21 ago 2017

I TENTACOLI INCONCLUDENTI DI PROSCRIPTOR: PER UNA COLLOCAZIONE RAGIONATA DEGLI ABSU



In Texas pronunciare nomi sumeri e assiri evidentemente ti rende un maschio alfa. La stessa cosa invece, sulle spiagge toscane, liguri o calabresi esporrebbe ad una scarica di nocchini sul capo. Affermo ciò con relativa sicurezza poiché unica spiegazione all'esistenza e al successo degli Absu.

Parlare degli Absu significa sollevare anche lo spinoso argomento del black metal made in USA, o USBM, entità da molti discussa.

Sotto i video degli Absu fioccano commenti del seguente tenore: “ah, e poi continuate a dire che gli Americani non sanno suonare black metal!”. Nonostante il loro frontman e compositore continui a definire il tutto “mythological occult metal”, e a mio avviso correttamente, fans e giornalisti insistono nel definire tutto ciò la via americana al black metal.

Partiamo da un ricordo. Gli Absu mi furono presentati da una rivista di settore tramite una loro foto di promozione, quella che accompagnava l'esordio, con un tizio dagli occhi cerchiati di nero che si inginocchiava, mistico, con le braccia allargate e il viso rivolto verso l'alto. Come si collocavano allora gli Absu? Un gruppo minore del death americano, incline ai temi occulti e magici, sulla scia dei Morbid Angel, piuttosto che al filone gore. Satanici per contiguità, più che per centralità dei loro interessi. Appena possono gli Absu si scrollano di dosso gli elementi satanici esteriori e puntano verso il nucleo del loro interesse: esoterismo, leggende e miti, alchimia.

"Barathrum V.I.T.R.I.O.L." (1993) ci sbatte in faccia l'acronimo alchemico utilizzato per indicare il procedimento utile alla ricerca della pietra filosofale, sintesi dell'intera filosofia alchemica. “Visita le interiora della terra e, rettificando, scopri la pietra segreta”. Naturalmente non è il motto dei minatori, ma una frase in codice tramite cui si evoca da una parte una conoscenza sopraffina e consapevole, e dall'altra uno scopo altissimo e difficile, che è tanto vicino a noi quanto inaccessibile. La padronanza della natura, tramite un principio sommo che è visibile solo agli illuminati. In sintesi? Beh, in sintesi una sega di nulla. Ma questo è appunto la ragion d'essere dell'esoterismo, per il quale la verità è patrimonio solo di chi è “dentro”, e chi è “dentro” il gruppo non ti rivelerà mai che la verità non s'è capito quale cazzo sia.

Il neo-satanismo adatta questa visione all'idea della verità come proibita, maledetta e sotterranea, e il gioco è fatto. E' creato l'esoterismo nero, l'occultismo in altre parole.
Si può quindi affermare che il miglior prodotto dell'alchimia è la letteratura che ha ispirato, compreso "Barathrum Vitriol". Il disco si apre con L'involuzione delle spine ("An involution of thorns"che si approfondano nella testa del Cristo (a parte il titolo, è una mia illazione), e si conclude con L'evoluzione delle corna ("An evolution of horns"), cioè le corna che spuntano, come fenomeno inverso, dalla stessa testa dell'uomo che da presunto santo è divenuto consapevole mortale (altra mia illazione che però torna decisamente con la prima).

Musicalmente, siamo in pieno death metal, e personalmente mi vengono in mente termini di paragone come i Sarcofago, e tutto quel metal estremo che aspettava il black, ma ormai era impostato sul death. Un sottogenere che alla fine non spiccò mai il volo, e restò nelle retrovie. Personalmente, dischi come questo hanno per me un fascino particolare: in termini infettivologici, mentre le fusioni tra generi sono contaminazioni, le evoluzioni morbose dei generi stessi sono auto-inoculazioni, decisamente più inquietanti e meno controllabili.

Con "The sun of Tipharet" (1995) gli Absu si provano un vestito black, di matrice scandinava, ma il risultato è inconcludente. Ben inteso, a tratti coinvolgente, ma derivativo. A differenza del black/thrash, che recupera il thrash tingendolo di nero, gli Absu del 1995 semplicemente provavano il black dal punto di vista di chi non può fare a meno di piazzarlo su un piedistallo thrash-death. Si sente, e la cosa non disturba, ma è limitante, soprattutto perché non si rinuncia a quelli che all'epoca erano i punti salienti del death: cambi di tempo serrati, inserti melodici, prevalere della cavernosità sulla malvagità dei timbri vocali. Irrisolti. Posseduti ma per procura. E' lo stesso effetto che si ha nel vedere l'esorcista: perché il demone Pazuzu dal Medio Oriente diviene il Satana dell'America cristiana? Possiede le persone, ma in realtà non riesce mai a integrarsi.

La prova alla batteria di Proscriptor è un elemento saliente, che a se stante merita l'ascolto: un polpo gigante che tiene insieme un magma senza orientamento. Un batterista iperattivo, che si distrae per brevi momenti (e quando si distrae si creano decenti momenti di marzialità black), ma poi torna irrequieto e cambia quadratura in continuazione. Sostanzialmente, un “pestone” più che un “alzatore”, in termini di stile, e quindi un drummer thrash.
Death metal mitologico, che negli anni vedrà il filone egiziano (Nile), quello romano (Ade) dopo aver attinto a piene mani ed a cazzo di cane dal pantheon assiro-babilonese-sumero.

Per quanto riguarda gli Absu, si spostano sul celtico con “The third storm of Cythraul” (1998) ma il vecchio nome del gruppo, Dolmen, segnala che già agli inizi di carriera l'interesse per le mitologie spaziava. Eppure...non ci posso credere, dopo un paio di minuti sembra di sentire un disco di inizio anni '80, che so, il primo degli Slayer, il primo Testament, se togliamo qualche accelerazione improbabile per l'epoca. Urletti alla King Diamond....Un passo indietro su ogni fronte. L'apice compositivo è indicato in "Tara" (2001), che chiude il loro primo periodo. "Tara", in alcuni siti indicato come un album “puramente black”, è invece il consolidamento di un death thrash al passo con i tempi, soprattutto per velocità. Al massimo può ricordare il death-black di gruppi, come i Naglfar. Dopo l'introduzione carica subito una serie di scudisciate di chitarra e batteria che sono “puramente thrash”, di matrice slayeriana. E nel prosieguo si rimane sulla stessa linea. Tempo in “mettere”, la cifra più classica del thrash. Attendo ancora, ma al massimo si finisce nei territori dei Deicide e dei Morbid Angel, e se qualcosa poi c'è che può richiamare alcune sonorità black, black-thrash, questo è anche aspecifico in un disco di metal estremo datato 2001.

Ultimamente le cose si fanno diverse: "Apzu" (2017) propone soluzioni più funzionali alla batteria inquieta di Proscriptor, ritmi sincopati e cambi di tempo repentini, death-jazz. Però gli Absu hanno una caratteristica costante: se li lasci soli e ti distrai, tempo un minuto scivolano di nuovo verso il death thrash, e la scivolata è piacevole, perché per quanto mi riguarda gli altri filoni li percorrono a vicolo cieco. Entrano nei generi, ma senza troppa penetranza, e non vi si radicano. Così come il demone Pazuzu, che si trapianta in USA, fa un po' di casino, uccide un prete ma poi si leva dalle palle da solo.

A cura del Dottore