6 nov 2016

BLIND GUARDIAN - LA GRANDE ABBUFFATA



"La grande abbuffata" è un bizzarro e geniale film di Marco Ferreri che racconta il fine settimana di un gruppo di amici accomunati dalla passione per la cucina. I nostri indicono periodicamente un ritrovo per una sorta di gara culinaria e al contempo abbuffata collettiva, ma stavolta “è diverso”...perché non ci sarà ritorno. Uno a uno moriranno mangiando, facendo l'amore e perdendo poco alla volta la sensibilità al piacere, senza trovare via d'uscita. Come i Blind Guardian, che speriamo ne trovino una invece. Non posso fare a meno di associare i loro ultimi lavori, compresi quelli che considero pregevoli, ad una delle ultime scene del film.

Ad un certo punto, dopo la morte di due amici, gli altri continuano a abbuffarsi e uno guida la preparazione di un piatto complicatissimo e artistico: la riproduzione di una cupola in pasta frolla e guarnizioni varie, con il ripieno di carni varie e paté. Il momento è solenne: il piatto è servito in tutta la sua maestà e all'altro tocca l'onore del primo assaggio:
“Beh, che c'è che non va...?”
“Ugo, è una merda!” dice Noiret al costernato Tognazzi, che si incazza incredulo! 
“Noooo, ma che dici! Sei pazzo!”.

La copertina di “A night at the opera” ha un po' lo stesso spirito. Una folla eterogenea che assedia l'orchestra e quasi si mescola ad essa, una smania di inserire elementi, timbri, una perversione orchestrale che ha già segnato il destino di più di un progetto musicale, magari dopo un canto del cigno, un'apice compositivo che però preludeva alla confusione totale. Gli Emperor, talmente polifonici e impastati da somigliare ad un magma vulcanico amorfo. I Cradle of filth, che prima di ritrovarsi nel gotico ammaestrato si erano persi in un turbinio di chitarre a zanzara, stridori e bacchettate sottili, una specie di sciame che fuoriesce da un'arnia rovesciata da un temporale. E poi i Dimmu Borgir, spazzati via da un inserto di trombone, o ammazzati all'istante da una tastiera mixata troppo alta e ascesi al cielo senza nemmeno un saluto.

Perché a un certo punto nella foga di inserire tutto il possibile, è come se si creassero squadre di calcio di venti elementi e allora si comincia inevitabilmente a giocare a rugby, grandi mischie, ammucchiate. La ricetta musicale rischia di accostare talmente tanti sapori da venir fuori una merda, come nel film: tu inzuppi un dito, o meglio un orecchio, nell'ultimo brano dei Blind Guardian per poi alzare timidamente la testa verso le casse e balbettare in un dialogo immaginario con Kursch: “Hansi...è una merda”.

La cifra dei Blind Guardian è stata sempre la ricerca della dimensione orchestrale.
Nei primi due dischi si notavano come dei vuoti, perché l'idea c'era, ma l'orchestrazione mancava di elementi riempitivi, di quel collante che amalgama il suono e impedisce che ci siano vuoti d'aria, secche, interruzioni di flusso. C'erano già i cori, la ricerca della melodia in velocità, secondo la tradizione dello speed metal tedesco, e infine, da “Somewhere far beyond” in poi, la ricerca della complessità strutturale, insieme alla durata mediamente lunga e al contrappunto. 
Bach si confondeva con l'organo da solo, quindi la sfida dei Blind Guardian è ancora più estrema, comunque la formula cresce su se stessa e funziona. Si arriva ad “Imaginations from the other side”, un passo avanti nella definizione del suono, ma anche negli elementi usati. In “Nightfall..” addirittura gli intermezzi si espandono, anche gli elementi extra-orchestrali sembrano voler partecipare al banchetto musicale.
Tutto suona. La cosa comincia a essere inquietante, non stanno mai zitti, parlano in dieci, Hansi Kursch non mette ordine, non può entrare con una linea vocale che lo contrappuntano o lo affiancano in due almeno.

Sembra “Prova d'orchestra” di Fellini, ma al contrario. Lì il direttore fermava in continuazione perché aveva da ridire su qualsiasi cosa, qui va bene tutto, in alcuni momenti il limite tra l'ordine ideale, il “bianco” musicale che raccoglie armonicamente tutto e il caos totale, è labile.
Soprattutto si vive nel terrore che in questa complicata architettura di elementi musicali ad un certo punto il piatto esca scotto, che si superi il punto di cottura.

Forse questo inizia ad accadere da "A Night at the opera" in poi, cosicché ci si trova sì a compiacersi del livello sopraffino degli arrangiamenti, ma con uno sguardo furtivo indietro verso il metal “al dente” di "Battalions of fear".

Il metal dei Blind Guardian è ipetrofico. Cresce, si ramifica, si complica, inizialmente in un'architettura che si stenta a credere possa stare in piedi, poi degenera come un tumore e si spappola, diventa digressiva, prolissa, dalle distanze troppo lunghe per non perdersi.
Ci scappa anche qualche sbadiglio. La musica diventa un flusso continuo, senza tempo, un ponte tra passato e futuro, come efficacemente reso in “And the story ends”, chiusura di album che però ha le movenze ambigue di una conclusione che non si arresta, ma prosegue tramutandosi in un nuovo inizio. 
In questo senso il tutto somiglia ad una saga tolkieniana che si porta dietro e affastella sempre più roba, personaggi, nomi, luoghi.
Così come un muscolo che cresce troppo, capita che a un certo punto il sangue non arriva a nutrirlo bene, i vasi sanguigni si fanno troppo tortuosi, lunghi, schiacciati dal tessuto e allo sbocco del capillare la pressione è troppo bassa. I Blind Guardian alternano titoli che inneggiano alla fine di tutto, ad altri che svelano il carattere perpetuo della loro ispirazione musicale ("This will never end" ad esempio).

Le recensioni, all'epoca del salto di qualità dei Blind Guardian, seguirono l'ipertrofia in termini di votazioni, con una inflazione galoppante che sul vecchio Flash assegnava loro prima 100/100 (il famoso “10” che non si dava mai a nessuno), poi 110, 140... finché a un certo punto nessuno osa dirlo, ma le uscite passano in sordina. I voti confondono, sono ormai inflazionati e poi l'imbarazzo di non dare il massimo alla tecnica, ormai consolidata, è un vicolo cieco del recensore.

Anche io stesso sono assalito dai dubbi: li avrò ascoltati bene? Ma c'è anche l'orchestra! E Kursch ha lasciato il basso per affinare la tecnica vocale! Arrangiamenti perfetti, il giusto mezzo tra la sobrietà e il barocco, una ulteriore evoluzione compositiva... Certo, sta di fatto che, quando mettevi su i corposi e già impegnativi dischi di prima, queste perplessità non si avevano.

Dopo anni di abbuffate di Blind Guardian si può puntare sul piatto dalla presentazione strepitosa, sul cocktail ricercato di sapori, sulla difficoltà tecnica della preparazione, sulla genialità degli abbinamenti col giusto vino... eppure il palato si annoia, i 9 minuti della “Nona onda” (l'inizio di "Beyond the red mirror") si fanno sentire tutti, eppure a me non dicono granché.

Forse è colpa nostra, saturi di power metal che abbiamo le papille gustative bruciate o troppo rozze. O forse sarà che il punto di cottura di un piatto troppo complesso non esiste più, o è troppo crudo o è scotto. 
Insomma, come direbbe Philippe Noiret a Ugo Tognazzi: io capisco che è il piatto più sofisticato e perfetto che tu abbia preparato ma... “E' una merda Hansi!”.

A cura del Dottore