19 giu 2015

I 10 MIGLIORI ALBUM GLAM METAL - ANTEPRIMA (II PARTE) Quella Sporca Quindicina




In qualsivoglia struttura societaria, per la classe dominante che la guida difendere la propria posizione di potere contro un “nemico” (sia esso una controcultura diffusa sul territorio oppure un gruppo di pressione ben definito territorialmente) è molto più semplice quando esso è facilmente individuabile, chiaramente opposto ad essa e portatore di istanze e atteggiamenti totalmente differenti da quelli di riferimento, codificati e accettati dai più.
E’ molto più complesso per il gruppo socio-politico che detiene le leve di potere combattere ed espellere l’avversario quando esso prende posizione mischiandosi ad esso e, in apparenza, parlando il suo stesso linguaggio, veicolando gli stessi valori e/o stili di vita.

A cura di Morningrise

Con un azzardata, ma neanche tanto, similitudine potremmo dire che in relazione alla società Usa degli anni ’80, il Thrash rappresentava un avversario palese nettamente contrapposto mentre il Glam metal era quel subdolo avversario, di fatto l’immagina riflessa in uno specchio deformante della “società bene” di quel periodo.
Infatti mentre il primo, come detto nella prima parte dell’Anteprima di questa Retrospettiva, combatteva frontalmente la cultura yuppie, parlando, con un sound ultra-violento e ultra-veloce, di tutto ciò che c’è di marcio, di orribile e di collegato alla morte dietro la facciata di benessere, il Glam ne faceva propri gli stili di vita, ne enucleava gli eccessi e li elevava all’ennesima potenza.
E vedremo come paradossalmente il mostruoso ibrido musicale del Thrash fece meno paura del semplice, ma non banale, recupero del rock e dell’hard-rock anni 70 operato dai gruppi Glam.

E vorrei partire da quello che mi appare un incredibile, e geniale, paradosso: glam, sta per “glamour”, vale a dire “fascino”. Un fascino collegato a una certa eleganza, ad una seducente sensualità. Ora, se prendiamo il look col quale si presentavano al pubblico la stragrande maggioranza dei componenti dei gruppi glam, possiamo dire tutto fuorchè che siano eleganti! Paillettes, lustrini, abiti dai colori sgargianti, trucco accentuato (con rossetto e eyeliner di ordinanza!), pettinature cotonatissime, scarpe con tacco 12 o giù di lì… un cattivo gusto al limite del kitsch piuttosto che dell’eleganza! Ma ovviamente il tutto era studiato, era calcolato ed era incredibilmente irriverente. Questi vestiti sgargianti e vistosi, le acconciature curate all’inverosimile facevano parte di un armamentario finalizzato a stupire, a shockare e scuotere l’ascoltatore.

Se alla forma, all’estetica, abbiniamo poi la sostanza, la way-of-life di questi musicisti, capiremo come il cocktail glamour fosse davvero esplosivo: edonismo, sesso sfrenato, eccessi di ogni tipo, parties (più vicini ad orge per la verità) che duravano giorni e giorni, sfrenato consumo di droga e alcool…insomma, quello che sotto sotto erano anche le abitudini dei giovani business man di Wall Street (della serie si fa ma non si dice) veniva ripreso e portato all’inverosimile e sbattuto davanti a tutti (della serie si fa, si dice e ce ne facciamo un vanto!) da questi ragazzi che, così come i loro coetanei che si erano dati al Thrash, potevano tranquillamente corrispondere all’ideal-tipo di emarginato sociale: dei paria, degli outcast, come vengono definiti nel mondo anglosassone.

Tutto questo, evidentemente, non poteva essere ben accolto e/o sopportato dalla classe dominante di cui sopra, dalle upper classes delle grandi città, dell’East Coast in particolare. E la reazione fu spontanea. Ma tardiva. E come si espresse?

La vita delle first ladies, o in generale delle mogli di uomini ricchi e politicamente potenti, non deve essere facile. La noia, l’insoddisfazione, il rispetto dell’etichetta e dell’apparenza, forse un senso di inutilità …immagino che un insieme di tutte queste cose probabilmente avrà spinto, agli inizi del 1985, Mary Elizabeth Gore, conosciuta col soprannome di “Tipper” e moglie del futuro vicepresidente degli Stati Uniti Al Gore, a creare assieme a un manipolo di sue pari il Parents Music Resource Center che aveva lo scopo, sotto questo nome altisonante e tutto sommato “neutro”, di censurare quei dischi nei quali vi fossero canzoni dal testo ritenuto immorale od offensivo verso il “buon costume” (in particolare con riferimento ai messaggi sessuali da esse veicolati).

Il Centro, forte di appoggi politici nelle alte sfere (Al Gore all’epoca era già membro del Senato) ottenne subito la firma da parte della Associazione Americana dell'Industria Discografica (la RIIA) per stilare un protocollo di collaborazione volto a individuare quali fossero quei dischi che avessero un contenuto visivo e/o lirico ritenuto sconveniente per i minori e apporvi un’etichetta di avvertimento per i genitori: praticamente la richiesta di un’auto-censura. Che portò a delle conseguenze comunque rilevanti, posto che molti esercizi commerciali si rifiutarono di vendere i dischi che apportavano questa label.
In secondo luogo emanò una prima lista di 15 canzoni ritenute “scabrose”, la famigerata Filthy Fifteen.  Sotto la scure censoria del P.M.R.C. vi finirono indifferentemente gruppi propriamente hard rock o heavy (Judas Priest, Venom, AC/DC e Black Sabbath) e gli emergenti gruppi glam, come Motley Crue, Wasp e Twisted Sister (oltre che semplici artisti rock/pop, come Madonna, Frank Zappa e Prince). Tutti artisti inseriti nella black list, in quella Sporca Quindicina.

Ma questo non bastò: la pressione esercitata dalle Washington Wives, come vennero ribattezzate la Gore&Friends, portò incredibilmente ad una audizione al Senato nel settembre dell’85 durante la quale vennero messi alla sbarra quei musicisti che rappresentavano quello che da esse veniva definito come il Porn Rock. Un’audizione ridicola, soprattutto se pensiamo che venne svolta in un Paese che si è sempre fieramente considerato come alfiere delle libertà individuali. Ma evidentemente i rigurgiti bigotti del perbenismo puritano in quel momento trovarono un appoggio all’interno delle istituzioni. Ma non una sponda tra i giovani fruitori di musica.

Infatti, al di là del mantenimento della label “Parental advisory – Explicit content”, l’P.M.R.C. non andò lontano: il fiume in piena della musica glam si era ormai avviato e non poteva essere fermato. I dischi vendevano, il prodotto musicale era apprezzato, i live delle band erano seguiti da decine di migliaia di fan e i loro video giravano parecchio su MTV. Impossibile mettere un argine.
E cosa meglio dei video musicali poteva plasticamente raffigurare la portata della “minaccia” del movimento per la società bene made in U.S.A.? Si potrebbero citare decine di video in tal senso, con i membri dei gruppi glam che irrompevano nelle case delle famiglie della middle-upper class americana, distruggendone le pareti e le suppellettili, scuotendone la calma e la tranquillità, e “corrompendone” i figli i quali, irresistibilmente, abbandonavano il loro tran tran quotidiano lasciando la loro angusta cameretta per andare a scatenarsi, oramai "traviati" irrimediabilmente, ai loro concerti sprigionando quell’energia e quella vitalità fino ad allora repressa.

Uno dei video che meglio esprime questi concetti è sicuramente quello di “Round and round” dei Ratt (tratto dal loro fortunatissimo “Out of the cellar” del 1984) in cui una serafica cena di una famiglia nobiliare, con tanto di maggiordomo e capofamiglia in smoking, viene prima disturbata dai rumori elettrici che provengono dal solaio, dove furtivamente si erano insediati i Ratt, finchè il soffitto crolla e il chitarrista del gruppo, Warren DeMartini, cade sopra il tavolo mandando tutto all’aria costringendo i malcapitati ospiti iperborghesi, quasi minacciandoli con la sua Charvel, a fuggire. E nel contempo il maggiordomo, anch’egli ormai con il make up sul viso, tolta la livrea per indossare un più pratico giubbotto di pelle col logo Ratt, comincia a saltellare felice sul tavolo mentre la giovane rampolla di famiglia (ovviamente mozzafiato!), affascinata dal sound della band, si strappa di dosso i suoi elegantissimi vestiti per rimanere in sottoveste e, ricoperta dalla polvere e dai calcinacci, si trascina in solaio per lanciarsi assieme al gruppo in un ballo sfrenato e liberatorio!

Tornando a noi, l’obiettivo di questa retrospettiva non è quello di fare una classifica (troppo difficile per il sottoscritto fare una graduatoria con così tanto materiale a disposizione), ma di esprimere piuttosto un elenco di quelli che furono a mio modesto avviso i dieci album che, dal 1983 al 1989 (il periodo appunto delle prosperità reaganiana che avevamo individuato nel precedente post) maggiormente rappresentativi della Scena statunitense. Non sarà impresa facile orientarvisi anche perché le definizioni appioppatele dalla critica sono molte, a volte irrisorie e poco calzanti; e altre volte sono stati gli stessi membri dei gruppi in questione a rifiutarle, non riconoscendovisi. Pop metal, Hair metal, Street metal, Sleaze metal…tutte etichette che sono state coniate in quegli anni e impropriamente considerate sinonimi.

Volendo trovare un minimo comun denominatore tra questi artisti potremmo dire che tutte le band di questo enorme calderone improntarono il loro sound a un recupero marcato delle linee melodiche, divenendo quindi appetibili commercialmente; utilizzarono ritornelli orecchiabili e cori trascinanti; inserirono sistematicamente nelle tracklist dei propri dischi le c.d. power ballads, canzoni d’amore strappalacrime che mandavano in visibilio soprattutto le giovani fans (ma diciamolo…anche i maschietti non ne erano immuni!)  e si avvalsero di una produzione di alta qualità per gli standard dell’epoca. Questo, inizialmente, può bastare a individuare il target di dischi cui ci riferiamo.

E allora partiamo! Rivisitiamo questi dieci album!

Ma prima, ehm…scusate, ancora una piccola puntualizzazione…questi dieci dischi probabilmente non sarebbero mai stati concepiti se non ci fosse stato prima di loro un album che era uscito molto tempo prima, in un periodo musicale molto differente, e sul quale non possiamo non soffermarci…