18 ago 2019

I MIGLIORI EP DEL METAL - "SUBTERRANEAN" (IN FLAMES)



Se mi fermassero per la strada e a bruciapelo mi chiedessero di parlare della discografia anni ‘90 degli In Flames, beh, non avrei problemi a farlo. Gli In Flames di quella decade non hanno sbagliato un colpo e ogni parto discografico, dal sensazionale debut “Lunar Strain” fino all'ottimo “Colony”, è degno di essere ricordato negli annali del Metal.

Non fa eccezione neppure l’EP di cui parliamo oggi. Pubblicato nel 1995, anno magico per il melo-death svedese visto che nel giro di pochi mesi vennero dati alle stampe “Of chaos and eternal night” & “The Gallery” dei Dark Tranquillity, “Carpet” dei Ceremonial Oath e “Slaughter of the soul” degli At the Gates, “Subterranean” è tutto fuorchè un’opera minore, un “rimpetivo" utile solo a tenere vivo il nome In Flames sul mercato prima della pubblicazione di un full lenght. No, tutt’altro: parliamo di 20’ di ispiratissimo melo-death at its best. Del resto, in quei fulgidi anni ogni nota composta dalla mente di Jesper Strömblad diventava oro.

La cosa particolare è che la band di Göteborg diede alla luce questi 5 pezzi di straordinaria qualità in una situazione di line up a dir poco magmatica. Perso Mikael Stanne alla voce, passato ai Dark Tranquillity, gli In Flames si ritrovarono senza un singer, chiedendo supporto a quel Henke Forss che abbiamo poi meglio conosciuto nei Dawn. Forss, da semplice guest, diventò protagonista assoluto dell’opera, scrivendo tutti i testi e soprattutto sfoderando una prova monstre dietro al microfono. La sua voce, molto aggressiva, non scade mai nel gutturale, rimanendo brutalmente espressiva e facilitando la comprensione delle sue linee. Ma gli stravolgimenti di formazione non riguardarono solo il cantante: lo stesso Strömblad aveva abbandonato la batteria suonata in “Lunar Strain” per darsi alle sei corde. Il suo posto venne preso da due session di lusso (Daniel Erlandsson e Ander Jivarp) quando però ormai era stato ufficializzato l'ingresso di Björn Gelotte…insomma, un bel casino!

Ma tornando alla musica: è quasi imbarazzante sentire come tutto fili liscio, senza sbavature, senza un secondo di più o di meno di quello di cui ogni brano necessitava. Il trademark made in Fredman Studios, sotto le sapienti mani del guru Fredrik Nordström, è il valore aggiunto di un’opera che ci accoglie con “Stand ablaze” e le sue malinconiche note di pianoforte, apripista di un riffone epico e violento ma dal sapore fortemente classico, cavalcato dal growling cavernoso ma sempre espressivo di Forss. “Ever dying” poi è un concentrato di genialità mixate in un brano che è la summa di un intero genere: partenza death, stacco folk di chitarra acustica a metà brano; ripresa in mid tempo guidata da un riff epicissimo; assolo maideniano e ancora outro acustica da infarto, probabilmente uno dei passaggi più riusciti della loro intera carriera assieme all’intro di “Moonshield”.
Manco il tempo di riprenderti che la title track ti prende per mano con il suo riff che ti si pianta in testa e non ti molla più. E’ il brano più lungo del disco, quasi 6’ di dinamismo e melodicità struggente che rivelano una formula che sarà il marchio di fabbrica della band negli anni a venire.
L'intermezzo acustico di “Timeless”, 100 secondi di toccanti arpeggi acustici, è tutt’altro che un riempitivo ma un’ulteriore dimostrazione di come il sound del primo melo-death fosse costantemente innervato da inserti folk, parte integrante dello stile della scena.
Si chiude in bellezza con “Biosphere”, caratterizzata ancora da un riff cesellato, melodico e al contempo trascinante.

Non fu un caso che dopo l’expolit di “Subterranean” la band venne “strappata” alla Wrong Again Rec. e messa sotto contratto dalla Nuclear Blast con la quale cominciò un sodalizio fortunatissimo, a partire dal crack di “The Jester Race” dell’anno successivo, col quale Strömblad&co. fecero il “botto” a livello commerciale e di critica.

Nonostante la giovanissima età e, come detto, una line up in quel momento fortemente instabile, gli In Flames dimostrarono come l’ispirazione compositiva e la chiarezza di idee e di intenti, con il supporto di una fase produttiva che ben sapeva come trattare la materia, potesse supplire a inesperienze e difficoltà contingenti e dare alla luce un fulgido diamante. Si, perché nonostante la band sia ricordata dai più, fan compresi, per quanto fatto da TJR in avanti, in realtà già con “Subterranean” non solo dimostrarono di aver raggiunto una maturità, compositiva ed esecutiva, invidiabile ma si imponevano come leader dell’intera scena del c.d.  Gothenburg Sound.

A riascoltarlo oggi, sapendo cosa sarebbe successo stilisticamente alla band da “Rerout to remain” in poi, non ci si può che mordere le mani, sentendosi un po' traditi…

A cura di Morningrise