25 set 2015

SKID ROW: LO ZENITH PRIMA DEL CROLLO...



I 10 MIGLIORI ALBUM GLAM METAL

CAPITOLO 10: “SKID ROW” (24/01/1989)

Perth Amboy è una tipica cittadina di provincia degli States. 50.000 abitanti circa, affacciata sull’Atlantico, segna lo spartiacque tra New Jersey e lo stato (e la città) di New York, che con la sua Staten Island è lì di fronte, a poche centinaia di metri. Vi si possono ritrovare le classiche strade lunghe e diritte, con ai lati le villette monofamiliari dotate di pratino sul davanti e l’immancabile bandiera a stelle e strisce che sventola alla finestra.

A cura di Morningrise

A Perth Amboy nella prima metà degli anni sessanta nascono, a meno di due anni di distanza, John e David. Vivono nella stessa via, sono compagni di scuola, sono amici, entrambi con una grande passione per la musica. Gioco forza John e David cominciano a suonare assieme. 
Ma non per molto perché sebbene i due avessero una formazione musicale comune (passione smisurata per Kiss, Aerosmith, Rolling Stones, Van Halen) le idee artistiche da sviluppare per il futuro divergevano. John voleva seguire la strada del Glam/Hair Metal, mentre David era maggiormente incline a sviluppare musica più dura, essendo anche un fan sfegatato di Judas Priest e Black Sabbath.
Così ognuno per la sua strada: John, che di cognome faceva Bonjovi, si tolse la “h” dal nome e formò il gruppo omonimo, i Bon Jovi, e abbiamo visto con che risultati.

Invece David, Sabo di cognome (“The Snake” per gli amici), imbarcò altri due ragazzi, il bassista Rachel Bolan e un altro chitarrista, Scotti Hill, e formò gli Skid Row. E anch’essi non se la cavarono niente male…

Premessa/Avvertenza per i lettori: “Skid Row” NON è il mio album preferito degli SR. E’ un album eccellente, assolutamente, sennò non sarebbe nella nostra lista. Ma l’apice artistico di Sabo&co, quello che per il sottoscritto è il loro vero capolavoro, verrà licenziato “solo” nel 1991 e sarà quello “Slave To The Grind” che li consacrerà come una dei maggiori act in campo heavy made in U.S.A. (tanto da debuttare con questa release al primo posto di Billboard), portandoli a suonare in giro per il mondo intero e ad aprire concerti addirittura per i Pantera!

Ma allora, ci si potrebbe chiedere, perché nella nostra lista non c’è “Slave To The Grind”?? Beh, per due motivi: 1- mi sono “auto-impiccato” alla mia scelta metodologica esposta nell’ Anteprima, cioè quella di trattare solo dischi Glam Metal americani durante l’Era Reaganiana. 
Ebbene, il secondo mandato di Ronald Reagan si concluse il 20 gennaio del 1989; quattro giorni più tardi usciva “Skid Row”…capite come non mi sia potuto esimere dall’inserire questo disco come finale della nostra Rassegna! 2- “Slave To The Grind” NON è un album Glam. “Skid Row” si. Come ho specificato nel precedente post sugli L.A. Guns, gli SR partendo con il debut album da stilemi glam, per quanto rimaneggiati e portati su binari heavy, traghettarono il genere con il loro secondo full-lenght in campo heavy metal tout court.
Ovviamente gli Skid Row anche in STTG non si misero a suonare death metal…questo va da sé, ma l’indurimento del sound, rispetto al disco omonimo oggetto del nostro post, fu evidente, così come una qualità di scrittura che, se già dagli esordi molto elevata, grazie al lavoro enorme di Sabo e Bolan crebbe ancor più.

Se poi, ad una personalità e ad una padronanza strumentale da far invidia, aggiungiamo colui che fu scelto come singer…allora si potrà capire il motivo del raggiungimento rapido del successo del combo del New Jersey! 
Infatti il frontman della band, dopo varie ed estenuanti ricerche, venne individuato in un ragazzone appena ventenne di 191 cm, nato alle Bahamas ma di origine canadese, lungo capello biondo, volto angelico quasi effeminato, che di nome fa Sebastian, di cognome Bierk e che, forse con una certa supponenza, ma anche con una buona dose di coraggio, decise di auto-rinominarsi nientepopodimenoche Bach (chissà se il buon Johann Sebastian si sarà rigirato nella tomba…)! Pochi cazzi: Bach per me è il più grande cantante glam della decade. Non il migliore tecnicamente forse, ma di certo il più completo. Grande estensione vocale, presenza scenica pazzesca, carisma massimo, divenne in tempo-zero l’idolo di frotte di ragazzine per la carica sessuale che riusciva a sprigionare sul palco. La sua voce timbrava a fuoco ogni pezzo, modulando l’ugola a seconda degli umori del sound, riuscendo ad essere maledettamente efficace sia nelle parti più dure e graffianti che in quelle più melodiche e dolci. Sebastian fu il passepartout degli SR per il successo, ad ogni modo strameritato per la qualità della proposta musicale…

Ma torniamo al 1989: la copertina del disco ci accoglie in modo totalmente programmatico. La skid row infatti, locuzione intraducibile in italiano, è quella parte fatiscente delle città moderne frequentata da ladri, vagabondi, alcoolizzati e drogati. E infatti le cinque silhouttes dei membri della band, in un atteggiamento tra il depresso e lo sballato, sono immortalate nel bianco e nero della copertina; figure scarsamente riconoscibili e che a malapena si stagliano sul triste sfondo di uno squallido muro urbano. Il nome della band campeggia a caratteri cubitali rosso-sangue. 
Ciò a cui rimandano tutti questi elementi, in modo chiaro e inequivocabile, è lo street/sleaze nato negli anni immediatamente precedenti (e che abbiamo visto essere stato portato alla ribalta commerciale da Gn'R e L.A. Guns). Ma il cocktail degli SR va ben oltre le band di riferimento del sottogenere che abbiamo conosciuto. Dei Gn'R hanno la presenza, questo sì, ma le bordate che fuoriescono dal platter rimandano più alla verve dei Motley Crue riveduti e corretti in chiave metallica; mentre le melodie, di cui comunque il gruppo fa largo uso, ricordano i “cugini” Bon Jovi.
Ma gli SR risplendono di vita propria e tutte le influenze succitate sono elaborate e riproposte in modo originale, con quella rabbia ed aggressività tipicamente street e quella personalissima predisposizione heavy che trasuda dalla scrittura di Sabo.

E questo è esemplificato in maniera plastica già dall’ottima opener “Big Guns”, un mid tempo arcigno, aspro, con chitarre taglienti e la corposa voce di Bach a condurci verso un ritornello memorabile cantato in coro; un antipasto che mette già in chiaro le cose e che introduce la splendida “Sweet Little Sister”, una canzone sinuosa e trascinante e che si rivelerà uno dei pezzi migliori del lotto.
Ma inutile girarci attorno: le fortune di “Skid Row” la fecero i singoli estratti. In primis “Youth Gone Wild”, brano immortale che mette al centro il tema del ribellismo delle giovani generazioni delle periferie suburbane, trattato però con quella serietà street che segnava, come abbiamo visto, un distacco con la scanzonatezza tipicamente glam.
E poi “18 and Life”, una delle metal ballad più famose di sempre, dal testo emozionante e tragico (“He fired his six-shots to the wind – that child blew a child away”), dal feeling unico, dove il tòpos sleaze del disagio giovanile trova il suo tragico climax emotivo.

Poi, tra brani più easy listening e spostati sul versante hard rock (“Can’t stand on a heartache”, “Here I am”) e buoni pezzi di contorno dalla forte carica sleaze metal come “Piece of me”, “Rattlesnake shake”, “Makin’ a mess” (ad ogni modo lungi dall’essere dei filler), si arriva alla magica accoppiata finale del disco che è forse l’emblema di quello che hanno simboleggiato gli SR nel 1989 e del perché, alla resa dei conti, li abbiamo scelti come gruppo di chiusura della nostra Retrospettiva.

Il primo è “I Remember You”, la classica ballatona strappalacrime, canzone fatta su misura per rubare i cuori delle masse di fanciulle che ascoltavano glam negli anni ottanta, che risponde perfettamente ai canoni del genere e in cui Bach raggiunge vette altissime con la voce, dimostrando una preparazione tecnica invidiabile.
Con questa canzone gli SR sottolineavano il collegamento col passato, le loro radici glam, l’adesione agli stilemi classici che hanno fatto la fortuna della Scena.

Il secondo pezzo, che è anche quello di chiusura del disco, è invece quella bomba che risponde al nome di “Midnight/Tornado” il pezzo più heavy del lotto, con un flavour maideniano notevole. Un brano che, all’opposto di quello che lo precede in scaletta, segnò la rotta per il futuro e la direzione evolutiva della band; evoluzione personale che li porterà fuori dal genere stesso e che verrà consacrata nel capolavoro succitato di due anni dopo…

E qui, con questo rimando all’11/06/1991 (giorno in cui venne pubblicato “Slave To The Grind”), ci fermiamo; anche perchè possiamo considerare tale riferimento come la migliore chiusura artistica, lo zenith di un’intera Scena, quella Glam Metal, che di lì ad appena due mesi sarebbe stata travolta da un uno-due mortale, da immediato K.O. Un’accoppiata di album che, tra l’agosto e il settembre del 1991, avrebbe sotterrato non solo il Glam Metal nella sua interezza, ma avrebbe rivoluzionato l’intero panorama musicale mondiale.


E proprio questi due album saranno al centro del nostro prossimo ed ultimo post a tema Glam, quello delle Conclusioni…