blast con la quale cominciò un sodalizio
fortunatissimo, a partire dal crack di “The Jester Race” dell’anno successivo,
col quale Strömblad&co. fecero il “botto” a livello commerciale e di
critica.
Nonostante la giovanissima età e,
come detto, una line up in quel momento fortemente instabile, gli In Flames
dimostrarono come l’ispirazione compositiva e la chiarezza di idee e di
intenti, con il supporto di una fase produttiva che ben sapeva come trattare la
materia, potesse supplire a inesperienze e difficoltà contingenti e dare alla
luce un fulgido diamante. Si, perché nonostante la band sia ricordata dai più,
fan compresi, per quanto fatto da TJR in avanti, in realtà già con
“Subterranean” non solo dimostrarono di aver raggiunto una maturità,
compositiva ed esecutiva, invidiabile ma si imponevano come leader dell’intera
scena del c.d. Gothenburg Sound.
A riascoltarlo oggi, sapendo cosa
sarebbe successo stilisticamente alla band da “Rerout to remain” in poi, non ci
si può che mordere le mani, sentendosi un po' traditi…
A cura di Morningrise