5 ott 2024

UN ASSAGGIO DI COSMIC VOID FESTIVAL - ARCTURUS & DJEVEL (13/09/2024, LONDON)



Eccoci finalmente al Cosmic Void Festival, un altro sfizio che mi tolgo in questo 2024 foriero di grandi soddisfazioni sul fronte concertistico. Giunto alla sua terza edizione, il festival londinese si è subito distinto per intercettare chicche da veri intenditori nell'empireo del black metal e derivati (basti pensare, in seno all'edizione dell'anno scorso, al debutto assoluto dal vivo dei Midnight Odissey, mai saliti su un palco in precedenza, o la riesumazione dei Ved Buens Ende..., che non mettevano piede in UK dal 1995!). Il format delle tre giornate (con nomi effettivamente di rilievo ma annacquati con molti altri tutto sommato trascurabili) e i prezzi altissimi, tuttavia, mi hanno sempre scoraggiato, ma quest'anno credo di aver trovato un giusto compromesso fra qualità e prezzo, ossia presenziare solamente alla serata di warm-up all'O2 Academy Islington, la giornata più abbordabile economicamente delle tre e che ha visto come headliner gli Arcturus, mia passione di gioventù. 
 
Rimane l'amaro in bocca per non aver potuto partecipare alle altre due giornate: il sabato con i Samael (che hanno riproposto per intero "Ceremony of Opposites"), ma soprattutto domenica con i Tormentor del sempre ottimo Attila Csihar a fare da headliner e supportati niente di meno che da Trelldom, Dødheimsgard ed Austere: le classiche situazioni in cui uno rimpiange di avere da adempiere ai doveri del buon padre di famiglia e doversi contenere sul fronte delle passioni personali...

A spingermi verso la serata di venerdì 13 è stata anche la possibilità di soddisfare la mia sempiterna curiosità di potermi addentrare nell'O2 Academy Islington (da non confondere con l'Islington Assembly Hall, sempre nel quartiere di Angel), altra venue fondamentale per gli appassionati di rock, metal e derivati. Il locale è accogliente, di ridotte dimensioni ma non angusto, ideale per eventi di questo tipo. Devo dire che il fatto che sia pieno di gente mi mette un po' d'ansia, ma la colpa è mia, essendo ormai viziato da posti microscopici, intimi e poco gremiti. Reduce dal concerto dei Liturgy al Cafe OTO e da quello di Emma Ruth Rundle al Bush Hall, l'O2 Academy Islington al confronto mi pare lo stadio di Wembley...
 
Per motivi logistici mi perdo i primi a comparire sul palco, tali Taur-Im-Duinath (blackster evocatori di foreste tolkieniane ma di fatto provenienti dalla provincia di Salerno). Faccio il mio ingresso nel locale, dunque, che già suonano i Hetroherzen, creatura del polistrumentista Diacon D. originario del Cile ma da anni trapiantato in Svezia. Non mi scompongo; cioè, son tutti bravi a fare black metal oggigiorno, ma per drizzare il ciglio c'è bisogno che ci sia il quid, quel qualcosa in più, cosa che gli Hetroherzen non sembrano possedere, almeno stando a quello che accade sul palco: bei riff, bei campi di tempo, bei cappucci, ma sinceramente nel 2024 esigiamo di più: queste cose le sanno fare tutti. 
 
Curioso invece guardarsi intorno, osservare il popolo black metal, da sempre espressione di gran disagio, ma anche di gente originale, non c'è niente da fare. A questo giro voglio segnalare due segmenti di popolazione in particolare. I primi sono i blackster gay, "minoranza" in espansione ed estremamente gradita in quanto segnale positivo di una accresciuta apertura mentale entro gli ambienti del metal (fantastico il tizio con la borsetta di stoffa di Abbath, una vera sciccheria!). Vi sono poi da segnalare le blackster sopra i cinquant'anni, una categoria rara che solo a Londra, in queste circostanze, ho avuto modo di osservare. Avete presente quelle donne attempate ed ultra-imbellettate che in genere beccate nelle serate o nei concerti dark? Ecco, scopro con piacere che ne esiste un corrispettivo nel black metal. Cioè, donne a cui piace il black metal, che non si sono tagliate le vene a trent'anni o che non hanno rinnegato il metal estremo come una "sciocchezza di gioventù": bello che esistano! Vero è che l'età media è altuccia in generale, ma è comprensibile: chi ascoltava black metal negli anni novanta oggi ne ha cinquanta. E' un genere, il black metal, che oramai ha una storia trentennale e ai concerti capita di incontrate gente di una certa età, proprio come capitava vent'anni fa ai concerti di heavy metal classico. Ma torniamo alla musica. 
 
Gli headliner non sono gli headliner, nel senso che gli Arcturus, il cui logo campeggia in testa al cartellone della giornata di venerdì 13, in realtà non chiuderanno la serata, lasciando gli onori di suonare per ultimi ai Djevel, che novellini comunque non sono: a giro da una quindicina di anni e con ben otto full-lenght all'attivo, i norvegesi hanno indubbiamente la caratura dei protagonisti, non foss'altro per la presenza in organico dell'ex-Emperor Faust, colui che sedeva dietro alle pelli nel leggendario "In the Nightside Eclipse". 
 
Attendiamo con sano entusiasmo gli Arcturus ascoltando con il cuore palpitante di emozione i brani poco convenzionali trasmessi durante il sound-check ("Wish You Were Here" e "Comfortably Numb" su tutti). Mi preoccupo di presentarmi all'appuntamento con almeno tre birre in corpo, il quantitativo alcolico perfetto per affrontare con la giusta predisposizione dei miti di gioventù. Senza tanti fronzoli i Nostri si presentano sul palco e noto con piacere che non indossano vestiti particolarmente barocchi, come se anche loro si fossero rotti i coglioni di grondare sudore come maiali sotto abiti e maschere ingombranti. Hellhammer si limita alla maschera in stile veneziano che indossava ai tempi de "La Masquerade Infernale", Skoll (detto per inciso, un altro mio eroe di gioventù!) si ferma ad una semplice tunica, Knut Magne Valle ha anche il cappuccio, ma cambia poco. Sverd , in seconda linea dietro alle sue tastiere, indossa un copricapo da aviatore , mentre ICS Vortex completa il quadro con il proverbiale look in stile steampunk
 
Il mio problema con Vortex è che non l'ho mai sopportato, mi ha sempre dato l'impressione di un comico che non fa ridere. E stasera, con quel suo fare da avvinazzato dello spazio, avrò la piena conferma che il Nostro ha mal interpretato, se non tradito, la missione artistica degli Arcturus: quel carattere surreale, grottesco, tragico ed al tempo stesso ironico che il canto e la direzione artistica di Garm avevano conferito alla musica dei norvegesi nei primi tre capolavori della band, con lui è diventato una prevedibile farsa, un piattume, una pagliacciata. 
 
Lo dico subito a scarso di equivoci, gli Arcturus saranno deludenti. Non voglio dire che abbiano fatto un brutto concerto, anzi, rimangono dei musicisti superlativi, ma non mi sono arrivati. Sicuramente perché oramai incolmabile è la distanza fra me e loro: ho amato visceralmente gli Arcturus, ma questo accadeva molti anni fa, e se son qui stasera non è tanto per la voglia di ascoltarli (li ho persi di vista da tempo e quel genere di musica non mi appassiona più), ma per piantare la classica bandierina sul CV, visto che ho avuto modo di vedere dal vivo quasi tutti i protagonisti del glorioso black metal norvegese che fu, e certo non potevo mancare all'appuntamento proprio con loro, che ho anche inserito nella mia personale classifica dei migliori dischi black norvegesi

La scollatura è doppia se si pensa a come sono diversi gli Arcturus oggi rispetto agli inizi, cosa che evidenziavo sopra parlando di Vortex. Ma anche guardando all'esibizione in sé, c'è da dire che i cinque sul palco non riusciranno ad ammaestrare la complessità della loro stessa musica. Fanno il resto suoni non perfetti, effetti di luci un po' statici (la band sarà immersa nella quasi oscurità - lo stesso Vortex sarà poco più di un'ombra, e certo questo svilisce la verve teatrale e visionaria della band) ed un apparato multimediale di scarso appeal (immagini spaziali in stile screensaver del PC proiettate su un telo rettangolare abbastanza piccolo): un insieme di cose che non permettere al repertorio dei norvegesi di decollare dal vivo. E pensare che la scaletta era davvero buona, con ben sette brani estrapolati dai primi tre album, "Aspera Hiems Symfonia", "La Masquerade Infernale" e "The Sham Mirrors". 
 
Si parte con "Evaquation Code Deciphered", per mia fortuna l'episodio che prediligo da "Sideshow Symphonies", e ci può stare per riscaldare i motori. A preoccuparmi è il fatto che classici come "Nightmare Heaven", "Painting My Horror" ed "Alone" non mi scuotono, e non è un bene, perché si tratta di brani che ascoltavo quasi trent'anni fa e in un certo senso fanno parte del mio DNA. Incide negativamente il fatto che alle mie spalle c'è il più grande esperto di Arcturus al mondo che canta a memoria i testi, sillaba per sillaba, cose che pensavo possibili solo ad un concerto dei Dream Theater. Costui, oltre ad essere il più grande conoscitore degli Arcturus, è anche fra gli esseri viventi più stonati che abbia mai conosciuto in vita mia, e la cosa mi disturba enormemente considerata la sacralità che nonostante tutto certi brani ricoprono ancora per il sottoscritto. E credo ahimè di avergli dato io il la: intonando a squarcia gola "It was a daaaaark niiiight" all'inizio di "Painting My Horror" gli devo aver acceso irrimediabilmente la miccia dell'entusiasmo, facendolo così sentire meno solo ed incompreso, e libero di esprimersi. 
 
Menomale che arriva la santissima "Du Nordavind" che nella sua essenza black metal mette a tacere molti intenditori della fase avant-garde. Poi finalmente il concerto decolla, almeno nella mia testa. Attacca "Collapse Generation", un brano semi-strumentale per lo più veloce basato sulle prodezze di Hellhammer, e mi piglia molto bene: ecco finalmente le sensazioni ataviche che stavo cercando e che esigevo da un concerto di questo tipo! Piacevole, inoltre, il pogo allegro e benevolo del più grande intenditore degli Arcturus con quello che parrebbe essere il fan degli Arcturus più vecchio d'Europa. Peccato solo che a questo punto, probabilmente richiamato dall'entusiasmo della stramba coppia, subentri, attirato come una mosca sulla merda, il blackster più scemo di Londra, un idiota di solito col face-painting talmente impresso nella memoria collettiva da essere riconoscibilissimo anche senza face-painting per via della caratteristica forma della testa che Lombroso avrebbe classificato come la forma craniale del perfetto cretino. Costui si è sempre distinto per gesti inutili, plateali e a volte molesti, e stasera non è da meno col suo pogo lento ed invadente, quel modo di farsi scivolare di schiena sui poveri diavoli delle prime file, il tutto corredato dal sorriso beffardo di chi intende volontariamente rompere i coglioni al prossimo (per la cronaca: ad un certo della serata sparirà come succede tutte le volte, non si capisce se castigato dalla security o accucciato in un angolo reso inservibile dall'alcool ingurgitato). 
 
Nonostante questo la magia continua con "The Chaos Path" un po' penalizzata da suoni impastati che non rendono giustizia ad una delle vette artistiche degli Arcturus, ma che comunque dal vivo funziona alla grande, grazie anche ad una convincente prova vocale. Il pogo si fa fastidioso e preferisco farmi da parte, peccato solo che la base jungle alla fine del brano venga omessa, cosa che mi ci fa rimanere molto male. I Nostri continuano a volare alto con "To Thou Who Dwellest in the Night", brano che in gioventù mi ha procurato orgasmi a ripetizione e che viene reso dalla band con la giusta enfasi, nonostante l'approssimazione esecutiva che è comunque comprensibile a fine concerto. Le danze si chiudono con "Angst" estratta dall'ultimo "Arcturian": dopo circa un'ora di esibizione, un po' all'improvviso e senza bis (ma chi li fa più i bis oggi giorno?!?), i membri della band salutano ed abbandonano il palco. Ultimo ad uscire di scena è il chitarrista Knut Magne Valle intento a realizzare un aeroplanino con il foglio di carta dove è riportata la scaletta dei brani eseguiti: il volo floscio del velivolo (che atterra sul palco dopo una fiacca giravolta) suscita l'ilarità del pubblico e dello stesso chitarrista, e questo rimarrà il momento più spontaneo e divertente dell'esibizione degli Arcturus. 
 
Tiriamo le somme. Dal vivo la musica degli Arcturus perde il suo potenziale avanguardista e molte delle sue peculiarità più estrose, incluse le parti di elettronica. La formazione con molto mestiere si compatta attorno ad un metal-prog sinfonico che solo raramente si inasprisce in partiture black metal (fatta eccezione per i due brani estratti dall'album di debutto). Dai singoli musicisti mi sarei francamente aspettato di più. C'è da dire, a sua discolpa, che Sverd suona per davvero, nel senso che non abusa di basi pre-registrate come ci si potrebbe aspettare, e lo si può vedere magheggiare instancabilmente dietro ai tasti, peccato solo che molte delle sue prodezze si perdano nel mancato amalgama con gli altri strumenti. Knut Magne Valle, che non mi ha mai fatto impazzire come chitarrista, è un gran casinaro; Skoll si conferma un ottimo bassista e il suo diteggiare è stato apprezzato in più frangenti, senza però che la sostanza dei pezzi cambiasse più di tanto per via del suo operato. Vortex mi starà anche sul cazzo, ma sa cantare: offre uno screaming abrasivo ed un pulito istrionico, ma anche lui non è in grado di restituire le magie che possiamo sentire su disco, probabilmente per l'abbondanza di sovra-incisioni di tracce vocali che non possono essere riprodotte dal vivo. Evitasse poi di dire cazzate da ubriaco e sorseggiare birra fra un brano e l'altro ne uscirebbe indubbiamente meglio. Delude infine il sacro Hellhammer, il quale mi pare invecchiato rispetto a quando lo vidi con i Mayhem: in quella circostanza mi fece una impressione decisamente migliore, più tonico, enormemente più preciso, ma del resto si parla di più di sette anni fa (time flies...). Chiariamo: non è stato affatto un disastro, ci mancherebbe, solo la band non riesce a mio parere a trasferire sulle assi l'intensità di quanto realizzato su disco. 
 
Poco male, mi ritrovo a riporre grandi aspettative nei confronti dei Djevel, sebbene di loro abbia una conoscenza assai superficiale avendo ascoltato - e solo di recente - solo i loro ultimi due album. I Nostri si caricano sulle spalle il ruolo di ultimo gruppo della giornata con grande autorevolezza a partire dal sound-check. Ci mettono infatti una vita a regolare i suoni, nemmeno fossero i Pink Floyd. Come se non bastasse ad un certo punto si intravede un Faust palesemente contrariato che dice qualcosa ad un tecnico del suono. È impossibile capire quello che dice, ma è chiaro, da espressione e gestualità, che abbia proferito un qualcosa del tipo: questa batteria non va bene un cazzo di nulla! È gelo sul palco, anche perché non deve essere piacevole contraddire Faust, ed infatti le operazioni si prolungano tanto che la band attaccherà con più di mezzora di ritardo rispetto alla tabella di marcia, cosa molto insolita per Londra (ma chi se la sente di contraddire Faust?). 
 
Alla fine i Nostri si presentano addirittura in sei, con tanto di tastierista, componente abbastanza irrilevante nell'economia del suono dei Djevel (che dire, avranno soldi da spendere...). Attacca un solenne riff, Faust entra in partita con tocchi secchi ed interlocutori, avviando infine un micidiale mid-tempo, teatro ideale per l'ingresso della gracchiante voce di Kvitrim. I suoni sono nitidi e corposi, ognuno fa il suo porco dovere, il tutto procede dannatamente bene. Quello dei Djevel è il black metal che ci piace: quello austero, intenso, il black metal del cerone in viso, del chiodo con le maniche arrotolate e i guanti di pelle nera, il black metal dei candelabri, quello che non si ride, quello che si danno le spalle al pubblico, quello dei movimenti lenti. 
 
Zero fronzoli, zero pagliacciate, ma anche zero ostentazione di cattiveria a tutti i costi: sorta di mix fra Mayhem, Emperor e primi Satyricon, quello dei Djevel è un black metal che trasuda vecchia scuola e ne resuscita alla perfezione lo spirito originario, senza dover ricorrere alle spacconate dei vari Venom, Celtic Frost e Bathory. Il black dei Djevel non è guerrafondaio, non è anthemico né thrashettone, non è folk né vichinghesco, non è progressivo né melodico, e neppure atmosferico in senso stretto né tanto meno post. In brani molto lunghi in cui non succede poi molto, il black metal dei Djevel è magnetico, ti calamita e non cala di intensità per un singolo istante. 
 
Faust fra furiosissimi blastbeat ed impeccabili tempi medi dimostra precisione e sicurezza: indubbiamente è uno che sa come deve andare un brano black metal. Trånn Ciekals è un riff-maker di prim'ordine e Kvitrim è il frontman perfetto: imponente come stazza, pallido in viso, dai coglioni sempre girati e fautore di una gestualità misurata ma incisiva. Il suo screaming è tagliente come una lama e ponderato nel suo incedere, e di tanto in tanto viene alternato da un poderoso pulito da baritono. Il pogo non attecchisce, il pubblico sembra piuttosto ipnotizzato dalla ricorsività dei riff e dalla fluidità del drumming, segue in silenzio e con attenzione. Dopo circa una cinquantina di minuti e quattro brani (la metà dei quali tratti dall'ultimo - ottimo - "Naa Skrider Natten Sort", oramai del 2022), anche il loro set giunge al termine lasciando dietro di sé un ottimo sapore in bocca. 
 
Certo è stato tutto molto breve e non si esce dal locale con l'impressione di aver partecipato ad un festival. Non ci lamentiamo, del resto stasera abbiamo messo ben tre bandierine (visto gli Arcturus, partecipato al Cosmic Void Festival, conosciuto l'O2 Academy Islington) e scoperto la grandezza di una nuova band (i Djevel). Quanto al Cosmic Void Festival, non finisce qui: un giorno mio figlio sarà grande ed indipendente economicamente, e potrò finalmente farmi l'abbonamento dei tre giorni!