28 mar 2015

OSCAR DRONJAK, IO TI ODIO!


PERCHÉ ODIARE? MA SOPRATTUTTO, PERCHÈ ODIARE UN PERSONAGGIO INUTILE COME IL CHITARRISTA DEGLI HAMMERFALL?

MM è amore, MM ama tutti, ma a volte MM s'indigna. E come spesso capita agli scemi che fanno la fila alle poste, che si spazientiscono, e sbuffano, e strepitano, e dicono cose a caso contro persone o situazioni che c'entrano poco o nulla, oggi ci arrabbiamo con Oscar Dronjak, chitarrista e membro storico degli svedesi HammerFall.


Cosa avrà mai combinato lo smilzo figuro? Sì, quell'attaccapanni con appesi sopra un chiodo ed una chitarra; quello che se lo incontravi al liceo ti faceva talmente pietà che non lo prendevi nemmeno a calci in culo. Proprio lui. Cosa avrà mai combinato?

Avrà forse sbagliato un disco? E che ne so, nemmeno li ascolto io gli HammerFall. A parte “Glory to the Brave” non ho mai sentito altro. Il power-metal viveva nel 1997 (anno di uscita di “Glory to the Brave”) il suo momento di massima popolarità. Big come Gamma Ray, Stratovarius e Blind Guardian avevano strutturato il percorso e proprio in quel periodo stavano raggiungendo la definitiva consacrazione (mentre qualcuno già sentiva puzza di fregatura). Irruppero dunque gli HammerFall: “Glory to the Brave” era il classico album giusto al momento giusto. Ma per quanto riguarda la scrittura, gli svedesi erano nella media; quanto ad innovazione, essi si rivelarono addirittura doppiamente reazionari. Già di per sé il power-metal degli anni novanta (dopo lo tsunami grunge) incarnava lo Spirito della Restaurazione, facendo rientrare dalla finestra quello che si era fatto uscire dalla porta: ossia l'heavy metal classico degli anni ottanta. Riverniciato a nuovo, in turchino e lillà. Gli HammerFall, dal canto loro, ignoravano persino le rilevanti novità introdotte dalle band sopra citate. Niente partiture neoclassiche, niente derive prog, niente suite, niente strutture complesse, niente folk: gli Hammerfall suonavano freschi, ma non erano altro che i nipoti sempliciotti degli Helloween che guardavano ostinatamente indietro e che ripescavano dal calderone delle rimembranze vecchie cariatidi tipo Warlord (coverizzati con “Child of the Damned”). Evidentemente erano quello che ci voleva, quello di cui la gente aveva bisogno: portavano sicurezze. Ma se essi meritarono un minuto della mia attenzione, fu soltanto perché nel primo disco ci suonava Jesper Stromblad degli In Flames, che in precedenza aveva militato nella death-metal band Ceremonial Oath, proprio con l’amico Oscar Dronjak.

L’Oscar Dronjak che a metà febbraio (sempre tempestivo MM!) rilascia dichiarazioni sull'industria musicale che mi sento oggi di commentare (leggi qui l’intervento integrale).

Tralasciamo la solita tiritera del quanto si stava bene ai tempi in cui si vendevano i dischi, mentre adesso c'è Spotify, c'è la crisi, il carovita e bla bla bla. Tutto vero, sacrosanto, ma adesso basta, non se ne può più (i Metallica già quindici anni fa fecero la loro buona crociata contro Napster - perdendola). Ma a parte questo e premesso che non mi piacciono i vittimisti e i piagnistei, discorsi del genere me li posso oggi aspettare dal bottegaio sotto casa mia che si lamenta del fatto che ci sono troppe tasse (e magari non ti fa nemmeno lo scontrino), ma non da uno che ha scelto di vivere “spericolatamente”, assecondando la sua passione, imboccando la via del rocker. Un “rocker”, peraltro, con la spada in mano e che suona la chitarra in una band che ci canta di onore e battaglie. Tutto questo stona, non trovate? Il fatto è che sono discorsi superati, a questo punto della storia dell’Occidente uno si aspetterebbe un approccio diverso, perché guardare indietro è la Fine: quel bel mondo non tornerà mai più. Se non reggi lo stress, allora cambia mestiere, Oscar, ce ne faremo una ragione.

Io non so come l'industria musicale potrà sopravvivere nei prossimi anni. Probabilmente stiamo andando incontro allo scenario peggiore, con persone che semplicemente fanno musica senza anima, perché è il modo più economico per farla. La passione sarà andata perduta”.

Vedi Oscar (e te lo dice uno che compra un centinaio di cd all'anno e che usa il pc come se fosse una macchina da scrivere), il mondo cambia; l'uomo, la società cambiano. Gli spazzacamini, nonostante il loro momento di gloria grazie a Mary Poppins, si sono estinti da un bel pezzo. I negozi di dischi chiudono, il videonoleggio si è smaterializzato dall’oggi al domani, internet permette di scaricare film, dischi, addirittura libri, e si sostituisce ad un numero incredibile di servizi (ne sanno qualcosa le agenzie di viaggio). Anche le aziende produttrici di macchine fotografiche digitali avranno subito un brusco calo di fatturato dopo l'avvento degli smart-phone. Vedi, Oscar, niente è per sempre (nemmeno i diamanti), la cieca brutalità dell'esistenza contempla continuamente la morte: la morte di qualcuno che lascia lo spazio a qualcun altro, ed è proprio grazie a questo riciclo che il mondo va avanti. Se poi in questo gioco al massacro, scompariranno anche gli HammerFall, beh, parafrasando Clark Gable: “Francamente non me ne frega una sega”.    

Capitolo merchandising. In Italia il 40% dell'incasso per la vendita di magliette ed accessori spetta a non-si-sa-chi. E poi il tema ossessivo de “la-torta-che-si-è-ristretta-e-che-non-basta-per-tutti”, le tasse che sono troppo alte in Italia, la burocrazia che è allucinante in Italia, e la corruzione che c’è in Italia... Tant'è che (attenzione attenzione) il nostro Oscar minaccia che gli HammerFall potrebbero non essere più disposti a fare tour in Italia. AIUTO! AIUTO! PAURA! Gli HammerFall non verranno più in Italia! Mi sto cagando sotto dalla disperazione!
Punto primo: ma chissene…
Punto secondo: Oscar mio, ma di cosa ti lamenti? In Svezia vi danno persino i soldi per tirare su un gruppo heavy-metal (le famigerate sovvenzioni statali per la cultura), come mai tutta questa angoscia? Si è rotto il giochetto? Se hai paura di non portare la pagnotta a casa, vai al Centro per l’Impiego di Mölndal, che magari lì ti trovano qualcosa per davvero, ma non fare il rocker, Oscar. Pensa a chi si fa il culo il doppio e raccoglie la metà (anzi niente)!

Il metal, l'arte in generale, Oscar mio, dovrebbero essere altro. Guarda Quorton, per esempio, che era svedese come te e registrava i dischi in garage. E non ha fatto un concerto in vita sua! E poi cosa credi, Oscar, che i Judas Priest, quando cantavano “Victim of Changes” si riferissero ai tassi di cambio? O che gli Iron di “2 Minutes to Midnight” avevano paura che gli scadesse il parcheggio?

Potrei a questo punto chiudere intonando con il mio raggelante falsetto il ritornello di “Penny for a Poor Man” degli amati Warlord, ma preferisco parafrasare il Monnezza: “A Oscar, ma te la vai a pija ner culo…”.