Per
anni, per quasi tutta la mia vita, ho letto della grandezza incommensurabile
dei Blut Aus Nord. Ovunque. Urgeva dunque un chiarimento fra me e la
band francese. E quale miglior modo per chiarirsi se non comprarsi in blocco
l’intera trilogia “777”?
Per una grande band, l’approccio deve essere egualmente grandioso, no?
Premetto
che l’industrial black metal non mi è mai andato a genio, almeno in
linea di principio. Per me il black metal è foreste, lupi, vento e neve;
il black metal è un genere viscerale, istintuale, spirituale, che scaturisce
dal cuore, dalle emozioni più profonde ed ataviche dell’essere umano; il black
metal non può parlare di degrado della società o di disastri nucleari, né
assumere vesti moderniste o post-industriali. Nonostante questa mia resistenza
mentale, le poche band riconducibili a questo filone che ho avuto modo di
ascoltare non mi sono infine dispiaciute.
Un
po’ di esempi a caso. Gli italiani Aborym dimostrano efficacemente come
la ferocia e il nichilismo del black metal si possano sposare con drum-machine
(caricate a manetta), techno (ma quanto siete burini, figlie miei) ed
atmosfere acid-house. Idem per i (sempre) italianissimi Void of
Silence, che del genere danno una interpretazione più doomy ed
apocalittica, rivolgendo lo sguardo verso il neo-folk e l’industrial marziale
dai vari Death in June, Blood Axis e Der Blutharsch. Gli svizzeri Samael,
invece, con la svolta di “Passage” si imposero come i fautori di un black metal
“spaziale” ed avveniristico che faceva ampio uso di basi elettroniche e
sintetizzatori. I norvegesi Dodheimsgard, infine, si giovarono di suoni
sintetici, di voci filtrate e delle dissonanze chitarristiche ad opera di quel
genio che risponde al nome di Vicotnik. Insomma, laddove c’era ispirazione,
anche l’industrial black metal si faceva piacere.
Mancavano
all’appello ancora i Blut Aus Nord, di cui da sempre si sente parlare un gran
bene. One-man band capeggiata da tale Vindsval, di casa a
Mondeville (nella bassa Normandia), i Blut Aus Nord esordivano nel 1995
con “Ultima Thulée”, buon debutto ancora riconducibile ad un black metal
assai canonico. Fu con “The Work Which Transforms God” (2003) che
il progetto s’impose all’attenzione di pubblico e critica in quanto prodotto
originale in grado di mettere insieme black metal, ambient e il “metal
meccanizzato” dei seminali Godflesh. Nonostante questo, Blut Aus Nord rimarrà
una questione per pochi adepti, una realtà di culto per la frangia più
estremista della musica estrema. Complice anche l’alone di fitto mistero che
aleggia da sempre intorno al mastermind Vindsval, di cui si sa veramente
poco.
Punto
primo: per quanto mi riguarda, dietro a Blut Aus Nord ci può stare
Vindsval, Satriani, Pupo o il ragionier Filini, quel che conta per me sono i
fatti, la musica. Punto secondo: se Vindsval non vuol far sapere chi è,
e si permette di non specificare nulla del suo lavoro, e addirittura si limita
a chiamare i brani “Epitomi” (“Epitome I”, “Epitome II” e così via fino
a Epitome XVIII” del terzo tomo), non s’incazzerà di certo se io la sua
trilogia me l’ascolto mentre cucino o lavo i piatti, abbandonandomi distrattamente
alle sole apparenze. Con buona pace sua e di tutti quelli che di “777” danno interpretazioni esoteriche,
alchemiche, cabalistiche.
Vediamo
dunque cosa cazzo suonano questi Blut Aus Nord, che per capirlo mi son
dovuto comprare ‘sti tre cd. Non sono difficili da spiegare, i Blut Aus
Nord, e mi sento di fare un gran servizio per la collettività a spiegarveli con
parole semplici. La definizione industrial black metal, anzitutto, ci può stare
tutta, almeno per tre buoni motivi: 1) non vi è batteria ma solo drum
machine, e qua e là si scorgono inserti elettronici; 2) le chitarre
spesso si dedicano al frastuono ed alla dissonanza che è tipica degli impasti
sonori dell’universo industriale (vedi appunto Swans, Godflesh, Scorn ecc.); 3)
le voci sono massicciamente manipolate e, che siano esse sporche o pulite, ciò comporta
che il più delle volte non si capisce un cazzo di quello che dice il cantante. Insomma,
l’elemento “disumanizzante” è fortemente presente, sebbene (e forse questo è il
bello dei Blut Aud Nord) l’obiettivo della band non sia l’alienazione per
l’alienazione, né tanto meno criticare la nostra società: la musica dei
Blut Aus Nord resta fuga misantropica e scaturisce dall’inferno visionario di
un musicista solitario che decide di esplorare temi metafisici.
Se
in certi lavori precedenti Vindsval si era fatto aiutare da un batterista (W.D.
Feld) e da un bassista (GhOst), con la trilogia “777”, pubblicata in tre ravvicinate
fasi fra il 2011 e il 2012, egli torna a fare tutto da solo
(canta e suona chitarre, basso, tastiere e programma tutto quello che non è
suonato). Nonostante egli non eccella in nessuno di questi strumenti, il tutto
nel suo insieme funziona. Nel black metal, del resto, siamo abituati, a
musicisti poco preparati tecnicamente, e Vindsval non è il peggiore. Egli ha la
dote essenziale, che è quella di avere il “riff nelle mani”,
ossia le linee di chitarra sono sempre fantasiose, accattivanti e coinvolgenti,
mentre il resto funge da contorno. Tastiere ad arrotondare e drum-machine
a scandire i tempi: ma chi l’ammazza Vindsval se le chitarre vanno?
Dissezioniamo
ulteriormente le componenti del Blut Aus Nord-sound. Le chitarre
sfrigolano come da tradizione black metal, ma sono capaci di abbandonarsi anche
a grandiose e pompose melodie: esse hanno sì un retrogusto dark, ma
quello che secondo me le contraddistingue è che sono pacchiane come lo possono
essere certe pessime hit di musica leggera francese (che peraltro non
ascolto). Le chitarre sanno anche essere sporche, arpeggiate, riverberate,
potenti e in più di una circostanza cozzano in stridenti dissonanze che non
possono non ricordare i connazionali Deathspell Omega (peraltro da
ritenere loro discepoli, visto che i Blut Aus Nord sono venuti prima), ma nel
complesso, quello che percepisce l’orecchio è paradossalmente un qualcosa di fastidioso
che scorre senza troppi ostacoli.
Questa
fluidità è sicuramente data dalle maestose tastiere e dalle ritmiche
che, salvo sporadiche sparate (come accade subito nell’opener, aperta da una drum-machine
lanciata a velocità supersonica), spesso si assestano su solenni tempi medi:
tempi perfetti per permettere alle rarefatte chitarre elettriche di svilupparsi
in una miriade di direzioni, una gamma di soluzioni che va dall’arpeggio
pulito, agli echi in delay tipici dello shoegaze (sì, vi è anche
un po’ di post rock). In tutto questo, non scordiamocelo, è udibile
anche il basso, che si fa largo nel casino a suon di robuste pennate.
La voce,
infine, è un orpello non indispensabile per la musica di Blut Aus Nord, che
poteva benissimo essere anche strumentale: spesso filtrata, che sia essa acido screaming
o coro, o declamazione, o dimessa narrazione, la voce tende a confondersi con
il cacofonico corpus sonoro sottostante.
Giungiamo
infine agli album veri e propri. I tre capitoli che compongono la trilogia
sono: “777 – Sect(s)” (uscito il 28 aprile 2011), “777 – The
Sanctification” (pubblicato l’11 novembre 2011), “777 – Cosmosophy”
(edito il 21 settembre 2012). Lunghi circa tre quarti d’ora ciascuno, essi
costituiscono indubbiamente le tappe di un unico discorso (la numerazione dei
brani, si diceva, è progressiva ed in ogni album riprende l’ordine dell’album
precedente). Stilisticamente essi mostrano più o meno le stesse
caratteristiche, anche se è evidente che vi sia dietro un’idea di percorso. Dal
black metal violentissimo del primo paragrafo del primo tomo, all’ambient di
solo sintetizzatori che conclude l’ultimo paragrafo dell’ultimo tomo, “777” rappresenta sicuramente, nel suo
sviluppo, un viaggio iniziatico che procede
da una rude fisicità ad una dimensione squisitamente spirituale. Tutto però
all’insegna dell’intelligibilità, del facile escamotage per cui l’unica
verità esistente è quella che non possiamo comprendere.
Se i
Blut Aus Nord hanno una grandezza, questa grandezza risiede probabilmente nelle
qualità del factotum Vindsval, artista originale, visionario regista
ed ispirato chitarrista. In linea con i dettami del terzo
millennio, la proposta dei Blut Aus Nord espone pregi e difetti dei nuovi paradigmi del metal estremo. Da
un lato la musica si sviluppa in modo libero e fuori da ogni schema, annoverando
al suo interno delle intuizioni da antologia. Dall’altro, come soprattutto
capita alle opere imponenti, lo spettro della dispersione si affaccia in più di
una circostanza: sebbene tutto sia funzionale, non tutto è ahimè essenziale, e
a tratti il discorso diviene necessariamente prolisso, sovraccaricato da
valenze di ordine concettuale.
C’è
almeno da dare atto che i Blut Aus Nord sono stati fra i primi ad
adottare un approccio di questo stampo. Prendere o lasciare.