29 ago 2016

SHORT STORIES: "WE ALL FALL" - STEVE VON TILL (la canzone che non ho scritto...)




Se c'è una canzone che ha risuonato nelle mie orecchie questa estate, essa è stata "We All Fall" di Steve Von Till.

Mi ero dimenticato di "As the Crow Flies", debutto "in solitaria" del leader dei Neurosis, edito nel 2000. Abbiamo già parlato di Von Till nella nostra rassegna sui migliori album non metal partoriti da artisti metal, andando a recensire "A Life Unto Itself", l'ultimo suo splendido parto discografico.

Ci siamo dimenticati del debutto di Von Till perché a partire dal secondo album "If I Should Fall in the Fields" è emersa una vena cantautoriale che ha nobilitato, in un certo senso, la sua musica. Fra i campi di grano della assolata campagna americana egli si perderà, galoppando errabondo fra i fantasmi di Johnny Cash e Townes Van Zandt, tingendo di epico country e struggente cantautorato le sue meste ballate folk.

Ci eravamo dimenticati di quanto egli fosse oscuro ed apocalittico nel suo album di debutto. Forse perché era ancora un grezzo e sporco terrorista sonico, e per abbandonare i lidi elettrici ed attraccare alle lande acustiche della sua carriera solista aveva ancora bisogno di sovraccaricare le note di un attitudine "dark" che lo avrebbe giustificato innanzi ai fan che lo riconoscevano per le catastrofi sonore promosse dai suoi Neurosis e che quindi non gli avrebbero perdonato un semplice disco country, come magari era nelle sue corde più intime. Un Von Till meno nobile, un po' artefatto (ma attenzione: il manierismo esiste anche nella direzione dei cliché del cantautorato), sicuramente più cupo e...apocalittico.

Si, perché c'è un fraintendimento che serpeggia fra molti di noi: tanta gente appena sente del folk ritratto in tonalità scure pensa di avere a che fare con il folk apocalittico, genere a sé stante, con delle caratteristiche stilistiche particolari, che abbiamo avuto modo di approfondire in una rubrica apposita. Eppure in questo primo album, Von Till, in diversi frangenti, sembra essere davvero ispirato da certi esponenti del neo-folk europeo, Sol Invictus in primis: quegli stessi Sol Invictus tanto ammirati dagli americani Agalloch, tanto da dedicar loro una cover ("Kneel to the Cross").

Si è dunque creato un passaggio magico ed invisibile fra quegli artisti che cantavano della caduta della vecchia e gloriosa Europa, celebrando le culture pagane e la tradizione del folclore europeo, e le band di un'America egualmente in decadenza che riscopre se stessa nei miti e nelle leggende della propria storia: miti e leggende radicate nel terreno polveroso del deserto e delle praterie. Se dunque Von Till, fra un disco di blues del delta del Mississipi e uno di qualche folk-singer di Nashville, abbia di traverso ascoltato anche qualche opera dei Sol Invictus non è dato saperlo, ma le analogie intessute con la band di Tony Wakeford son diverse e significative (soprattutto laddove le sue scheletriche ballate vanno ad incontrare un violino o una voce femminile).

"We All Fall", con i suoi tre minuti e trentaquattro secondi di durata, è la più breve del lotto, ma è anche la più efficace, diretta. E quella che più delle altre rimane in mente, almeno per quanto mi riguarda.

In realtà sono anni che la canto senza sapere di cantarla. Il ritornello (quel Weeeee Aaaaaaall Faaaaaal ripetuto lentamente ed in maniera ossessiva) si era evidentemente aperto un varco nel mio retro-cranio, rimanendoci intrappolato sotto forma di formula magica da recitare senza più collegamenti con la canzone originaria. Tanto che pensavo di averla scritta io. Per questo è stata una grossa sorpresa risentirla l'altro giorno: vi è mai capitato di disseppellire dal passato un motivo musicale di cui non ricordavate la fonte di origine?

Era caldo ed avevo bisogno di ombra, ed "As the Crow Flies" era l'ideale per rinfrescarsi un po', per rilassarsi un po'. Ma "We All Fall" può essere recitata come un mantra durante ogni momento della giornata, d'inverno, d'estate, solo come sequela di suoni: iiiiiiiiiiiiAAAAAAOOOOOO, che scritto così sembra un coro da stadio ed invece sono tre sillabe, tre vocali prolungate che si fondono ed accavallano come in un coro sacro (almeno questa è la versione che mi si è sviluppata nel cervello).

Nella sua semplicità questo brano racchiude in sé una lacrima di Universale ("The Great in the Small" avrebbero detto i Current 93), un nucleo essenziale che forse appartiene ad ogni cuore di ogni uomo. E forse è per questo che pensavo di averla scritta io (io che non sono un musicista né tanto meno un artista).

Il testo non è fondamentale (sono andato a leggerlo: è la classica sequela di immagini poetiche che poco ci dicono in più rispetto a quanto evocato dalla musica). La mia versione personale di "We All Fall" (mi toccherà, a questo punto, cambiare qualche semitono per non dover fare la guerra con gli avvocati di Steve Von Till…) è dunque un brano che canto spesso ed in particolare in questa estate, che è stata molto faticosa per me.

La canto per la strada, fra la gente, la urlo quando passa un autobus o tiro lo sciacquone, la canto fra me e me come se fosse un esorcismo di mali che ignoro ma che sono fiutati dal mio inconscio.

"Noi tutti cadiamo...giù...giù...giù...", recitano gli ultimi versi del brano. Ma più che un'idea di profondità, il pezzo evoca una sensazione di continuità: noi cadiamo, in una lenta discesa precipitiamo (scusate l'ossimoro), tutti insieme. L'altra sensazione, oltre alla continuità (al moto discendente ed inesorabile), è quella dell'esperienza condivisa da cui nessuno si può sottrarre. Oggi ho avuto una promozione a lavoro, oppure sono riuscito a superare l’esame all’Università, ma cado comunque; la ragazza di cui sono segretamente innamorato oggi mi ha sorriso, ma ciò non arresta la mia caduta.

Non è dunque la condizione individuale ad essere qua raccontata, ma quella dell'Uomo in quanto tale. C'è forse un che di biblico (visto che ad un certo punto vengono menzionate le ceneri), ma anche di entropico: le cellule che non sono in grado di riprodursi prevarranno progressivamente su quelle che si rigenerano; ciò che cade si rompe e i cocci non tornano insieme. E’ un processo irreversibile. Ed invisibile, serpeggiante subdolamente nelle nostre viscere. Fino alla morte…

Noi cadiamo. Stiamo cadendo. Anche se ci sembra che tutto vada bene, anche se ci sembra che stia andando meglio, passeggiando serenamente con il nostro cane al guinzaglio, noi tutti cadiamo.