9 gen 2016

IL METAL È MORTO!




Il metal è morto. E non spettatevi alla fine di questo articolo le solite frasi del tipo “Evviva il metal!”.

La visione dello stato in cui versa oggi il nostro genere musicale preferito oscilla paurosamente fra posizioni estremamente ottimiste ed altre estremamente pessimiste: dipende dal punto di vista che si assume per analizzare la faccenda. Sarà perché oggi ho un mal di denti che mi fa bestemmiare in turco, ma mi sento di propendere per le frasi lapidarie: il metal è morto.

Tre sono i fatti, accorsi in rapida successione nei giorni scorsi, che mi hanno portato a queste drastiche conclusioni. Partiamo intanto dai primi due: il decesso di Lemmy e la lettura della nostra classifica dei migliori album del 2015.

Di Lemmy si è già parlato (qui, qui e qui) e mi sembra inutile tornarci sopra. Certo però un pensiero banale ma perentorio sorge spontaneo: i grandi dinosauri non sono immortali e un giorno, neppure troppo lontano, ci lasceranno. Qualcuno è già morto, tutti gli altri seguiranno. Inesorabilmente. Iommi si tocca le palle, ma tutti hanno pensato a lui, ai suoi problemi di salute, al tour d’addio dei Black Sabbath che si consumerà nei prossimi mesi. Auguro altri cento anni di vita gloriosa a Tony, ma non ci possiamo francamente aspettare più niente da lui. Il futuro del metal deve passare altrove, i Black Sabbath hanno fatto la storia, ma hanno oggi il diritto di andare in pensione.

Ma chi raccoglierà il testimone? Gli headliner dei festival continuano ad essere i soliti nomi: Iron Maiden, Judas Priest, Manowar, Metallica, Slayer ecc. Negli ultimi anni si è assistito anche al fenomeno delle reunion, che a livello discografico hanno portato poco o nulla. Bello vedere quei grandi artisti in concerto, ma il futuro del metal non può e non deve passare da parrucconi sessantenni con il trucco che sgocciola mentre si affannano sul palco.

E’ un tema che abbiamo già toccato quando abbiamo parlato del Nuovo Metal e che in questi giorni ho visto trattare da un interessante speciale di Tommaso Dainese su Metallus: “Addio a Motley Crue, Motorhead e Black Sabbath. E poi? Una riflessione sul futuro del metal”. Molti sono gli spunti, ma una è la conclusione: non c’è stato un ricambio generazionale, non c’è stato passaggio di testimone, non è emersa una nuova generazione di band ed artisti capaci di bissare la magia degli anni ottanta e, volendo, anche dei novanta.

Sì è visto che il discorso, prima ancora di essere artistico, è culturale. Fisiologicamente il metal doveva cambiare, con la società, con il mondo, che non sono più gli stessi di quaranta/trenta anni fa. E meno male! E’ caduto l’Impero Romano, non ci scandalizziamo se non vi sono più cantanti carismatici, ritornelli anthemici, hit e classici da riascoltare dal vivo all’infinito e per l’Eternità. Ci sta bene che il metal sia cambiato, che si sia fatto contaminare dal prog, dal post-rock, dall’elettronica, dall’avanguardia, ci sta bene tutto. Quello che desta la mia preoccupazione è che anche questi sviluppi appartengono oramai al passato. Gli anni trascorrono velocemente per chi è della vecchia guardia e la gente, invecchiando, non sembra accorgersene, ma la situazione stagnante in cui versa il metal sta perdurando da diversi anni. Troppi.

C’è chi invoca ancora i Tool, ma cazzo: sono dieci anni che non pubblicano niente, non può passare da loro il futuro del metal. La gente ce l’ha ancora con il nu-metal, ma cazzo, gente: è un filone che è nato, che si sviluppato e che si è esaurito nell’arco di pochi anni, fra la seconda metà degli anni novanta e i primissimi anni del nuovo millennio, in pratica quindici anni fa! C’è chi dice che il metal è immortale perché è sopravvissuto al grunge: ma porca miseria, negli anni del grunge il metal ha dimostrato una vitalità che oggi ci sogniamo. Il 1991 era l’anno di “Nevermind” e “Ten”? Ecco come rispondeva il metal: “Streets: A Rock Opera” (Savatage), “Parallels” (Fates Warning), “Arise” (Sepultura), “Human” (Death), “Blessed Are the Sick” (Morbid Angel), “Necroticism” (Carcass), “Gothic” (Paradise Lost), “Forest of Equilibrium” (Cathedral) e buttiamoci dentro anche “Use you Illusions” tomo primo e secondo dei Guns n’ Roses e il Black Album dei Merdallica! E ci credo che il metal è sopravvissuto!

Ma se allora i Tool inventavano musica “nuova” venti anni fa, se il Nu Metal risale oramai a tre lustri fa, cosa cazzo è successo nell’ultimo quinquennio? Chi ha assunto il ruolo di guida? Chi è stato il nemico supremo contro cui raccogliersi compatti?

Nella rassegna sul Nuovo Metal abbiamo provato ad inanellare una serie di artisti che hanno incarnato il Cambiamento. I Neurosis, gli Isis: io me la ricordo l’aura di istant classic che si portavano appresso uscite come “A Sun That Never Sets” e “Panopticon”, lavori che sapevano aggregare immediatamente consensi, che in modalità crescente sapevano calamitarne ulteriori come se si fosse diffusa un’epidemia. Lavori che oggi, a distanza di anni, hanno assunto lo status di vere pietre miliari. Album che rimarranno. 

Ma anche il post-hardcore e il post-metal sono generi superati: appartengono già al passato. Cosa rimarrà di questi anni? Chi ha portato suoni nuovi, freschi, rivoluzionari? Ma soprattutto: chi è stato in grado di aggregare consensi? Ricordiamoci che nel solido mondo delle gerarchie e dei valori del metal, l’unanimità di giudizio non è mai stato un obiettivo irraggiungibile. Potevano anche non piacere i Pantera, tanto per fare un esempio, ma nessuno nel 1992 poté ignorare la forza d’urto di un “Vulgar Display of Power”, che di fatto cambiò il volto del thrash e del metal in generale. Chi oggi è portatore di cotanta freschezza? Io lo dicevo a Lost in Moments: “Non esce un cazzo quest’anno, non sta uscendo un cazzo!”, e lui che mi dice: “Sta uscendo tutto!”

Arriviamo dunque al secondo elemento: la nostra classifica dei migliori dieci album del 2015. Ammettiamo anche che il miglior album metal dello scorso anno sia stato l’ultimo dei Blind Guardian: ok, sicuramente un lavoro ispirato, suonato bene e confezionato professionalmente, con l’orchestra e quello che volete, ma si parla pur sempre di una band che ha pubblicato i suoi capolavori nel corso degli anni novanta e che negli ultimi quindici anni ha rilasciato onestissimi album riproponendo, in modo più o meno ispirato, la medesima formula. Per quanto splendido sia “Beyond the Red Mirror”, ma davvero il futuro del metal può passare da lì?

Il secondo posto se lo sono aggiudicati i Napalm Death: ok, eterno rispetto ai pionieri del grindcore, professionisti impeccabili da trent’anni a questa parte. Però mi chiedo (io che ho adorato anche gli album dell’ultimo corso, quelli a partire da “Enemy of the Music Business”): ma cosa potranno mai aver fatto di così fenomenale e sconvolgente i Napalm Death nel 2015?

Il resto della classifica è composto principalmente da band che hanno per lo più già vissuto il loro periodo d’oro e che oggi si difendono più che bene: del resto la classe non è acqua e noi non siamo certo dei rottamatori, né ci scandalizziamo se i Paradise Lost, dopo varie peripezie, sono tornati a suonare doom-death. Forse fra tutti, il nome che più mi incuriosisce è Lande, capace di guadagnare consensi un po’ ovunque. Ma può un album di hard rock ed heavy metal di stampo classico, peraltro basato sulla storia di “Dracula” (ma ancora si parla di Dracula????), costituire il futuro del metal?

L’articolo di Dainese butta lì due nomi, scelti non tanto per meriti artistici, ma per la loro qualità di agenti aggregatori: Slipknot ed Alter Bridge. Band entrambe valide, ma nel primo caso si parla di ragazzi che il boom l’hanno fatto quindici anni orsono (oggi continueranno ad avere un grosso seguito, ma non mi pare che si siano fatti capofila di grandi fratture/mutamenti nel metal degli ultimi anni); quanto agli Alter Bridge, si parla sicuramente di un fenomeno più recente, ma in tutta sincerità non penso che Tremonti e soci saranno in grado di prendere domani il posto che era di Iron Maiden e Judas Priest! E’ come dire che Chiellini è un buon giocatore: un’affermazione che perde un po’ di forza nel momento in cui si ripensa a Baresi e Maldini.  

Anni fa, in treno, fui testimone di una interessante chiacchierata fra due giovanissimi appassionati di musica, che nell’arco del medesimo discorso seppero citare un miliardo di gruppi fra cui Rhapsody, The Doors e Bob Marley: tanto di cappello per l’ampiezza di vedute, evidentemente internet, la pratica del download e la possibilità di condividere continuamente informazioni hanno generato nuove leve aperte di mente come mai lo sono state quelle precedenti. Ma evidentemente queste nuove energie, viaggiando sulla superficie del vasto mare della musica, non hanno saputo addentrarvisi nelle sue profondità e raggiungere gli abissi, per poi riemergere con delle idee nuove. 

Tornando ai nostri bilanci di fine anno, per certi versi dicevamo il vero sostenendo che nel metal oggi è possibile trovare buoni prodotti in tutti i reparti, che il metal è maturo e consapevole di sé stesso e che molti gruppi che hanno vissuto fasi d’incertezza (Paradise Lost, Moonspell, gli stessi Blind Guardian) hanno ritrovato finalmente quella sicurezza che ha permesso loro di realizzarsi e di vivere una seconda giovinezza, senza temere più critiche né giudizi.

Però emerge anche un dato inquietante: se tutti più o meno sono oggi in grado di sfornare buoni lavori, se il range fra il meglio e il peggio è delimitato in alto da un buon album più buono del solito (vedi l’ultimo dei Blind Guardian, che si è meritato il primo posto) e in basso da un buon album meno buono del solito (vedi i My Dying Bride, indicati fra i flop, ma trattati con indulgenza) allora l’unica conclusione possibile è la seguente: la formula è replicabile, quasi automatizzata, gli album vengono fatti con lo stampino e se il mestiere domina, non c’è più bisogno di rischiare. Micropassi in avanti ed indietro fatti da musicisti dotati tecnicamente e che una vera cagata non potranno mai fare (a parte i Megadeth, ovviamente): questo sembra essere il desolante presente del metal. A vedere il bicchiere mezzo pieno, ci si potrebbe anche stare. Ma qualche preoccupazione insorge.

Inizialmente avevamo però parlato di tre fatti: Lemmy, classifica 2015 ed un terzo ancora da sviscerare: la visione del film “Star Wars: Il Risveglio della Forza”. Ma per questo però sarà necessaria una trattazione a parte…