10 gen 2016

"STAR WARS" E LA MORTE DEL METAL (opinabile continuazione de "IL METAL E' MORTO!")




Il metal è morto, si diceva. Ce ne siamo accorti quasi per caso, apprendendo della scomparsa di Lemmy, facendo un bilancio dell’anno appena trascorso ed andando, pochi giorni dopo, a vedere l’ultimo episodio della saga “Star Wars”: “Il Risveglio della Forza”.

Questa non è una recensione del film, ma vi saranno degli SPOILER, pertanto chi non l’ha visto per oggi è dispensato dalla lettura di Metal Mirror (andate in pace ed ascoltatevi pure la discografia intera di Gigi D’Alessio).

Non siamo degli appassionati di “Star Wars” e se siamo andati a vedere l’ultimo episodio della saga è un po’ per noia e un po’ per curiosità. L’uscita dell’Episodio VII è, volenti o nolenti, l’evento cinematografico dell’anno, per lo meno mediaticamente parlando. Forse al cinema c’eravamo solo per poterne parlare, magari per poter criticare, ma mentiremmo se dicessimo che ci siamo andati mal volentieri: siamo cresciuti con la prima trilogia, abbiamo sopportato la seconda, siamo abbastanza disillusi per iniziare a guardare la terza.

Il film è scorrevole, non annoia, ha ritmo e punta tutto sull’effetto nostalgia. A prescindere dalle scelte effettuate per la sua realizzazione, l’esito sarebbe stato comunque lo stesso: un successo stratosferico ai botteghini. E così è stato.

Ma gli aspetti economici non ci interessano. Saremo forse ingenui, ma quello che ci chiediamo è: visto che si era consapevoli che l’operazione sarebbe stata votata inevitabilmente al successo, con tutte le risorse che si hanno avuto a disposizione, e con l’ambizione di andare a confrontarsi con il Mito, non era proprio possibile fare le cose leggermente meglio? Tipo scegliere attori credibili o scrivere dialoghi dignitosi? E dire che non siamo ragazzi pretenziosi: ci saremmo accontentati di una sceneggiatura votata all’autocelebrazione più bieca, che desse enfasi alle vicende, che disseminasse la pellicola di scene madri, momenti topici con la solo finalità di sfruttare il Mito fino in fondo e lavorare sulla sfera delle emozioni.

È il tocco Disney a disturbare, un tocco di plastica che forza un classico della fantascienza popolare nella direzione di un cartoon buonista per famiglie. Gli attori scelti sono semplicemente impresentabili, sembrano uscire dagli scarti dei casting dei programmi di Disney Channel. Dio benedica Harrison Ford, che peraltro non mi ha mai fatto impazzire, Mark Hammill, attore mediocre che a parte “Star Wars” ha fatto poco o nulla nella vita, e Max Von Sydow, un grandissimo ma che compare per il tempo di una scoreggia (mentre un velo pietoso va steso sull’interpretazione di Carrie Fisher, la cui recitazione non è stata sicuramente aiutata dai decenni di alcool, psicofarmaci e depressione che si porta sulle spalle). Ma al di là degli attori, sono proprio i personaggi ad essere insipidi: se l’idea era quella di creare i presupposti per una nuova trilogia (aspettiamo di vedere gli sviluppi), al momento l’obiettivo pare decisamente mancato.

La nuova generazione non fa altro che imitare quella vecchia. Si è tacciato l’episodio VII di non essere altro che un remake del IV (reboot dicono oggi), il primo in ordine cronologico, nonché il più amato da tutti (e il meglio riuscito, potremmo aggiungere!). E in effetti molte sono le somiglianze, fra cui spicca l’idea di un team di personaggi “improvvisati” e apparentemente male assortiti che, dopo un periodo di formazione, si ritrovano riuniti per combattere le forze del Male. L’eroina Rey (Daisy Ridley) tutto sommato ci può anche stare, e pure il robbottino BB-8 (adorabile e disneyano fino al vomito). Non sta a ragione, invece, aver reclutato gli insulsi John Boyega (improbabile stormtrooper pentito) e Oscar Isaac (insopportabile pilota della Resistenza ): uno di colore, l’altro latino-americano (come a voler rimarcare la via ostentata del “politicamente corretto”), a costoro manca indubbiamente il physique du role per poter stare anche solo accanto a Han Solo e Chewbecca nella medesima inquadratura.

In particolare nella definizione del nuovo “antagonista”, tale Kylo Ren, copia sbiadita del mitico Darth Vader, si poteva fare meglio, molto meglio. Punto primo: ma chi cazzo avete scelto come attore? Volto più insulso e sgradevole non poteva essere scelto, Vinicio Capossela faceva sicuramente una figura migliore. Mi chiedo quali agganci abbia avuto il giovane Adam Driver, con all’attivo una risicata filmografia, per potersi aggiudicare una parte così importante. Punto secondo: posso capire il percorso di definizione identitaria (la venerazione del nonno Vader, la lotta incessante fra forze del Bene e del Male, il bipolarismo che ne consegue), ma Kylo Ren ha veramente zero carisma. Cazzo: eri il più promettente degli allievi Jedi e prendi le mazzate da una tipa che ha preso una spada laser in mano per la prima volta quindici minuti prima? Punto terzo: Darth  Vader aveva bisogno di maschera ed armatura in quanto tagliuzzato a fette ed ustionato per benino, ma se Kylo Ren è perfettamente integro nel fisico (ma non nella psiche, evidentemente) che bisogno c’era della maschera (fra l’altro molto simile a quella del suo inarrivabile predecessore) se non per un insano spirito di emulazione? 

Ricordiamo che nella scorsa trilogia, che già non ci aveva entusiasmato, almeno c’era stato il tentativo di dare corpo ai personaggi con degli attori scafati come Liam NeesonNatalie Portman ed Ewan McGregor: poi magari non ci sono piaciuti nemmeno loro, ma almeno c’era stata la buona volontà. E’ come se nel passaggio fra generazioni si sia perso qualcosa: oggi abbiamo effetti speciali, mega-produzioni, ma non abbiamo le emozioni, che paradossalmente riescono a dare i volti segnati dall’età di Harrison Ford e Mark Hammill (come già detto non proprio degli attori eccelsi). Ed infatti due sono stati i momenti in cui mi sono emozionato: la morte (peraltro prevedibilissima) di Han Solo (comunque un momentaccio non indifferente) e l’apparizione a due secondi dalla fine di uno stoico ed invecchiato Luke Skywalker, nel saio e nel volto di un Mark Hammill con tanto di rughe e barba da asceta. Come a dire: the old school rules!

Ma cosa c’azzecca tutto questo con il metal? Apparentemente nulla, ma sono troppi i parallelismi con quello che si diceva nel post precedente per ignorarli. Ma attenzione: non vogliamo gettare una similitudine fra le varie trilogie di Guerre Stellari e l’evoluzione/involuzione del metallo nella sua quarantennale storia. No, non vogliamo favorire impulsi nostalgici e gridare: “Evviva gli antichi tempi gloriosi, che schifo oggi!”, oppure: “Si stava meglio quando si stava peggio!”.

Sostenendo che il metal è morto (o che rischia seriamente di morire), abbiamo raccontato come in verità il cambiamento sia sempre stato salutare per il genere e per i suoi sviluppi. L’esito disastroso (artistico ed emotivo) della prosecuzione della saga di “Star Wars”, ci può invece servire da monito, affinché il metal non faccia la stessa triste fine.

I produttori del nuovo episodio si sono trovati innanzi ad un bivio. C’era la via più ambiziosa, ma anche più coraggiosa: provare a costruire qualcosa di nuovo che sprigionasse nuove forze creative che agissero nel rispetto di un illustre passato. Oppure la via meno rischiosa: copiare pedissequamente il passato. Indovinate un po’ qual è stata la loro scelta?

Lo stesso bivio si presenta oggi al metal, che ha la possibilità di evolversi, come di rimanere saldo e fieramente imprigionato nei suoi sempiterni cliché, non capendo che il passato va visto come un patrimonio e non come uno scomodo rivale. Dare un seguito al Mito può essere un’opportunità ed un ostacolo al tempo stesso. Il vantaggio principale di una situazione del genere è che non si viene dal nulla, bensì si dispone di un prezioso bagaglio esperienziale che diviene base di partenza e lettera di referenze che ci accredita verso il prossimo. Lo svantaggio sta invece in un nefasto confronto con un passato irraggiungibile e probabilmente insuperabile, se ovviamente si decide di emulare e non creare qualcosa di personale.

Nel loro percorso di emancipazione, le giovani leve del metallo avrebbero la via spianata per fare grandi cose. Di contro, nel continuare a crogiolarsi nel loro bacino di sicurezze, esse non potranno di sicuro portarsi al di sopra, ma nemmeno al pari, degli standard originari. Infarcire il tutto di mega-produzioni, effetti speciali (leggasi: orchestre, cori ecc.), od affidarsi esclusivamente alla tecnica ed al mestiere, a poco serve di fronte alle mirabolanti energie creative che il metal ha mostrato ai suoi albori. Pochi mezzi, tanto cuore, potremmo concludere!

Entrambi, “Star Wars” e Metal, hanno almeno fino ad oggi il loro pubblico garantito, a prescindere dalla qualità di quello che avranno da offrire. Sul primo versante, con la prevedibile logica della comodità e dell’incasso sicuro, riavremo certamente una nuova trilogia di Guerre Stellari che non sarà altro che una minestrina riscaldata. Spero che il metal conservi in sé ancora qualche energia vitale e l’orgoglio per ribellarsi ad un simile destino.

Che la Forza sia con lui…