16 mar 2021

UN COCCODRILLO PER L.G. PETROV - "WHAT MAN HAS CREATED / MAN CAN DESTROY"



Lars Goran Petrov

Un nome altisonante, o meglio, bassisonante come si addice ad un personaggio del Death Metal

Doppio nome svedese, “destro-sinistro”, e poi gancio al fianco col classico russo Petrov. 

Io poi ne ero ammaliato perché per anni e anni ho vissuto nell'illusione che Petrov fosse quello con i boccoli di pelle più scura. Insomma, una specie di melting pot etnico, un parto dei Grandi Antichi. 

Invece il mio fetticio, il tipo con i boccoli, era Alex Hellid alias Lofo Twangaka Kalle. Io ho dovuto aspettare che gli Entombed nel 2013 si riformassero (inutilmente) come Entombed A.D. per capire che LG Petrov non poteva essere evidentemente Hellid, escluso da quella nuova formazione. 

Petrov ha lasciato il segno sia per lo stile vocale “a macina”, vicino all'impostazione rauca e monocorde del grindcore, sia perché personaggio di formazioni pioniere del death metal scandinavo. Quello non melodico, tra l'altro, in cui bolliva già l'inquietudine della scena estrema, alla ricerca di una poetica della morte meno aggressiva e più scarna

La presenza scenica di Petrov era simile a quella di Antropophagus, il personaggio horror di Massaccesi. In più, a differenza di Antropophagus, Lars emetteva anche suoni gutturali di un certo pregio. Non erano suoi i testi, ma è con la sua voce che mi risuona ancora in testa la frase slogan degli Entombed degli esordi, e cioè “What man's created – man can destroy / Bring to light – that day of joy”. Il Manifesto dello spirito del death, una sorta di futurismo death che minacciava la distruzione di ciò che l'uomo ha creato, come dichiarazione di emancipazione dall'autoschiavitù delle religioni e delle superstizioni. L'Uomo che si guarda allo specchio dichiarando guerra alle proprie prigioni mentali. E Lars snocciola questi versi come uno schiacciasassi, a nome di due entità dell'epoca: una, gli Entombed; l'altra, la Earache, scuderia che proponeva l'avanguardia estrema in tutte le sue declinazioni. E il death scandinavo si poneva all'attenzione anche per una nuova, curiosa concezione del death, suggerita da titoli come “But life goes on”, un titolo ossimorico per un brano death, in cui si diceva “Morto, deceduto, ma la vita continua, io sarò colui che ha vinto”. 

Ma il ricordo più bello di Lars fu l'assaggio di "Left Hand Path" direttamente dal piatto del negozio di dischi, un negozio famoso che era meta di molti metallari della mia zona. Era ancora l'era dei vinili, e credo che i CD fossero ancora rari. Problema dell'epoca: come avere un'idea del disco? Dalle recensioni, che quindi svolgevano un ruolo molto più importante di ora. Ma era sempre poco, quindi o si aspettava qualche amico che lo comprasse e te lo facesse sentire o registrasse in cassetta, oppure potevi sperare che il negoziante te ne facesse sentire un brano. Addirittura poi, quando venne l'epoca dei CD, c'erano postazioni apposite per poter ascoltarsi con tutta calma il disco, come alla Feltrinelli di Milano. I negozianti dell'epoca non erano molto propensi a farti sentire i dischi, perché: primo, gli consumavi il disco; secondo, se ti davano spago gli avresti fatto mettere su tutto lo scaffale per poi non comprare niente. Quindi questo titolare del negozio, quando gli si chiese se potevamo sentire un pezzo giusto per farci un'idea, tirò fuori una malizia machiavellica: ma che ascoltare un pezzo...troppo comodo, così uno si ascolta una parte dell'album a sbafo...e invece il tipo prese il braccio del giradischi e lo appoggiò, per dieci secondi alla volta su tre o quattro punti del disco. Un assaggio inservibile, come dire: se volevi scroccare ascolti gratis, cambia negozio. L'assaggio faceva più o meno così: “brzzzz...aaargh // aaaargh...brrrzzzzz // ttrrbrrzzzz uhhhhh”. Ma la cosa migliore fu che, anziché un vaffanculo secco, riuscii solo a dire: Ah...si dai, mi piace, lo prendo

La particolarità della voce di Lars era che, pur essendo brutale e bassa, era anche “sfarinata”, dava la sensazione di uno che scende un viottolo pietroso scivolando sulla ghiaia e le sterpaglie per atterrare poi più o meno in piedi. Non strascicato come Tardy degli Obituary, non infiammato come Schuldiner, non semplicemente cavernoso come nella tradizione del death americano: era una voce quasi hardcore. E' tra e' rantolo e' r grugnito, come dice Verdone in un film nel descrivere il russamento della compagna. E funzionava nel rendere quello sbriciolamento, quello sfiatamento della materia che si disgrega, un po' perché si spappola, un po' perché si secca. 

Come si addiceva alla scena dell'epoca, i musicisti death svedesi migravano, si dividevano tra più progetti, cambiavano anche strumento. Per poi ritrovarsi negli stessi studi con gli stessi tecnici, che garantivano il tipico “sound svedese”. Così Petrov fu membro dei Comecon. (che non era, non come riporta Wikipedia, un'organizzazione del blocco sovietico, ma l'omonima band, come cantante nel disco “Megatrends in Brutality”. Insomma, una delle voci della cattiveria svedese, paludosa, incrostata, con poco sangue e molta ruggine. Non così lontana da quel primo black alla Mayhem (del resto Lars suonava la batteria nei Morbid). 

Ad uno che si mangiava i coccodrilli death della Florida, ne diamo in pasto un ultimo che sicuramente gradirà.

A cura del Dottore