26 lug 2016

RECENSIONE: IHSAHN - "ARKTIS."


Lo abbiamo trattato più volte, Ihsahn; ne abbiamo decantato le gesta. Lo abbiamo addirittura definito, con una frase tra il serio e il faceto, come uno dei pochi artisti metal contemporanei che ha a cuore il futuro della nostra musica preferita.

E’ uscito da pochi mesi la sua ultima fatica. Come, date queste premesse, non parlarne?

A cura di Morningrise

Mi prendo questa responsabilità. E ammetto che non è facile scriverne, dopo che già l’album è stato sviscerato in rete da tutti i siti specializzati. I commenti, pur nelle lievi differenze, sono unanimi nell’osannare anche “Arktis.”, con voti sempre molto alti, dall’”8,5” in su.

Sto ascoltando il disco da diverse settimane e sono dubbioso, indeciso. Non dico deluso ma neppure soddisfatto appieno. Mi chiedo se, con ogni probabilità, ero abituato “troppo bene”.

Come primo impatto quello che mi è venuto superficialmente da pensare è che, dopo le divagazioni sperimentali e avanguardistiche dell’ottimo “Das Seelenbrechen”, il Nostro abbia voluto un attimino chetarsi, smettere di girovagare come un astronauta senza meta nella Galassia della sperimentazione sonora, per tirare il fiato; guardarsi un attimo indietro e raccogliere, sistematizzandole, tutte le “cose” fatte sinora.

Il primo risultato di ciò sembra essere il riappropriarsi del formato canzone. Cosa che salta subito alle orecchie con l’uno-due iniziale: “Disassembled” è un’ottima opener, di impatto, che richiama le grandi opening songs degli album precedenti. C’è l’alternanza di grow and clean, di parti tirate (con un rifferrama potente ed estremo), e rallentamenti leggiadri guidati dalle tastiere. Tutto funziona, funziona bene. Ma…boh, è un pezzo forse troppo “classico” per lui.

Però mi dico dai, cominciamo bene. Non un capolavoro ma ce ne fossero di incipit così

Ma poi: “Mass darkness”, solo-riff iniziale ultramelodico, carino si, ma quanto “già sentito”?! Hmmm…i dubbi crescono, visto che il resto della song non convince mai appieno, tra un chorus da power tedesco e un bridge che ricorda fortemente i Children of Bodom (sic)! Carina, ma nulla più.

Che però un album di Ihsahn non possa per statuto essere banale lo vediamo già con “My heart is in the North”, un ottimo mid-tempo metallico che presenta quello che per chi scrive è il momento top del disco: lo stacco al minuto 2 e 50”, dove il nostro interrompe il mood nordico e potente della canzone con delle leggiadre note di piano e un cantato soave, dolce e toccante.
Sembra quasi un avvertimento buttato lì, e confermato già dalla successiva “South winds” nella quale ritroviamo l’Ihsahn estremo sperimentatore che avevamo tanto apprezzato nei due dischi precedenti. Un beat elettronico, sintetico, fa da sottofondo al rantolio della voce, doppiata e filtrata, di una malignità inaudita, con un accumulo di tensione che sfocia poi nel chorus, con clean vocals e partitura ariosa. Ottimo pezzo, stavolta sì, ma anche qui…qualcosa sembra mancare, lo scatto di reni, quella linea melodica che ti sorprende, che ti fa rimanere a bocca aperta. Insomma, il motivo per cui lo abbiamo amato fino ad oggi.

E’ un inizio, comunque. Forse la svolta del disco che stavamo agognando e che temevamo non arrivare. Ma purtroppo, già con la successiva “In the vaults” torniamo a una buona mediocrità (scusate l’ossimoro) che non è quello che ci si aspetta. Perché sappiamo che ci si può aspettare molto, ma molto meglio. L’inizio poi di “Until I too dissolve” sembra quello di un album qualsiasi di power metal, manco l’avessero scritto i Primal Fear (detto con tutto rispetto, per carità) e il prosieguo del pezzo non risolleva l’impressione iniziale. Anche il giochetto strofa in growl / chorus in clean sembra trasmesso col pilota automatico, senza cuore e, quindi, senza convinzione.
Giunti alla settima traccia (la carina-ma-nulla-più “Pressure”), signori, devo dire che sono davvero intristito. Tutto bello, ben composto, ben suonato. Ma anche a tratti noiosetto. Un aggettivo che mai avevo accostato alla musica di Ihsahn.

Però vado avanti: è la volta di “Frail”, che risolleva le sorti del platter grazie a una scrittura finalmente ispirata e con ottime soluzioni, anche elettroniche, che vanno a pescare dal serbatoio di sperimentazioni provate nel passato. Ne sono felice ma stavolta, a differenza di quanto provato con “South winds”, non mi illudo…ma poi, invece…senti senti…siamo quasi alla fine e cosa entra in gioco…siiii, quel suono magico del sax di Jorgen Munkeby!! Aaahh, quanto godo!! Eccolo dov’era, dove si era nascosto!! Non poteva mancare dai! Ora si che ti riconosco, mio amato Ihsahn! Non potevi aver cancellato un intero lustro di sperimentazioni! “Crooked red line” non è ancora una top-song, per quanto molto-ma-molto-bella, ma ci riavvicina ad “Arktis.”, ce lo fa voler bene! 
Aspettando, questa volta sì non traditi, la riconciliazione definitiva che arriva con l’ultima splendida “Celestial violence” in cui il Sig. Tveitan torna a sprigionare la sua Arte in tutta la sua magniloquenza, mettendoci dentro inventiva, tecnica, qualità nel songwriting e, soprattutto, un gran cuore (coadiuvato alla voce dall’ottimo Einar Solberg, singer dei Leprous). Cinque minuti a livelli massimi che ci appagano nel profondo!

E allora, dopo questa top-song, capisco. E mi domando: è giusto pretendere che ad ogni uscita Ihsahn debba indicare una Nuova Via per il Metal? Debba spiazzare con composizioni avanguardistiche, sempre più sfuggenti e arzigogolate? E’ giusto pretendere sempre maggior genialità a un artista che ne ha dimostrata già così tanta, allietando le nostre orecchie da un decennio a questa parte? No, credo proprio di no…e arrivo a una conclusione: è come se Ihsahn, dopo essersi superato continuamente, dopo aver fatto sempre album meravigliosi diversi l’uno dall’altro, sperimentando e mischiando generi e sottogeneri, sia arrivato ad un limite, “Das Seelenbrechen” appunto. E si sia detto: aspetta un attimo. Caspita dove sono arrivato! Quasi non mi oriento più…sai che faccio? Torno un attimo indietro e mi riposo. Mi metto comodo negli ambienti a me più famigliari. Li riassumo, li reintroietto. E cerco di sistematizzarli. Così, per mia tranquillità, per fare un bilancio di questi 40 anni di vita, più della metà passati a suonare.

E lo voglio mettere in chiaro: tutto questo ci sta, è naturale e legittimo. Non per forza di cose bisogna continuare a navigare negli spazi più estremi del mare metallico, sperimentando di continuo. Ci si può anche fermare un attimo, tornare un po’ alle origini. E Ihsahn l’ha fatto, e non in modo banale, ma centellinando qua e là tutto il portato delle sue esperienze musicali.
Vedo in definitiva "Arktis." come una fisiologica pausa di serenità, utile a Ihsahn a ritornare in futuro, col prossimo full-lenght, più geniale ed emozionale che mai. 

Mi raccomando Vegard…prenditi tutto il tempo che ti serve, eh? Non c’è fretta…nel frattempo io vado a inserire nel lettore “Eremita”…


Voto: 7,5

Canzone top: “Celestial violence”

Momento top: i 30” centrali di “My heart is of the North”

Canzone flop: “Until I too dissolve”

Etichetta: Candlelight

Anno: 2016

Dati: 10 canzoni, 48 minuti