27 set 2015

BLUT AUS NORD: LA TRILOGIA DEL "777"




Per anni, per quasi tutta la mia vita, ho letto della grandezza incommensurabile dei Blut Aus Nord. Ovunque. Urgeva dunque un chiarimento fra me e la band francese. E quale miglior modo per chiarirsi se non comprarsi in blocco l’intera trilogia “777”? Per una grande band, l’approccio deve essere egualmente grandioso, no?

Premetto che l’industrial black metal non mi è mai andato a genio, almeno in linea di principio. Per me il black metal è foreste, lupi, vento e neve; il black metal è un genere viscerale, istintuale, spirituale, che scaturisce dal cuore, dalle emozioni più profonde ed ataviche dell’essere umano; il black metal non può parlare di degrado della società o di disastri nucleari, né assumere vesti moderniste o post-industriali. Nonostante questa mia resistenza mentale, le poche band riconducibili a questo filone che ho avuto modo di ascoltare non mi sono infine dispiaciute.

Un po’ di esempi a caso. Gli italiani Aborym dimostrano efficacemente come la ferocia e il nichilismo del black metal si possano sposare con drum-machine (caricate a manetta), techno (ma quanto siete burini, figlie miei) ed atmosfere acid-house. Idem per i (sempre) italianissimi Void of Silence, che del genere danno una interpretazione più doomy ed apocalittica, rivolgendo lo sguardo verso il neo-folk e l’industrial marziale dai vari Death in June, Blood Axis e Der Blutharsch. Gli svizzeri Samael, invece, con la svolta di “Passage” si imposero come i fautori di un black metal “spaziale” ed avveniristico che faceva ampio uso di basi elettroniche e sintetizzatori. I norvegesi Dodheimsgard, infine, si giovarono di suoni sintetici, di voci filtrate e delle dissonanze chitarristiche ad opera di quel genio che risponde al nome di Vicotnik. Insomma, laddove c’era ispirazione, anche l’industrial black metal si faceva piacere.

Mancavano all’appello ancora i Blut Aus Nord, di cui da sempre si sente parlare un gran bene. One-man band capeggiata da tale Vindsval, di casa a Mondeville (nella bassa Normandia), i Blut Aus Nord esordivano nel 1995 con “Ultima Thulée”, buon debutto ancora riconducibile ad un black metal assai canonico. Fu con “The Work Which Transforms God” (2003) che il progetto s’impose all’attenzione di pubblico e critica in quanto prodotto originale in grado di mettere insieme black metal, ambient e il “metal meccanizzato” dei seminali Godflesh. Nonostante questo, Blut Aus Nord rimarrà una questione per pochi adepti, una realtà di culto per la frangia più estremista della musica estrema. Complice anche l’alone di fitto mistero che aleggia da sempre intorno al mastermind Vindsval, di cui si sa veramente poco.

Punto primo: per quanto mi riguarda, dietro a Blut Aus Nord ci può stare Vindsval, Satriani, Pupo o il ragionier Filini, quel che conta per me sono i fatti, la musica. Punto secondo: se Vindsval non vuol far sapere chi è, e si permette di non specificare nulla del suo lavoro, e addirittura si limita a chiamare i brani “Epitomi” (“Epitome I”, “Epitome II” e così via fino a Epitome XVIII” del terzo tomo), non s’incazzerà di certo se io la sua trilogia me l’ascolto mentre cucino o lavo i piatti, abbandonandomi distrattamente alle sole apparenze. Con buona pace sua e di tutti quelli che di “777” danno interpretazioni esoteriche, alchemiche, cabalistiche.

Vediamo dunque cosa cazzo suonano questi Blut Aus Nord, che per capirlo mi son dovuto comprare ‘sti tre cd. Non sono difficili da spiegare, i Blut Aus Nord, e mi sento di fare un gran servizio per la collettività a spiegarveli con parole semplici. La definizione industrial black metal, anzitutto, ci può stare tutta, almeno per tre buoni motivi: 1) non vi è batteria ma solo drum machine, e qua e là si scorgono inserti elettronici; 2) le chitarre spesso si dedicano al frastuono ed alla dissonanza che è tipica degli impasti sonori dell’universo industriale (vedi appunto Swans, Godflesh, Scorn ecc.); 3) le voci sono massicciamente manipolate e, che siano esse sporche o pulite, ciò comporta che il più delle volte non si capisce un cazzo di quello che dice il cantante. Insomma, l’elemento “disumanizzante” è fortemente presente, sebbene (e forse questo è il bello dei Blut Aud Nord) l’obiettivo della band non sia l’alienazione per l’alienazione, né tanto meno criticare la nostra società: la musica dei Blut Aus Nord resta fuga misantropica e scaturisce dall’inferno visionario di un musicista solitario che decide di esplorare temi metafisici.

Se in certi lavori precedenti Vindsval si era fatto aiutare da un batterista (W.D. Feld) e da un bassista (GhOst), con la trilogia “777”, pubblicata in tre ravvicinate fasi fra il 2011 e il 2012, egli torna a fare tutto da solo (canta e suona chitarre, basso, tastiere e programma tutto quello che non è suonato). Nonostante egli non eccella in nessuno di questi strumenti, il tutto nel suo insieme funziona. Nel black metal, del resto, siamo abituati, a musicisti poco preparati tecnicamente, e Vindsval non è il peggiore. Egli ha la dote essenziale, che è quella di avere il “riff nelle mani”, ossia le linee di chitarra sono sempre fantasiose, accattivanti e coinvolgenti, mentre il resto funge da contorno. Tastiere ad arrotondare e drum-machine a scandire i tempi: ma chi l’ammazza Vindsval se le chitarre vanno?

Dissezioniamo ulteriormente le componenti del Blut Aus Nord-sound. Le chitarre sfrigolano come da tradizione black metal, ma sono capaci di abbandonarsi anche a grandiose e pompose melodie: esse hanno sì un retrogusto dark, ma quello che secondo me le contraddistingue è che sono pacchiane come lo possono essere certe pessime hit di musica leggera francese (che peraltro non ascolto). Le chitarre sanno anche essere sporche, arpeggiate, riverberate, potenti e in più di una circostanza cozzano in stridenti dissonanze che non possono non ricordare i connazionali Deathspell Omega (peraltro da ritenere loro discepoli, visto che i Blut Aus Nord sono venuti prima), ma nel complesso, quello che percepisce l’orecchio è paradossalmente un qualcosa di fastidioso che scorre senza troppi ostacoli.

Questa fluidità è sicuramente data dalle maestose tastiere e dalle ritmiche che, salvo sporadiche sparate (come accade subito nell’opener, aperta da una drum-machine lanciata a velocità supersonica), spesso si assestano su solenni tempi medi: tempi perfetti per permettere alle rarefatte chitarre elettriche di svilupparsi in una miriade di direzioni, una gamma di soluzioni che va dall’arpeggio pulito, agli echi in delay tipici dello shoegaze (sì, vi è anche un po’ di post rock). In tutto questo, non scordiamocelo, è udibile anche il basso, che si fa largo nel casino a suon di robuste pennate.

La voce, infine, è un orpello non indispensabile per la musica di Blut Aus Nord, che poteva benissimo essere anche strumentale: spesso filtrata, che sia essa acido screaming o coro, o declamazione, o dimessa narrazione, la voce tende a confondersi con il cacofonico corpus sonoro sottostante.

Giungiamo infine agli album veri e propri. I tre capitoli che compongono la trilogia sono: “777 – Sect(s)” (uscito il 28 aprile 2011), “777 – The Sanctification” (pubblicato l’11 novembre 2011), “777 – Cosmosophy” (edito il 21 settembre 2012). Lunghi circa tre quarti d’ora ciascuno, essi costituiscono indubbiamente le tappe di un unico discorso (la numerazione dei brani, si diceva, è progressiva ed in ogni album riprende l’ordine dell’album precedente). Stilisticamente essi mostrano più o meno le stesse caratteristiche, anche se è evidente che vi sia dietro un’idea di percorso. Dal black metal violentissimo del primo paragrafo del primo tomo, all’ambient di solo sintetizzatori che conclude l’ultimo paragrafo dell’ultimo tomo, “777” rappresenta sicuramente, nel suo sviluppo, un viaggio iniziatico che  procede da una rude fisicità ad una dimensione squisitamente spirituale. Tutto però all’insegna dell’intelligibilità, del facile escamotage per cui l’unica verità esistente è quella che non possiamo comprendere.

Se i Blut Aus Nord hanno una grandezza, questa grandezza risiede probabilmente nelle qualità del factotum Vindsval, artista originale, visionario regista ed ispirato chitarrista. In linea con i dettami del terzo millennio, la proposta dei Blut Aus Nord espone pregi e difetti dei nuovi paradigmi del metal estremo. Da un lato la musica si sviluppa in modo libero e fuori da ogni schema, annoverando al suo interno delle intuizioni da antologia. Dall’altro, come soprattutto capita alle opere imponenti, lo spettro della dispersione si affaccia in più di una circostanza: sebbene tutto sia funzionale, non tutto è ahimè essenziale, e a tratti il discorso diviene necessariamente prolisso, sovraccaricato da valenze di ordine concettuale.

C’è almeno da dare atto che i Blut Aus Nord sono stati fra i primi ad adottare un approccio di questo stampo. Prendere o lasciare.