6 set 2015

PERCHE' VOGLIO BENE AI ROTTING CHRIST




Non sono forse il più titolato per parlarvi dei Rotting Christ, band che ho iniziato ad apprezzare solamente in anni recenti. E dire che li ho visti pure dal vivo sullo scadere degli anni novanta (1997, mi pare, al Cage di Livorno, insieme a Old Man’s Child e Sacramentum) e ho anche posseduto un loro album, “A Dead Poem” (chissà che fine ha fatto…). Certo, un lavoro minore come “A Dead Poem” non è stato un bell’incentivo per approfondire la discografia dei greci (anche se “Among Two Storms”, con tanto di controcanto di Fernando Ribeiro dei Moonspell nel ritornello, era tanta roba), e così per un bel po’ di tempo sono stato in grado di “sopravvivere” anche senza i Rotting Christ.

Fin quando, due anni fa circa, mi ritrovai ad un banchetto dell’usato e comprai a cinque euro “Aealo”, una release recente di cui avevo letto assai bene. Premere il tasto play e ritrovarmi innanzi ad un thrash plasticone e galoppante, con voce black sfiatata e coretti di donnine greche tipo “Pippero”, non è stata una bella sensazione ed all’istante mi sono come per magia ricordato il motivo per cui, per così tanti anni, sono stato in grado di vivere senza i Rotting Christ. Non mi rendevo ancora conto che sarebbe presto sbocciato un amore.

Nel giorni/mesi successivi, infatti, il cd è stato mio malgrado ripetutamente inserito nel lettore. Perché non mi stancava mai, perché era vario, ricco di spunti interessanti, perché era orecchiabile e gradevole all’ascolto, ma senza risultare ruffiano o fasullo. Perché è un album che intrattiene, il tipico album che, scevro oramai dalle mie pretenziosità di gioventù, apprezzo enormemente in vecchiaia: mid-tempo epici e refrain melodici che si alternano a fasi atmosferiche e solide cavalcate metalliche, ecco quello che mi ci vuole per invecchiare sereno! Presto mi sarei reso conto che avrei allargato la cerchia degli amici con un nuovo protagonista: il Cristo in putrefazione.

Partiamo dunque dal monicker: chi mastica metal estremo sa bene che si deve per forza confrontare con un mondo in cui l’eleganza non è certo il valore cardine. Siamo abituati a tutto, ma cazzo!, il Cristo che imputridisce è proprio una brutta immagine anche per noialtri gente scafata! Avessimo parlato della band più estrema del mondo, si fossero raggiunti almeno i livelli (lirici e fisici) dei Deicide….insomma, direi che quel nome non è proprio un bel biglietto da visita per una band che nel corso degli anni ha portato avanti una costante evoluzione ed oggi si presenta al mondo con un sound articolato e maturo.  

Ma tolto questo aspetto, per me oggi i fratelli Sakis e Themis Tolis sono degli amici a cui voglio molto bene (un po’ come all’amico che si chiama Gian Gerardo). Perché mi piacciono? Nei Rotting Christ trovo quel sapore genuino tipico della vecchia scuola, di gente limitata ma onesta, che si impegna e si fa un gran culo per sfornare lavori di qualità. Limitati però fino ad un certo punto: gli ellenici infatti sono riusciti a stupirmi in almeno un paio di circostanze. In “Khronos” (loro album del 2000), per esempio, decidono di inserire un’audace cover della “Lucifer Over London” dei Current 93, una vera chicca per intenditori, considerato che si è andati a rovistare nel calderone del folk apocalittico (universo spesso estraneo al metallaro medio, ma che invero meriterebbe di essere approfondito). Nel già citato “Aealo”, si va persino a coverizzareOrders from the Dead”, della connazionale Diamanda Galàs, cantante di fama internazionale (con le sue quattro ottave di ampiezza vocale è considerata la più dotata del mondo), la quale non necessita certo di presentazioni. Il pezzo, che conserva il sapore malsano ed esoterico dell’originale, ospita la voce spiritata della cantante stessa.

Insomma, due elementi che non sono altro che le ciliegine sulla torta di un’evoluzione costante che ha coperto i quasi trent’anni di attività della band e che potremmo suddividere in tre macro-fasi.

Nella prima includerei le origini (la band si è formata nel 1988!), una serie di demo ed EP, certi anche molto validi (fra cui primeggia il mitico “Passage to Arcturo” del 1991) e i primi due full-lenghThe Mighty Contract” (1993, uscito per Osmose) e “Non Serviam” (1994, edito tramite Unisound), ad oggi ritenuti due pietre miliari del black metal. In questi lavori, il monicker ci poteva ancora stare, considerate le atmosfere blasfeme che caratterizzavano una musica violentissima che traeva ispirazione dal proto-black metal dei vari Venom, Bathory e Celtic Frost, ma che sapeva già portarsi su un fronte ulteriormente avanzato di efferatezza, in un percorso analogo, ma parallelo, a quello delle band norvegesi, che nei primi anni novanta stavano letteralmente forgiando il black metal come oggi lo intendiamo. I Rotting Christ dunque c’erano, ma non furono aiutati dal fatto che il black metal in quegli anni si stava delineando secondo gli standard dettati dalle band scandinave (neve, gelo, boschi, montagne, vichinghi, mitologia nordica ecc.). Che cazzo ci fa dunque una band black in Grecia, nel pieno del Mediterraneo, fra sole, ulivi e mari celestissimi?, mi son sempre chiesto. Beh, un altro motivo per farmeli stare simpatici, ma lo capisco solo con la vecchiaia.

Seguì poi la fase "gothic" che ha coinciso con l’approdo alla scuderia della Century Media e con la lunga permanenza in essa. A partire da “Triarchy of the Lost Lovers” (del 1996) e poi per i cinque album successivi, i Rotting Christ impressero una svolta gotica al loro sound, uscendo parzialmente dal black metal, per approdare ad una materia sonora più articolata e densa di atmosfera. E’ come se da un certo punto in poi i Nostri avessero subito il fascino dei Moonspell, che proprio in quegli anni si affermavano nel panorama gothic-metal internazionale con capolavori come “Wolfheart”(1995) ed “Irreligious” (1996). Forse i fratelli Tolis hanno visto nei cugini portoghesi una certa affinità che andava approfondita. Il black metal della band di Fernardo Ribeiro era fottutamente credibile sebbene provenisse dall’assolato Portogallo: gli elementi etnici, mutuati dalla contaminazione araba, erano suggestivi e ben si sposavano con la ferocia professata in campo black. Sakis, che forse per anni ha sentito questa sudditanza nei confronti delle emergenti band scandinave, trovò il modo finalmente di non rinnegare le origini elleniche, bensì di spiattellarle a bella vista, tramite un sound che sapesse coniugare l’epicità della mitologia greca con la poesia suggerita dei suggestivi paesaggi del Mediterraneo. Fatto sta che i risultati sono stati altalenanti e nel corso della decina di anni successivi l’operato della band non è stato oggetto di grandi clamori.

Del resto, un’altra domanda che ci possiamo porre è la seguente: ma chi è il fan dei Rotting Christ (esclusi ovviamente i metallari greci)? I Rotting Christ hanno sempre meritato rispetto all’interno del popolo metal e, guardando ai primi due album, non si può negare che la loro piccola parte nella storia del black metal ce l’abbiano avuta. Ma poi, chi è che possiede tutti, ma proprio tutti gli album dei Rotting Christ? Chi graffia con le unghie la vetrina del negozio di dischi in attesa che esso apra il giorno in cui è prevista l’uscita di un ultimo album dei Rotting Christ? Allora mi vengono in mente tutte quelle squadre di calcio da perenne metà classifica, troppo solide per rischiare la retrocessione, troppo scarse per ambire al primo posto o a coppe prestigiose. Ma spesso il calcio è una questione di solo cuore: i tifosi di quella certa squadra, la seguono e basta, mossi da una fede incrollabile ed indiscutibile. Per questo, secondo me, gli unici veri tifosi dei Rotting Christ possono essere i fan greci. Oppure io.  

Infatti, con la fuoriuscita dalla Century Media, i Rotting Christ hanno come vissuto una seconda giovinezza che, a mio parere, rimane la fase più entusiasmante della loro carriera. Non è un caso che ci sia lo zampino della Season of Mist, che di estremo e post-estremo se ne intende. Il capolavoro “Theogonia” (del 2007) inaugurerà una serie di album decisamente riusciti, saga che proseguirà con il già citato “Aealo” (del 2010) e dall’ultimo “Kata Ton Dai Mona Eaytoy” (del 2013). In questi tre album la formula iper-collaudata dei Rotting Christ si invigorisce ulteriormente, forte di una rinnovata ispirazione e senza perdere in ricchezza e sfumature: iniettata una buona dose di epicità e di marzialità, il sound dei nostri si fa potente e melodico al tempo stesso, andando da un lato a rovistare nel repertorio degli amori della gioventù (Bathory, Celtic Frost, Morbid Angel, Kreator), senza dall'altro rinnegare le lezioni delle nuove muse ispiratrici (Paradise Lost e Moonspell su tutti). Tendo a vedere questi tre album come una sorta di trilogia, ma non è da escludere che la band proseguirà con lo sfornare ottime release: di frecce nella loro faretra i fratelli Tolis ne hanno.

Giungiamo dunque ai giorni nostri, in cui in effetti mi sono trovato a graffiare con le unghie la vetrina del negozio il giorno che doveva uscire “Lucifer over Athens” (altra mirabile citazione al repertorio dei Current 93), ottimo doppio album live che funge da perfetto compendio dell’intera discografia dei Rotting Christ.

Trentuno brani per non farsi mancare davvero nulla della storia dei Nostri, con un occhio di riguardo, ovviamente, alle ultime uscite (basti pensare che per il “gran finale” viene impiegata “Noctis Era”, contenuta nel recente “Aealo”). Ovviamente, nei brani più datati, i Rotting Christ non possono essere più quelli di una volta, considerato il fatto che il flavour epic/gothic che ha pervaso la produzione discografica a partire dalla seconda metà degli anni novanta oramai ammanta tutti i brani, belli e brutti, allineandoli/omologandoli all’attuale visione artistica dei due fratelli. Le canzoni, pertanto, tendono a somigliarsi in maniera preoccupante (spogliate di molti degli arzigogoli da studio, esse mostrano un’ossatura decisamente Celtic Frost oriented) e qualcosa, in termini di ruvidezza e morbosità, si perde per la strada, ma è anche normale, considerato che si parla di una band con quasi tre decadi sul groppone.

Quello che semmai un po’ rimproveriamo all’operazione è il fatto che l’album risulta eccessivamente ritoccato in studio. Perché la voce di Sakis non può reggere così bene per trentuno canzoni in cui di certo il Nostro non si risparmia (sentire a tal proposito le grida lancinanti in coda a “Kata Ton Demona Eaftou” – da brividi). Gli intrecci di chitarra, inoltre, sono troppo perfetti, chirurgici, definiti, se penso che già quasi vent’anni fa, quando li vidi dal vivo, la resa sonora era bella impastata. Il mixaggio, infine, ci consegna dei suoni troppo puliti per essere veri (i brani sembrano uscire da uno studio di registrazione piuttosto che da un palcoscenico, quando in realtà ci saremmo attesi più volentieri delle versioni dei brani più potenti e dotate di una maggiore forza d’urto). Ogni tanto è possibile scorgere, fra un brano e l’altro, una veloce dissolvenza della musica ed una sospetta impennata di pubblico (che spesso, durante le canzoni, sparisce misteriosamente): se  il fade out va a certificare che i brani sono stati selezionati fra i migliori eseguiti in più date (due per l’esattezza), il pubblico che si materializza nei momenti giusti fa pensare che anche questo aspetto sia artefatto. Aggiungiamo infine la presenza abbondante di tastiere non suonate da un musicista presente sul palco, ma inserite direttamente da mixer. Niente di grave, in definitiva: “Lucifer over Athens” è un bel live finto come si fanno oggi i live, non ci scandalizziamo di certo. La scaletta rimane ottima (anche se avrei personalmente dato una sforbiciatina qua e là – in effetti trentuno pezzi sono davvero tanti!) e l’ascolto procede per più di due ore scorrevole ed orecchiabile.

Insomma, al di là dei difettucci sopra indicati, “Lucifer over Athens” è un’opera imponente che consiglio caldamente a chi, come me, ha deciso di conoscere troppo tardi le gesta di questa band imprescindibile per il metal estremo.

Buona scoperta.