29 apr 2021

RECENSIONE: DARKWATER - "HUMAN"

 


Dream Theater, Evergrey, Kamelot, Circus Maximus, Seventh Wonder o i nostrani DGM: queste sono le coordinate in cui inserire i Darkwater, aggiungendo un pizzico di prolissità e ossessione svedese per la precisione.

Molto bene adesso che a leggere la recensione sono rimasti solo una dozzina di appassionati del genere prog e power metal: possiamo scendere nel dettaglio del disco in oggetto...

Scusate se sono stato così diretto, ma d'altronde non è un album per tutti "Human", ma solo per affezionati fan dei gruppi succitati.

Ricordo il mio vecchio docente di Letteratura all'università che, a fronte di una folla oceanica alla prima lezione del corso, annunciò che avrebbe preteso il giorno successivo da tutti i presenti una relazione dettagliata sul romanzo "I viceré" di F. De Roberto. L'indomani gli studenti erano chiaramente dimezzati per il compito di riassumere le 700 pagine del capolavoro sulla storia della famiglia catanese Uzeda, ma il professore ammise di averlo fatto appositamente per ridurre il pubblico ai soli interessati alla letteratura italiana.

Ho preso in prestito, quindi, la stessa strategia per approfondire il discorso sui Darkwater e desidero addentrarmi meglio nei meandri di questa band perché ritengo che siano meritevoli di più attenzione.

Per prima cosa sono in giro da quindici anni e hanno pubblicato solo tre dischi: non si può certo dire, perciò, che rompano le palle al prossimo o che si arroghino il diritto di essere fondamentali come molti gruppi del genere.

In secondo luogo, "Human" ha una coerenza brillante, idee non originali ma ben fatte e con quel pizzico di interesse che supera il mondo nerd dei progsters più accaniti. Non parliamo di brivido sottocutaneo o lacrime agli occhi, ma di canzoni di ottima fattura e un buon amalgama.

In terzo luogo ho avuto modo di vedere in rete alcune loro esibizioni nei festival prog e power in giro per l'Europa ai tempi del precedente disco, "Where stories end" (2010), e meritano rispetto, anzi qualcosina in più: direi un plauso con strizzata d'occhio.

Infine è inevitabile chiedersi dove si sia arenato il minimo slancio verso un pubblico di nicchia leggermente più vasto per loro, forse in una malcelata monotonia? Forse nella prolissità dei 76 minuti di questo album?

Cari fan del prog, sapete bene quanta monotonia troviamo quotidianamente nei nostri ascolti, ma la accettiamo e sapete altresì quanti dischi lunghi lunghi e ancora lunghi siamo avvezzi a sostenere, perciò non fatevi ingannare dalle consuete recensioni in cui si deve assecondare il pregiudizio. Il vero limite dei Darkwater si annida in alcuni parti melodiche e lente con poco pathos e momenti più duri dove si potrebbe esagerare un pochino di più.

Come quel partner che si sorbisce una lunga cena a sentire parlare la compagna già prefigurando di andare a letto dopo, ma al momento dell'atto gli viene impedito di esagerare con qualche licenza sessuale e pensa: "Ma come, mi sono ciucciato tutti i tuoi sproloqui e tu non puoi ciucciare altro adesso!?!?"

Allo stesso modo l'ascoltatore dei Darkwater è disposto a farsi carico dei 76 minuti di questo album, però si deve esagerare un pochino di più nei momenti tecnici; perché siamo qui per questo e perché lo possono fare.

Se tra altri nove anni uscirà un nuovo disco forse sarò troppo vecchio per trovare altri 76 minuti nella mia vita da dedicare loro, perciò non giudicate se nel frattempo decido di scopare di più.


Voto: 7,5

Canzone top: "A new beginning"

Momento top: il finale di "Alive pt.II"

Momento flop: "Burdens"

Dati: 10 canzoni, 76 minuti

Etichetta: Ulterium Rec.