19 ago 2017

12 MESI DI METAL: "AUGUST" (WARREL DANE)



Agosto, estate, anzi, fine dell'estate, almeno psicologicamente. Si arriva "stanchi di emozioni" ad agosto, un mese che troviamo stranamente vuoto dopo la sfavillante cavalcata della "magica triade" maggio-giugno-luglio.

Torniamo con la mente alla lunga estate dello scolaro italiano, quella che va da giugno (illuminato dalla speranza) a settembre (un mese in realtà bellissimo, tutt'altro che decadente, che nelle sue forme ci può ricordare, benché il verso di percorrenza sia opposto, l'altrettanto splendido maggio). In questa traversata agosto ha un ruolo fondamentale: se non ci fosse, luglio non verrebbe goduto con adeguata serenità, con altrettanta pienezza, perché non si avrebbe quella piacevole sensazione che potremmo riassumere nelle parole "tanto c'è ancora agosto, siamo solo a metà dell'opera". Ma anche settembre ne giova, perché è come se già nel corso di agosto si fosse insinuato quel processo di accettazione, quella rassegnazione che per certi aspetti ci restituisce quella pace che è indispensabile per andare avanti nella vita ed iniziare un nuovo corso.

Il trascorrere del tempo, la Vita e la Morte che si abbracciano e lottano e copulano in un ciclo senza fine: quale benedizione per noi tutti è l'alternarsi delle stagioni, che dà significato e ritmo alla nostra esistenza! In tutto questo, sottolineata la sua importanza, paradossalmente, come mese in sé, agosto non sa di un cazzo. E, peggio ancora, oltre a portare con sé un senso di noia, staticità, stanchezza (del resto oramai le energie sono agli sgoccioli), agosto è permeato da un senso di morte latente, come se la morte stesse lentamente avanzando sotto le forme rigogliose della vita.

Di questo aspetto, alle fine assai evidente a tutti, se ne è resa conto anche l'Arte, e non a caso ne "Le quattro stagioni" di Vivaldi, l'estate è la sezione più barbosa. L'estate in generale è un passaggio fondamentale, un "regno" che collega la nascita alla morte, ma nella sua essenza ha poco attrattive per l'artista, forse perché piatta, prevedibile, non attraversata da laceranti contraddizioni e poco incline a romanticismi.

Il metal non fa eccezione: il metal, che notoriamente nasce dalle frange più oscure del rock, è attratto dalle tenebre, non dalla luce. Pochi sono gli esempi di brani che abbiano nel titolo la parola estate: mi vengono in mente "Dirty Black Summer" dei Danzig e "Summer Breeze" dei Type O Negative. L'esempio più eloquente ce lo offrono però i finlandesi Wintersun che se ne sono usciti proprio di recente con un bel concept sulle quattro stagioni: "The Forest Seasons", classica opera divisa in quattro lunghe tracce, dove l'estate è rappresentata da "The Forest that Sleeps" (Summer)", un titolo che dice tutto.

Ma se sull'estate il metal non si espone più di tanto, sul mese di agosto in particolare è una tragedia, tanto che alla fine ci siamo ritrovati a dover scegliere, per questa nostra rubrica, fra tre soli brani: "August" di Warrel Dane, "August 7, 4:15" dei Bon Jovi e "The Dirge of August" dei Full Moon Lycanthropy. In quest'ultimo caso si sarebbe trattato letteralmente di tirare fuori il sangue da una rapa, essendo il brano una traccia di appena un minuto nel primo demo di una misconosciuta band danese con all’attivo soli due demo e uno split del 2005 con gli altrettanto ignoti Conjuration e poi scomparsa nel nulla da dove era provenuta: non certo il brano che ha spostato l’asse terrestre della storia della musica. Scartato anche il buon Bongiovi (in fondo siamo pur sempre in un blog metal), non rimaneva che "ripiegare" sull'ugola di Sanctuary e Nevermore.

Il brano in questione è tratto da "Praises to the War Machine", l'album del debutto da solista di Dane, licenziato nel 2008. Se devo essere sincero, non l'ho ascoltato, perché all'epoca già avevo perso interesse per i Nevermore. Mi sono dunque ascoltato solo il brano, e che dirvi, gente: classico brano à la Nevermore, senza però la classe dei Nevermore. Dane rimane comunque titanico, sfoggiando estro ed espressività alla sua maniera, passando con irreprensibile enfasi da momenti pacati ad altri più aggressivi. E se nell'incipit doomy a venire in mente è un brano-capolavoro come "Passanger" (da "The Politics of Ecstasy"), l'impressione complessiva è che in nemmeno quattro minuti vi sia troppa carne al fuoco.

Non è comunque la valutazione del pezzo in sé il focus del nostro discorso, ma la sua correlazione con il mese di agosto. Andiamoci dunque a leggere il testo, che, sebbene ci possa a prima vista apparire breve e ripetitivo, non rende facile la vita a noi improvvisati traduttori (già, perché mi dovete perdonare, ma non possiedo l'indispensabile libro che raccoglie tutti i testi, tradotti e commentati, di Warrel Dane…). I versi del brano ci appaiono così troppo ermetici e scollegati fra loro per trarre delle conclusioni certe, mentre la musica, da parte sua, non aiuta ad interpretarli. La mia attenzione si volge al ritornello, dove compare la parola agosto e che suona più o meno così:

"Nel mese di agosto l'abbiamo distesa.
Nel mese di agosto l'abbiamo consegnata alla terra"

Versi che irrimediabilmente richiamano le brutte faccende narrate in "Dreaming Neon Black", concept ispirato alla scomparsa/morte della fidanzata dello stesso Dane. L’immagine di una donna morta associata alla frase "In August we laid her down" mi fa inoltre venire in mente il titolo del romanzo di William Faulkner "As I Lay Dying" ("Mentre morivo"). La fantasia continua a volare e realizzo in una improvvisa epifania che un altro romanzo di Faulkner si intitola "Luce di Agosto" ed una lampadina mi si accende nel cervello. Sole, polvere, campi di grano: mi si materializzano nella testa i paesaggi rurali che fanno da cornice ai romanzi dell'autore americano. Chissà se Dane è un lettore di Faulkner, chissà se mentre scriveva il testo della sua "August" aveva in testa quei campi di grano di cui amava parlare anche Steve Von Till (nel bellissimo "If I Should Fall to the Field"), quelle strade polverose percorse da carri sgangherati, veicoli portatori di storie di Vita e storie di Morte.

"Nella mia terra la luce ha una sua qualità particolarissima; fulgida, nitida, come se venisse non dall'oggi ma dall'età classica". Così l'autore spiegava il titolo della sua opera, ma non ci vogliamo spingere oltre. Ci basta, della letteratura faulkneriana, evocare quella sensazione di irrequietudine, quel senso di minaccia latente, la presenza del Male che, in forme subdole, agisce in modo occulto sotto la coltre di terra ed arbusti bruciati dal sole. Male, e certamente Morte.

Del resto di Morte ci parlava persino quel buontempone di Bon Jovi nella sua "August 7, 4:15", dedicata alla memoria di Katherine Korzilius (la figlia di sei anni del tour manager della band uccisa misteriosamente il 7 agosto del 1996 mentre svolgeva una commissione vicino casa). Pensate voi cosa può fare l'estate: trasformare anche i più irriducibili rocker in mesti cantori di storie luttuose! Dei Full Moon Lycanthropy, senza andare a controllare, ci fidiamo sulla parola, certi che il loro agosto non c’entri nulla con mare, bar e cocktail da sorseggiare sulla spiaggia. Quanto a Dane, che ama spesso indossare con orgoglio un bel cappello da cowboy, forse non siamo sicuri che sia un ammiratore di Faulkner, ma sicuramente la sua visione si riallaccia ad una sorta di cultura "southern gothic" (richiamata anche dalla copertina dell’album) che si è fatta strada negli ultimi anni anche a livello mainstream (basti pensare alla prima imperdibile stagione di True Detective).

Scorro la lista delle opere di Faulkner in cerca di nuovo  indizi e ne scorgo una che si chiama "Sanctuary”....e...mi si accende un'altra lampadina...ma...ma forse niente, mi sto semplicemente annoiando e la mia mente va troppo veloce rispetto al mondo statico che mi sta attorno. Dannato agosto...