18 mag 2017

LA CLASSIFICA DEI DIECI MIGLIORI BASSISTI DEL METAL


Nel rock come nel metal il "muro di suono" è fondamentale, per certi aspetti ne è la ragion d'essere, almeno lo era in principio. Il basso, in questo, è uno strumento di grande utilità, perché "dà corpo", rinforza, arrotonda la spigolosità della chitarra, che rimane lo strumento principe nel rock come nel metal.


Stretto fra l'incudine delle melodie portanti e il martello delle metriche da rispettare, il basso, soprattutto nel metal, è uno strumento sacrificato, adombrato dalle gesta di chitarristi, cantanti, batteristi e (laddove vi sono) tastieristi.

Nel rock (sarà per i suoni meno saturi e potenti delle chitarre, o per la minor velocità) la figura del bassista gode di una migliore visibilità e lo dimostrano la fama che si sono guadagnati nel tempo musicisti quali John Entwistle (The Who), Jack Bruce (Cream), John Paul Jones (Led Zeppelin), Roger Glover (Deep Purple), Glenn Hughes (Deep Purple), Phil Lynott (Thin Lizzy). Per non parlare dei "giganti" del rock progressivo come Greg Lake (King Crimson, Emerson, Lake & Palmer), John Wetton (King Crimson, Asia), Chris Squire (Yes), Mike Rutherford (Genesis), Hugh Hopper (Soft Machine), Tony Levin (King Crimson, Peter Gabriel e tanti altri), Geddy Lee (Rush, che non vogliamo ancora riconoscere come metal tout court). Ed ovviamente i mostri della rock/fusion, fra cui c'è da citare almeno Jaco Pastorius.

Eppure il metal, nonostante i suoni, la velocità, la violenza, nonostante il concetto di "chitarra-batteria mangia-tutto" dispone non solo di bassisti tecnicamente notevoli, ma anche di professionisti delle "quattro corde" dotati di estro e di personalità che si sono dimostrati grandi autori e persino leader di band leggendarie. Dopo la classifica dei migliori dieci batteristi del metal estremo, ci addentriamo in questa nuova operazione con il medesimo approccio: non guardando più di tanto alla sfera tecnica, ma semmai a quella delle emozioni e del carisma.

(Fuori concorso) Les Claypool
Poniamo al di fuori della nostra top-ten il geniale leader dei Primus, consapevoli che stiamo escludendo uno dei migliori bassisti del globo, fuori e dentro il recinto del metal. Ma a "fregarlo" in questa circostanza è proprio il fatto che nella sua onnipotenza (fra jazz, funky, avanguardia ed ovviamente metal, il tutto frullato insieme alle bizzarrie e all'ironia del più autentico spirito zappiano!) egli non ha forgiato un'estetica dello strumento appositamente ad uso e consumo per il metal. Anche se poi, questo va detto, il suo stile (molto "slappato") eserciterà un grande influsso sugli sviluppi del nu-metal e del metal alternativo in generale: un ambito che, piaccia o meno, andava rappresentato anch'esso.

P.S. Discorso analogo si cela dietro all'esclusione di altri prodigi delle quattro corde come Robert Trujillo (Suicidal Tendencies, Infectious Grooves, Ozzy Osbourne, Black Label Society, oggi Metallica), Timothy Robert "Tim" Commerford (Rage Against the Machine, Audioslave), Bill Gould (Faith No More) e ci metterei anche Flea (Red Hot Chili Peppers, Mars Volta ecc.), sebbene quest’ultimo non si sia mai addentrato oltre la periferia del metallo: "mani ferme", giri scoppiettanti e grande senso del ritmo, ma con quel pallino per il funky o addirittura per l'hip-hop che li ha sviati dalla missione di sviluppare del basso una visione che sia tipicamente metal. Perdonateci inoltre se soprassediamo sugli universi del crossover, del groove-metal e dell'industrial, che certo contano ottimi bassisti, gente con le palle come Rex dei Pantera o Frank Bello degli Anthrax, o maestri dell'alienazione come Paul Barker (Ministry) e Nick Bullen (Napalm Death, Scorn): dieci posti sono pochi, le esclusioni dolorose, ma del resto abbiamo deciso di premiare gente davvero fuori dall'ordinario.

P.P.S.: Ci dispiace inoltre dover fare a meno di tutta quella schiera di bassisti "de core" che fanno un uso "emotivo" del proprio strumento. Doom, gothic e black non sono ambiti in cui questo strumento folleggia, ma ciò non significa che non possano pascolare al loro interno artisti in grado di regalarci grandi emozioni. Dei mirabili esempi possono essere i seguenti: Duncan Patterson (Anathema, Antimatter, Alternative 4), con i suoi struggenti arpeggi che guardano all'Eternità e con quel suo approccio minimal-concettuale che è tipico di autori come Roger Waters; Peter Steele (Type O Negative), che utilizzava il basso come se fosse una chitarra, eseguendo accordi veri e propri che, uniti alla sua voce sofferta, ne hanno fatto uno dei pochi "bassisti-cantautori nel metal” (sulla falsa riga del maestro Paul McCartney); Skoll (Ulver, Arcturus, Ved Buens Ende.....), uno dei bassisti più geniali rinvenibili nell'area black metal, con il suo tocco "surreale", le sue pennate sbilenche e "fuori tempo" rispetto ai brani velocissimi, ma soprattutto con la sua incredibile versatilità che lo ha reso in grado di confrontarsi non solo con il metal estremo, ma anche con l'avanguarde metal, il progressive e persino il trip-hop. E poi, perché non menzionare anche Quorton? Non certo un mostro di tecnica, ma che emozioni ci ha regalato con le sue epiche e vigorose vergate di basso (sporco, eroico, vichingo!) nelle opere della maturità dei Bathory!

P.P.P.S. Siccome siamo degli inguaribili sentimentali, non ce la siamo sentiti di tacere nemmeno sul riccioluto e sorridente bassista degli Helloween, Markus Großkopf. Certo non si può dire che egli sia il più brillante e carismatico bassista in circolazione, ma merita di essere perlomeno menzionato per l'onesta, la professionalità e la dedizione dimostrate nel corso degli anni: perché non è facile farsi notare quando ci si trova in mezzo ad una coppia d'asce come Kay Hansen e Michael Weikath! Il buon Markus, tuttavia, riuscirà nell'intento di sviluppare uno stile personale (poi ripreso in tutto il mondo power) che prevede l'uso sia del plettro che delle dita, a seconda che egli volesse inserirsi nelle linee ritmiche delle chitarre, consolidandole, o concedersi qualche passaggio più fantasioso, con perfino qualche sprazzo di solismo. Ma adesso bando alle ciance, scopriamo quali sono i dieci "magnifici" da noi selezionati!

10) Al Cisneros
Partiamo con un gigante dell'Attitudine: Cisneros, nei leggendari Sleep, ha saputo sfoggiare uno stile vigoroso, agguerrito e possente, capace di traslare un mood tipicamente seventies (l'impostazione generale è quella dei grandi Hawkwind) alle esigenze degli anni novanta, con un carisma tale che gli permetterà, una volta sciolti gli Sleep, di reggere con il solo basso tutto il corpus sonoro degli OM, che preferirono fare a meno della chitarra. Fra stordenti riff di matrice stoner/doom e meditazioni psichedeliche a base di ipnotici arpeggi dal sapor medio-orientale, Cisneros (c'è chi l'ha definito "uno stato mentale"...) saprà conferire al suo strumento una valenza persino spirituale. Un guru.

9) Lemmy Kilmister
Beh, se si parla di carisma, non potevamo certo esimerci dal tirare in ballo il leader dei Motorhead, già motore ritmico degli Hawkwind. Il vigore, la potenza, la verve che sfoggia il Nostro nel percuotere le quattro corde sono uniche: un terremotante incedere che traeva origine dalle energie primigenie del rock'n'roll e dalla riottosità deragliante del punk più selvaggio, e che avrebbe spianato la strada al thrash e persino al death. Non è certo un virtuoso sir Kilmister, il suo approccio è quello rozzo e genuino di chi ha le palle d'acciaio e pochi cazzi per la testa, ma quante gioie ha dispensato con il suo strumento, corpo vero e proprio di brani leggendari scolpiti nelle tavole sacre del rock e del metal: la dimostrazione lampante che, a seconda di chi lo maneggia, il basso non è solo un mero strumento di accompagnamento.

8) Joey DeMaio
A questo punto i fan di Pastorius storceranno il naso, ma come potevamo ignorare il leader di una delle band più emblematiche del metal? Fra l'altro il bassista dei Manowar non è solo il songwriter principale della band, ma possiede uno stile unico che farà letteralmente scuola negli ambiti dell'epic metal e non solo (si veda per esempio il black e il viking): uno stile fatto di efficaci bordate distorte che osano persino sovrastare i riff di chitarra. Ma c'è anche un altro lato, che potremmo definire più ...melodico (ma non certo meno rumoroso!): quando infatti Joey imbraccia il suo basso a dodici corde, i timpani non hanno scampo, anche se ad essere interpretati (o deturpati, fate voi) sono Il Volo del Calabrone o un'aria di Rossini. Teribbile!

7) Dave Ellefson
Con il bassista dei Megadeth saliamo di livello, sia quanto a tecnica che a classe profusa. Non è facile suonare il basso nel thrash metal, né tantomeno farlo con una testa di cazzo come Mustaine. Ma non è solo per il Nobel per la Pazienza che Ellefson merita di presenziare in questa classifica. Almeno tre sono i motivi che ci fanno pensare che egli sia uno dei bassisti metal più dotati: 1) uno stile preciso e veloce, dal suono "metallico", sempre ben "udibile" nel torrenziale procedere dei brani dei Megadeth: una tecnica, la sua, improntata principalmente sull'utilizzo del plettro, ma senza disdegnare qualche virata di tapping a farci saltare dalla sedia; 2) la capacità di incarnare il perfetto equilibrio fra potenza e melodia, tenendo testa a quei musicisti prodigiosi (sia sul versante delle sei corde, sia su quello delle pelli) che hanno sempre trovato posto nell'organico dei Megadeth: una missione non sicuramente semplice; 3) giri di basso a profusione, fra cui alcuni davvero epocali, come quello di "Peace Sells...But Who's Buying" o quello di "Countdown to Extinction" (ma sono molti altri i momenti di protagonismo che il Nostro è stato in grado di ritagliarsi).

6) John Myung
A rappresentare il filone progressive (che di musicisti superlativi ne ha a bizzeffe!) abbiamo convocato il bassista dei Dream Theater, formazione che per il tasso tecnico sfoggiato dai propri componenti meriterebbe di presenziare in ogni classifica di questo tipo. Perché dunque solo il sesto posto, visto che parliamo di uno dei musicisti più virtuosi che abbia mai calcato terra metallica? Che dire, dall'alto della sua perizia, il timido bassista dagli occhi a mandorla ha forse il difetto di essere un po' freddo, metodico e privo di una personalità sfavillante. D'altra parte, esiste forse qualcosa che, lungo l'enorme tastiera del suo basso a sei corde, egli non sia capace di fare? Jazz, fusion, rock, metal, momenti duri, momenti soft, passaggi incredibilmente intricati ed improponibili per chiunque: non c'è genere musicale o atmosfera a cui il Nostro non sappia approcciarsi con gusto e senso della misura, qualità rara, quest'ultima, nel mondo di funamboli egocentrici che è Il progressive! Tecnicamente, dunque, non è secondo a nessuno, ma paga lo scotto di essere più un giocatore di squadra che un battitore libero. E Petrucci ringrazia...

5) Justin Chancellor
Uno che invece una personalità ce l'ha (e ce l'ha bella forte!) è Justin Chancellor: riconoscibile fra mille altri, si può dire che il Nostro, nell'arco di soli tre album (ricordiamo che entrò nei Tool a partire dal secondo lavoro "Aenima", benedicendo con i suoi virtuosismi il salto di qualità della band metal più importante degli ultimi venti anni), ha saputo ridefinire per davvero l'estetica del basso nel metal...anzi, nel Nuovo Metal! Definite i Tool progressive, definiteli post-metal, quello che è sicuro è che lo stile incalzante ed ipnotico di Chancellor (fra arpeggi irrequieti ed un irrefrenabile pulsare volto sistematicamente al crescendo) ha dettato legge un po' ovunque fra le band di nuove generazione: precisione, potenza ed una tecnica sopraffina al servizio di una musica che, fra reiterazione ossessiva e continue variazioni, sa cogliere l'impossibile equilibrio fra tensione e rilascio, ossessione industriale e fragilità umana, ambientazioni alienanti e ricerca spirituale.

4) Steve DiGiorgio
E' il turno di questo prodigioso musicista di estrazione jazz prestato al metal estremo. L'insolito  contrasto fra background ed ambito di applicazione lo rende il migliore di tutti in ambito thrash/death: ambienti dove il basso si suona grattando brutalmente le corde o percuotendole senza pietà, e, in entrambi i casi, seguendo le linee-guida della chitarra. Prima con i Sadus e poi in compagnia dell'amico Chuck Shuldiner (militò nei Death di "Human" e "Individual Thought Patterns" e nei Control Denied del loro unico lascito "The Fragile Art of Existence"), senza contare le sue numerose comparsate (Testament, Iced Earth, Autopsy, Vintersorg ecc.), il bassista americano non ha fatto che regalarci gioie con il suo fretless bass: sì, quel basso non-cosi-semplice-da-utilizzare vista l’assenza dei tasti sul manico. Questo strumento, appannaggio dei grandi del jazz e della fusion, lo renderà veramente un caso atipico nel mondo della "musica dura" con uno stile che potremmo definire "espressionista", fatto di pennellate morbide ed avvolgenti: un'anarchia di note libere che si muovono al di fuori degli schemi della chitarra. E lo scambio di assoli fra lui e Schuldiner nel finale in dissolvenza di "The Philosopher" rimane da manuale. Applausi.

3) Cliff Burton
L’eredità di questo grande musicista nella sua pur breve carriera è qualcosa di incommensurabile per il metal. Anzitutto da un punto di vista concettuale: il primo bassista dei Metallica disponeva di una apertura mentale che era rara nel thrash e che contribuì alla definizione di un metal estremo (perché all'epoca il thrash era l'avamposto più avanzato del metal quanto a "cattiveria") che non si limitava a "picchiar duro", ma che ambiva ad orizzonti più ampi, elevandosi a tratti ad una intensità che potremmo definire sinfonica. E se l'espressione vi sembra esagerata, pensate a brani strumentali (entrambi sopra gli otto minuti) come "The Call of the Ktulu" ed "Orion', i quali vedevano, in sede di scrittura, proprio lo zampino del buon Cliff. E non sarà certo un caso che, dopo la sua dipartita, i Metallica non sapranno più confezionare delle vere e proprie "sinfonie del metallo", ad eccezione di "To Live Is to Die" (quasi dieci minuti!) che guarda caso, sebbene fosse contenuta in "...And Justice for All", portava ancora la firma del defunto bassista e che proprio alla sua memoria era dedicata! Ma di basso si parlava, e non è che come bassista il Nostro scherzasse: aveva il fuoco nelle vene, il ragazzo, e questo fuoco lo possiamo sentire nell'incedere travolgente di "(Anasthesia)-Pulling Teeth", altro strepitoso brano strumentale, ma questa volta costruito in totale autonomia dal solo basso, per l'occasione distorto e stravolto con il wah-wah. Ma il Nostro, talvolta, amava anche fermarsi e riflettere, studiare i suoni che poteva tirare fuori dal suo strumento: esperimenti che possiamo udire negli incipit di "For Whom the Bell Tolls" e "Damage Inc.", a dimostrazione della complessità della figura artistica di Burton, fra fantasia, capacità di pensare fuori dagli schemi e la sensibilità nel sapersi amalgamare ad un team prodigioso che ha saputo, in pochi anni, cambiare il volto dell'heavy metal.

2) Geezer Butler
Uno che invece l'ha letteralmente creato, l'heavy metal, è lo storico bassista dei Black Sabbath. Nato come chitarrista ritmico, si vide costretto a "retrocedere" al basso per volere di sua maestà Tony Iommi. Certo, l'introduzione con tanto di wah-wah (fu tra i primi ad applicare questo effetto al basso) in "N.I.B." e il celebre giro di "Heaven and Hell" (che in un sol colpo inventò metà heavy metal degli anni ottanta) sono roba da "Patrimonio dell'Unesco", e sono solo due esempi che dimostrano le capacità innovative del musicista che seppe declinare, più di ogni altro, le caratteristiche del suo strumento alle esigenze del neonato metal. Per questo ci piace onorare il baffuto bassista principalmente per quei suoni corposi, per quelle note plumbee e tonanti (in principio il suo strumento contava solo tre corde, quelle più gravi!) che, insieme alla capacità di scovare nuovi arrangiamenti per amalgamarsi al riffing pesante ed ossessivo di Iommi, hanno contributo a costruire un "muro di suono" che farà la Storia! Fondamentale come il fuoco e la ruota!

1) Steve Harris
E vabbè, il primo posto non poteva che spettare a lui: Steve Harris, icona indiscussa del metal, comandante in capo della band più iconica dell’heavy metal, gli Iron Maiden. Regista e condottiero della band, autore di molti dei suoi brani più leggendari ("Wratchild", "The Number of the Beast" e "Fear of the Dark" sono solo degli esempi e li citiamo per i loro proverbiali giri di basso!) ha il pregio di essere portatore di una visione ortodossa del metal che al tempo stesso non sa rinunciare ad una visione più ampia che è propria di certo hard rock evoluto degli anni settanta e del progressive tout court (e non è un caso che la sua penna abbia vergato brani lunghi e tortuosi come "The Rime of Ancient Mariner" e "Seventh Son of a Seventh Son"). Ma Harris, soprattutto, è stato in grado di forgiare uno stile suo personale talmente vincente da divenire presto uno standard, un modo di suonare imitatissimo in tutto il mondo del metal: le sue celebri terzine (spina dorsale delle cavalcate più travolgenti che il metal potesse concepire), le pennate epiche (a sospingere le avvincenti melodie delle chitarre) e i caratteristici arpeggi (chiamati ad animare suggestivi interludi o a gettare le premesse per irresistibili ripartenze) verranno replicate da tutti i bassisti del globo a venire. Un mito delle quattro corde.