26 mag 2017

12 MESI DI METAL (Parte II) - "THE MAY SONG" (THE GATHERING)



Questo mese raddoppiamo. Facciamo uno strappo alla regola che vorrebbe un solo brano cada mese per la nostra nuova Rubrica “12 mesi di Metal”, e dopo lo splendido post del nostro Dottore sui Testament e la loro “Seven days of may”, affrontiamo “The may song” dei The Gathering.

Del resto chi legge Metal Mirror lo sa: le regole, se c’è di mezzo lei, la divina Anneke, si possono eludere e in redazione sbrodoliamo, con gli occhi (e le orecchie) che diventano a forma di cuoricino, quando si parla della van Giesbergen.

E poi bisogna solo togliersi il cappello davanti all’epopea di Anneke nei The Gathering; un'esperienza più unica che rara: sei album in undici anni (live esclusi); sei album uno diverso dall’altro; uno l’evoluzione coerente dell’altro, uno più bello dell’altro.

Non saprei farne una graduatoria ma se, sotto tortura, ne fossi costretto, indicherei come migliori quello con cui tutto cominciò (e con il quale mi innamorai follemente di lei), il celeberrimo “Mandylion”, e buon secondo il coraggiosissimo “How to measure a planet?”. 
Nighttime birds”, che tra pochi giorni (il 06 giugno, per la precisione) compirà 20 anni tondi tondi, contenente la song oggetto del nostro post, si trova schiacciato tra questi due colossi (manco a farlo apposta, una situazione molto simile a quello che avevamo già visto trattando gli Iron Maiden a marzo e gli Opeth ad aprile). NB è esattamente quello che si definisce un disco-ponte, il disco di transizione perfetto tra il passato doom-gothic di “Mandylion” e il futuro indefinibile della band (Alternative rock? Prog metal? Trip-rock? Chiamatelo come vi pare), che spiegherà le sue coloratissime ali proprio da HTMAP in poi; processo che renderà i The Gathering testimoni superbi di un Rock senza aggettivi, in cui convivono diverse anime e tendenze e nel quale il tocco personale della band risulterà sempre ben evidente (percorso che toccherà la sua summa evolutiva con l’altrettanto sensazionale “Home” del 2006).

Etereo, sognante, ma all'occorrenza anche tosto, con una sapiente alternanza dei pieni e dei vuoti: il songwriting dei quasi 50 minuti di NB appare coraggioso e sperimentale sia nei brani più old-style e tirati (l’opener “On most surfaces”, “Third chance”) come in quelli più dilatati e squisitamente prog (“New moon, different day”, la title track).
Tornando al focus del post, “The May Song” è la seconda traccia più corta del disco, appena 3’ 45”. E così come la più corta (la meravigliosa “Kevin’s telescope”) ha la sua ragion d’essere nell’espressività, nell’emozionalità messa in campo dalla band, ormai padrona assoluta, rispetto agli acerbi esordi pre-Anneke, dei propri mezzi. Aperta da un dolcissimo arpeggio, dopo pochi secondi si innesta, soave e su tonalità alte, la voce di Anneke a guidare la strofa; ancora stesso schema per la seconda strofa prima di arrivare allo scoppio elettrificato del chorus: “Pale is my face / you might want to colour / while I breathe”, guidato da un energico riff metallico, da un solo-riff e successivo ritorno all’arpeggio iniziale.

Desidero che le tue mani si stringano sul mio polso / Mi immorbidisco nell’erba calda / e il tuo profumo e ciò che mi manca…

La canzone in realtà non sembra parlare del mese di maggio. Le lyrics si configurano per lo più come poetici versi (sto seguendo grosse gocce di pioggia / ai miei occhi manca la visione di te) che creano un mood onirico, un’atmosfera sognante; quella tipica atmosfera malinconica, cupa ma mai disperata, che è IL marchio di fabbrica degli olandesi; un marchio che non abbandoneranno mai, in tutta la loro ampia discografia, nonostante in essa i Nostri sapranno trattare come detto i più svariati stilemi del mare magnum del Rock.

Tutto il disco, e “The may song” ancor di più nel suo essere sapientemente sintetica, mette in luce probabilmente quella che è la caratteristica principale dei fratelli Rutten e del tastierista Frank Boeijen: la “complessa semplicità”. Provo a spiegarmi: non sono dei mostri di tecnica i componenti dei TG, non sono dei virtuosi e non ricorrono mai a sensazioni ad effetto. Ma quello che li ha da sempre contraddistinti è il gusto, l’accuratezza degli arrangiamenti, la scelta dei suoni, l’inserimento di un particolare effetto che dona, al momento giusto nel posto giusto, quella raffinatezza (dal retrogusto amaramente malinconico) che ti fanno dire al primo ascolto: “questo è un brano dei The Gathering, non ci sono dubbi!”. 
“The may song” è idealtipica in questo contesto: semplice, delicata. Se vogliamo “facile”. Ma al contempo…valla a comporre se non ti chiami Renè Rutten! Valla a scrivere, e soprattutto a cantare se non sei Anneke (una che, per citare il nostro Mementomori, “ci emozionerebbe anche se leggesse l’elenco telefonico”!). “Paesaggi dell’anima” definiva giustamente le canzoni di NB il collega, come quello scenario innevato in copertina. Dove, nonostante tutto, la natura (la speranza?) resiste e vive seppur in difficili condizioni.

“Nighttime birds” è in definitiva uno degli esempi meglio riusciti di come alla c.d. definizione “album di transizione” non debba essere accompagnata un’accezione negativa (cosa che invece spesso si tende a fare).

I The Gathering dimostrano che anche album così possono essere capolavori.

A cura di Morningrise